Tipologia di infezioni più frequenti
Circa l’80% di tutte le infezioni ospedaliere riguarda quattro sedi principali: il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l’apparato respiratorio, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie).
Le più frequenti sono le infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35- 40% di tutte le infezioni ospedaliere. Tuttavia, negli ultimi quindici anni si sta assistendo a un calo di questo tipo di infezioni (insieme a quelle della ferita chirurgica) e ad un aumento delle batteriemie e delle polmoniti.
L’importanza relativa di ciascuna localizzazione di infezione varia nel tempo, in diversi Reparti e in diversi sottogruppi di pazienti. Non sorprende che circa il 20% di tutte le infezioni nosocomiali si verifichino nelle Unità di Terapia Intensiva (ICU).
Per quanto riguarda i microrganismi coinvolti, variano nel tempo. Fino all’inizio degli anni Ottanta, le infezioni ospedaliere erano dovute principalmente a batteri Gram-negativi (per esempio, E. coli e Klebsiella pneumoniae).
Poi, per effetto della pressione antibiotica e del maggiore utilizzo di presidi sanitari di materiale plastico, sono aumentate anche le infezioni sostenute da Gram-positivi (soprattutto Enterococchi e Stafilococcus epidermidis) e quelle da miceti (soprattutto Candida)18 .
Batteri principalmente coinvolti
La presenza della resistenza antimicrobica varia a seconda del microorganismo, dell’agente antimicrobico e della regione geografica, come da rapporto annuale dell’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control), in EARS-Net (Annual report of the European Antimicrobial Resistance Surveillance Network, 201819).
Per diversi agenti antimicrobici e svariati microrganismi, una variazione geografica è risultata evidente.
Secondo l’ECDC generalmente vi è una percentuale di resistenza più bassa riscontrata nel nord Europa rispetto all’Europa orientale e meridionale. Queste differenze geografiche possono essere associate a differenze nell’uso degli antibiotici e alle pratiche di controllo delle infezioni nei Paesi dichiaranti.
In rapporto alla popolazione, gli Stati membri con il più alto uso di antibiotici per la cura dei pazienti ambulatoriali (Grecia e Cipro) usano circa il triplo di antibiotici per abitante/anno rispetto allo Stato membro che ne usa di meno come i Paesi Bassi.
Per offrire un quadro generale dei batteri resistenti presenti nella Regione Europea che sono stati oggetto di studio della rete di sorveglianza EARS-Net, è esposta una loro descrizione:
Escherichia coli è uno tra i più frequenti batteri Gram-negativi isolati nelle colture del sangue e causa infezioni delle vie urinarie e intra-addominali.
La resistenza di E. coli a uno o più antibiotici (in particolare ai fluorochinoloni e alle celafosporine di terza generazione) è in aumento in tutta Europa.
Klebsiella pneumoniae è principalmente responsabile delle infezioni respiratorie e urinarie, specialmente nei pazienti immunocompromessi. Può diffondersi rapidamente in ambito sanitario ed è una causa frequente di epidemie ospedaliere.
La percentuale crescente di resistenti K. pneumoniae agli antibiotici è un problema di salute pubblica d’importanza rilevante in Europa e nel mondo.
Pseudomonas aeruginosa è una delle principali cause d’infezioni nei pazienti ospedalizzati con un sistema immunitario compromesso. Sono state riportare alte percentuali di resistenza agli antibiotici comunemente usati per trattare queste infezioni in particolare nell’Europa meridionale e orientale. La resistenza combinata è comune e per citare una delle resistenze, quella ai carbapenemi è superiore al 10% in più della metà dei Paesi partecipanti alla ricerca.
Enterococcus faecalis ed Enterococcus faecium
Appartengono alla normale flora batterica del tratto gastrointestinale degli esseri umani, ma possono anche portare ad infezioni cliniche, tra cui endocardite, batteriemia, meningite, ferite e infezioni del tratto urinario. Si è riscontrata un’elevata resistenza agli amminoglucosidi da parte dei batteri E. Faecalis così come un’elevata resistenza alla vancomicina da parte dei batteri E. Faecium20 .
Streptococcus pneumoniae è un batterio che causa comunemente infezioni, soprattutto nei bambini piccoli, anziani e pazienti con compromissione del sistema immunitario.
Lo spettro clinico delle infezioni da S. pneumoniae va dalle infezioni delle alte vie respiratorie come sinusite e otite fino alla meningite. Streptococcus pneumoniae è anche una delle principali cause di polmonite in tutto il mondo ed è associato ad alta morbilità e mortalità. La percentuale d’isolati S. pneumoniae non sensibili alla penicillina è stata superiore al 10% in dieci dei ventotto Paesi dichiaranti.
Staphylococcus aureus
Alcuni ceppi di questo batterio, noti con il nome di Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) sono una delle più importanti cause d’infezioni nosocomiali resistenti agli antimicrobici in tutto il mondo. Negli ultimi dieci anni, diversi Paesi europei hanno attuato piani d’azione nazionali destinati a ridurre la diffusione di MRSA nelle Strutture Sanitarie.
La percentuale d’isolati S. aureus segnalata MRSA si sta stabilizzando o è in diminuzione nella maggior parte dei Paesi europei. Sebbene queste osservazioni forniscano motivi di ottimismo, MRSA rimane una priorità di salute pubblica dal momento che la percentuale di frequenza di tale infezione è ancora sopra il 25% in sette dei ventinove Paesi partecipanti alla ricerca, soprattutto nel Sud ed Est Europa.
Polmoniti da ventilazione meccanica (VAP)
Nei pazienti critici che necessitano di assistenza nella funzione respiratoria, vengono messe in atto tecniche terapeutiche spesso ad elevato grado di invasività, come la VAM, la cui conseguenza può essere l’aumento del rischio di infezioni nosocomiali; tali pazienti, infatti, si trovano in una situazione di alta suscettibilità all’azione dei microrganismi patogeni dovuta alla loro condizione critica.
Per questo tipo di pazienti il supporto ventilatorio meccanico rappresenta una metodica di frequente utilizzo; essa è considerata una strategia salvavita.
La ventilazione meccanica, però, è una tecnica invasiva gravata da una varietà di possibili complicanze tra cui la polmonite associata a ventilazione meccanica (VAP): l’insorgenza di questa complicanza (seconda infezione più comune dopo le infezioni del tratto urinario in Ospedale e comprende circa il 30% di tutte le infezioni nosocomiali), determina l’aumento della durata della degenza in Terapia Intensiva e il peggioramento dell’outcome.
Non solo, ma la polmonite associata alla ventilazione meccanica (VAP) è anche un indicatore riconosciuto della qualità dell’assistenza in un’Unità di Terapia Intensiva. La VAP è il risultato dell’invasione microbica del tratto respiratorio inferiore, normalmente sterile, che successivamente può sopraffare le difese dell’ospite e stabilire l’infezione.
Essa è un sottotipo di polmonite acquisita in ospedale (hospital-acquired pneumonia, HAP – circa un terzo delle stesse), che si manifesta in persone che sono ventilate meccanicamente tramite tubo endotracheale o attraverso tracheostomia. Essa viene diagnosticata dopo 48 ore o più di ventilazione meccanica ed entro 48 ore dall’estubazione e rappresenta l’infezione acquisita più comune nei pazienti ricoverati nelle Terapie Intensive.
Sono stati identificati due gruppi di fattori di rischio per VAP: i fattori correlati alla ventilazione e, meno frequentemente, fattori correlati al paziente (v. malattia polmonare preesistente): solo il primo è accessibile alla prevenzione.
L’intubazione endotracheale è il principale fattore di rischio per la polmonite da ventilazione meccanica. Nei pazienti critici che necessitano di assistenza nella funzione respiratoria, vengono messe in atto tecniche terapeutiche spesso ad elevato grado di invasività, come la VAM, Il tubo endotracheale, infatti, è la via di accesso per la possibile colonizzazione batterica del tratto respiratorio; di fatto i microrganismi possono diffondersi attraverso l’orofaringe, i seni nasali, le placche dentarie, le narici, il tratto gastrointestinale, i circuiti ventilatori e il contatto operatore-paziente.
L’intubazione endotracheale crea una breccia nelle difese delle vie respiratorie, riduce la tosse e la clearance mucociliare e facilita la microinalazione di secrezioni cariche di batteri che ristagnano al di sopra del palloncino gonfiato del tubo endotracheale.
Oltretutto, i batteri formano un microfilm all’esterno e all’interno del tubo endotracheale, che li protegge dagli antibiotici e dalle difese dell’ospite.
I microrganismi causanti VAP sono nel 56,5% dei casi Gram-negativi, in particolare Pseudomonas aeruginosa, Escherichia coli, Klebsiella spp, Heamophilus Influenzae.
Nel 42% dei casi i patogeni sono cocchi Gram-positivi come ad esempio lo Staphylococcus aureus.
Lo Staphyloccoccus aureus meticillino-sensibile, lo Streptococcus pneumoniae, e l’Haemophilus influenzae sono i microrganismi più comunemente implicati quando la polmonite si sviluppa nei primi 4-7 giorni di ospedalizzazione, mentre la Pseudomonas aeruginosa e i microrganismi enterici Gram-negativi e i microrganismi multiresistenti diventano i più comuni col prolungarsi dell’intubazione o dell’ospedalizzazione.
Un pregresso trattamento antibiotico (entro i precedenti 90 giorni) aumenta notevolmente la probabilità di contrarre una infezione da germi resistenti agli antibiotici, in particolare da S. aureus resistente alla meticillina e da Pseudomonas, con conseguente marcato aumento della mortalità e della morbilità.
Altri fattori di rischio che comportano l’insorgenza di VAP da germi multiresistenti sono:
- Shock settico in corso di polmonite associata a ventilazione;
- Sindrome da distress respiratorio acuto che precede la polmonite associata a ventilazione;
- Ricovero in ospedale per ≥ 5 giorni prima della comparsa della polmonite associata a ventilazione;
- Terapia sostitutiva renale acuta prima dell’insorgenza della polmonite associata al ventilatore;
- Diabete mellito.
Anche elevate dosi di corticosteroidi aumentano il rischio di infezioni da Legionella e Pseudomonas, così come le malattie polmonari suppurative croniche come la fibrosi cistica e le bronchiectasie aumentano il rischio di patogeni Gram-negativi, compresi i ceppi resistenti agli antibiotici.
La polmonite nei malati critici, sottoposti a ventilazione meccanica, provoca più tipicamente febbre elevata (>38°C) o ipotermia, leucocitosi (≥12.000WBC/mm3) o leucopenia, aumento della frequenza cardiaca e/o respiratoria o variazioni dei parametri respiratori, come comparsa di secrezioni bronchiali purulente o peggioramento dell’ipossiemia.
Determina inoltre la formazione di infiltrati polmonari riscontrabili attraverso una radiografia del torace. La diagnosi di VAP dovrebbe iniziare con una visita medica completa, con la valutazione di dati clinici e laboratoristici, oltre che strumentali, come una o più radiografie del torace seriate e/o TAC per determinare il grado di coinvolgimento polmonare e la presenza di complicanze, quale il versamento pleurico. Inoltre si eseguono aspirati bronchiali per esame colturale (meglio se da broncoscopia) ed emocolture.
Tuttavia nessun sintomo, segno o reperto radiografico da solo è sensibile o specifico per la diagnosi, poiché tutti possono essere causati da atelettasie, da embolia o da edema polmonare e possono far parte del quadro clinico della sindrome da distress respiratorio acuto. Gli esami colturali su aspirati endotracheali, sebbene non definitivi per l’identificazione dell’infezione, sono raccomandati per guidare il trattamento nella polmonite associata al ventilatore.
Il prelievo broncoscopico delle secrezioni delle vie aeree inferiori per le colture quantitative consente di ottenere campioni più attendibili, in cui si può distinguere la colonizzazione dall’infezione.
Le informazioni ottenute dal campionamento broncoscopico riducono l’uso di antibiotici e aiutano nel passaggio dall’ampia copertura antibiotica ad una più mirata. La titolazione dei mediatori dell’infiammazione nel liquido di lavaggio broncoalveolare o nel siero non è stata evidenziata come affidabile nel decidere se iniziare una terapia antibiotica.
Il solo dato che permette di riconoscere in modo affidabile sia la presenza di una polmonite che il microrganismo responsabile è un’emocoltura o una coltura del liquido pleurico (ottenuta via toracentesi in un paziente con versamento pleurico) positiva per un patogeno respiratorio.
Le emocolture sono anche relativamente specifiche se identificano un agente patogeno respiratorio, ma hanno bassa sensibilità. Il trattamento deve cominciare con l’uso di farmaci ad ampio spettro, che vengono poi sostituiti restringendo il regime terapeutico sulla base della risposta clinica, dei risultati delle colture e dei test di suscettibilità antibiotica.
La mortalità da polmonite associata a ventilazione è alta nonostante la disponibilità di antibiotici efficaci. Tuttavia, non tutta la mortalità è attribuibile alla polmonite stessa; molti dei decessi sono legati alla malattia di base del paziente. L’adeguatezza della terapia antimicrobica iniziale migliora nettamente la prognosi.
L’infezione da batteri Gram-negativi o Gram-positivi resistenti agli antibiotici peggiora la prognosi.
In conclusione, così come attestato dall’ECDC, le indagini cliniche suggeriscono che il 10-20% dei pazienti ventilati svilupperà la VAP. La mortalità attribuibile alla VAP è stimata intorno al 10%, compresa tra il 3% e il 17% e varia per i diversi tipi di pazienti (le percentuali più alte si hanno nei pazienti immunocompromessi, chirurgici e anziani).
I pazienti critici che sviluppano la VAP sembrano avere il doppio delle probabilità di morire rispetto ad altri pazienti simili senza VAP.
È stato dimostrato che il 55% dei casi di VAP può essere prevenuto seguendo le linee guida basate sull’evidenza. L’infermiere ha la responsabilità di garantire la migliore gestione del paziente a partire dalla prevenzione e dall’abbattimento dei fattori di rischio per l’insorgenza di una VAP.
Ruolo infermieristico nella prevenzione delle VAP in Terapia Intensiva
L’assistenza infermieristica è finalizzata al soddisfacimento dei bisogni della persona e della sua famiglia da un punto di vista bio-fisiologico, psicologico e socio-culturale. Essa ha come scopo quello di comprendere i meccanismi che ledono la capacità degli individui e delle famiglie, di mantenere ed accrescere una funzionalità a livello ottimale e di minimizzare gli effetti negativi della malattia.
Il professionista, dunque, “dovrà indirizzare il proprio agire all’assistenza preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa che è di natura tecnica, relazionale ed educativa” (v. Profilo professionale dell’infermiere: DM 739/9448), mettendo in atto azioni efficaci per prevenire eventi avversi e per contenere eventuali esiti, tenuto conto anche delle conseguenze sui costi e sulla tutela della salute.
Con particolare riferimento all’assistenza infermieristica in Unità di Terapia Intensiva, si può affermare che la stessa ha natura specialistica, essendo caratterizzata da un’elevata complessità assistenziale, dalla continua attività di monitoraggio e sorveglianza della persona in condizioni critiche, dall’attuazione di piani assistenziali specifici, anche in situazioni di urgenza/emergenza.
In tema di prevenzione delle VAP in Terapia Intensiva, diversi sono i comportamenti e gli interventi basati su prove di efficacia che possono essere adottati, tenuto conto del fatto che nella pratica assistenziale per la prevenzione delle polmoniti esistono comportamenti difformi e per molti interventi non esistono sufficienti evidenze scientifiche o consenso sulla loro efficacia.
L’analisi del contesto è un passo fondamentale per introdurre cambiamenti finalizzati al miglioramento della qualità assistenziale.
A tale scopo si dovrebbe sviluppare una pianificazione strategica al fine di implementare apposite linee guida basate sull’evidenza scientifica e su prove di efficacia.
Il personale infermieristico si può infatti avvalere di varie strategie assistenziali finalizzate a ridurre l’incidenza di questa pericolosa infezione attraverso l’implementazione di programmi di formazione per aumentare la consapevolezza del personale sanitario rispetto alle migliori evidenze e pratiche per la prevenzione di VAP.
In altre parole, attraverso interventi basati su raccomandazioni previste dalle linee guida ed ispirati all’Evidence Based Nursing, il professionista infermiere può predisporre piani assistenziali che abbattono drasticamente la mortalità nelle Unità di Terapia Intensiva, dove i pazienti sono estremamente fragili e critici.
Ogni raccomandazione è classificata sulla base di prove scientifiche esistenti, di motivazioni teoriche, della loro reale applicabilità e del loro potenziale impatto economico. Inoltre, le raccomandazioni sono formulate sulla base delle normative sanitarie nazionali o statali esistenti.
Secondo il Center for Disease Control and Prevention, le raccomandazioni possono essere catalogate come segue:
- Categoria IA: misure fortemente raccomandate per tutti gli Ospedali e supportate da studi sperimentali ben designati, studi clinici o epidemiologici fortemente attendibili;
- CategoriaIB: misure fortemente raccomandate per tutti gli Ospedali supportate da alcuni studi clinici o epidemiologici e da forte ragionamento teorico;
- Categoria IC: richieste per l’implementazione da standard, regolamenti o norme statali;
- Categoria II: misure consigliate per l’adozione in molti Ospedali e supportate da studi clinici o epidemiologici o da un razionale teorico;
- Nessuna raccomandazione; problema irrisolto: pratiche controverse per le quali non esistono sufficienti evidenze cliniche o nessun consenso provato riguardo la loro efficacia.
Le principali raccomandazioni per la prevenzione delle VAP basate sull’evidenza scientifica e sulle linee guida nazionali ed internazionali possono essere classificate come segue:
- procedure per ridurre al minimo l’esposizione al ventilatore meccanico;
- igiene delle mani (Categoria IA);
- utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI);
- igiene del cavo orale (Categoria II);
- posizione terapeutica del paziente (Categoria II);
- gestione del circuito del ventilatore (Categoria IA) ed utilizzo di sistemi di umidificazione;
- prevenzione della formazione del biofilm endoluminale;
- gestione della tracheotomia;
- monitoraggio pressione della cuffia della cannula endotracheale;
- aspirazione temporizzata delle secrezioni sotto-glottiche (Categoria II);
- aspirazione endotracheale;
- decontaminazione selettiva del tratto digerente (SDD) o decontaminazione orofaringea selettiva (SOD);
- nutrizione enterale;
- isolamento del paziente;
- precauzioni standard per i visitatori;
- pulizia, detersione, sterilizzazione dei dispositivi medici e chirurgici e delle superfici ambientali.
Procedure per ridurre al minimo l’esposizione al ventilatore meccanico
La riduzione al minimo dell’esposizione al ventilatore meccanico risulta essere la pratica scientificamente più importante per ridurre il rischio di VAP e può essere ottenuta attraverso l’uso di modalità ventilatorie non invasive (NIV).
La NIV richiede un’interfaccia ventilatore-paziente costituita da diversi tipi di devices, che comprendono:
- maschera nasale;
- maschera facciale;
- maschera total-face;
- CASCO o scafandro.
Le maschere per il viso possono essere scomode per i pazienti mentre il CASCO garantisce sicuramente un miglior comfort; tuttavia quest’ultimo non è utilizzabile per alcuni tipi di insufficienza respiratoria, come ad esempio quella ipercapnica.
Quando la ventilazione meccanica non può essere evitata, bisogna cercare di ridurre al minimo la durata del trattamento, attraverso protocolli di svezzamento dal ventilatore o attraverso il cosiddetto bundle ABCDEF che si può definire come un “pacchetto” di processi o azioni che fanno sì che il paziente sia più partecipativo nel processo di cura perché non sottoposto a sedazione profonda e perché stimolato ad una rapida ripresa anche dell’attività motoria.
I processi che compongono il bundle sono i seguenti:
- A (Assess and manage pain): valutazione e gestione del dolore;
- B (Awakening and Breathing trial): trial di risveglio e respiro spontanei;
- C (Comunication and Coordination): comunicazione e coordinazione;
- D (Delirium prevention, assessment and management): valutazione, gestione e prevenzione del delirium;
- E (Early Rehabilitation – functional and cognitive): Mobilizzazione precoce e riabilitazione cognitiva e funzionale;
- F (Family engagement): coinvolgimento della famiglia del paziente.
Per garantire la riduzione dei tempi di ventilazione meccanica l’infermiere, dunque, ha anche il ruolo di valutare lo stato di coscienza, il dolore, il comfort del paziente e il delirium che possono incidere sui tempi di esposizione, e lo fa attraverso l’utilizzo di diverse scale come la RASS (The Richmond Agitation-Sedation Scale), la BPS (Behavioral Pain Scale), la CAM-ICU (Confusion Assessment Method).
Igiene delle mani
Sulle mani si annidano numerosi germi; una piccola percentuale è rappresentata da microrganismi non patogeni, che risiedono normalmente sulla cute senza creare danni (flora residente).
A questi, però, possono aggiungersi virus e batteri che circolano nell’aria o con cui veniamo in contatto toccando le più diverse superfici (flora transitoria).
L’igiene delle mani è una procedura sanitaria indispensabile per limitare la diffusione dei microrganismi e ridurre quindi l’incidenza delle infezioni correlate alle pratiche assistenziali; è da considerare fra le principali procedure per la prevenzione delle infezioni, e deve essere operata per evitare la trasmissione dei microrganismi nei confronti delle persone assistite, dell’ambiente che circonda le persone, degli operatori.
Secondo il Center for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta il lavaggio delle mani rappresenta il “most important means of preventing the spread of infection”, la misura più importante per prevenire la diffusione delle infezioni.
Alcuni studi hanno evidenziato che circa il 15-30% delle infezioni nosocomiali potrebbero essere evitate con un’accurata igiene delle mani che consente di prevenire la diffusione di germi, compresi quelli resistenti agli antibiotici che stanno diventando difficili, se non impossibili, da trattare.
A tal proposito va sottolineato che va sconsigliato l’uso di unghie artificiali perché queste ospitano più organismi patogeni, in particolare bacilli Gram negativi e lieviti, rispetto alle unghie native. In media, gli operatori sanitari si lavano le mani meno della metà delle volte che dovrebbero. In media in un giorno, circa un paziente ospedaliero su 31 ha almeno un’infezione associata all’assistenza sanitaria.
Secondo le linee guida dell’OMS, sono 5 i momenti chiave in cui dovrebbe venire sempre assicurata la massima igiene da parte del personale sanitario:
- prima del contatto con il paziente;
- prima di una manovra asettica;
- dopo esposizione ad un liquido biologico;
- dopo il contatto con il paziente;
- dopo il contatto con ciò che sta attorno al paziente.
Le diverse metodologie per il lavaggio delle mani per la prevenzione delle VAP sono:
- lavaggio sociale delle mani: si esegue con sapone e acqua e serve ad allontanare fisicamente lo sporco e la maggior parte della flora transitoria della cute;
- lavaggio antisettico delle mani: si esegue con soluzione antisettica e serve a distruggere rapidamente tutta la flora occasionale e a ridurre la carica microbica della flora residente;
- frizione alcolica: si esegue con soluzione a base alcolica ed è preferibile per il lavaggio routinario antisettico delle mani quando non sono visibilmente sporche.
Per quanto riguarda la soluzione da usare è stato dimostrato che il disinfettante per le mani a base di alcol è più efficace e meno essiccante rispetto all’uso di acqua e sapone. Non solo ma l’alcol non crea superbatteri resistenti agli antibiotici60 e le soluzioni contenenti una percentuale di alcol compresa tra il 60-80% sono le più efficaci. Ciò è dovuto al fatto che le proteine batteriche non sono facilmente denaturabili in assenza di acqua.
Inoltre, i tassi di infezione associata all’assistenza sanitaria risultano essere inferiori dopo il lavaggio antisettico delle mani con un detergente contenente Clorexidina rispetto al lavaggio delle mani con sapone semplice Utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI) I dispositivi di protezione (DPI) sono costituiti dagli indumenti e dai dispositivi indossati da un operatore sanitario per proteggersi dal materiale infetto. I DPI sono usati negli ambienti sanitari per migliorare la sicurezza personale dell’operatore sanitario e del paziente.
Questo equipaggiamento comprende: guanti, camici, mascherine, occhiali protettivi e schermi per il viso.
Il tipo d’equipaggiamento usato varia in base al tipo di esposizione prevista e alla categoria delle precauzioni: precauzioni standard e precauzioni basate sulle vie di trasmissione, che comprendono le precauzioni sulla trasmissione per il contatto, per le goccioline o per le vie aeree.
È responsabilità dell’infermiere far rispettare l’uso corretto dei DPI da parte di tutto il personale che assiste il paziente.
I DPI devono:
- essere appropriati e bilanciati al rischio;
- essere scelti con oculatezza;
- essere appropriatamente indossati e rimossi;
- essere appropriatamente eliminati.
Esistono modi diversi per indossare e rimuovere i DPI. Tuttavia, non esiste un gold standard per come effettuare tali procedure. Gli aspetti più critici del processo sono quelli di evitare la trasmissione di malattie secondarie agli operatori sanitari coinvolti nella cura del paziente e l’auto -contaminazione durante la svestizione.
Di conseguenza, è opportuno che in entrambi i processi, vestizione e svestizione, in particolare durante i passaggi critici, l’operatore sia sottoposto al controllo visivo diretto di un altro membro della équipe onde evitare possibili contaminazioni.
Igiene del cavo orale
La pulizia del cavo orale è una pratica raccomandata non solo per il comfort del paziente ma anche per prevenire le infezioni; poiché la maggior parte dei pazienti, qualora siano intubati o sedati, hanno una riduzione delle secrezioni salivari (che aiutano ulteriormente la rimozione della placca microbica e contengono immunoglobuline protettive riducendo al minimo la proliferazione batterica) e i normali meccanismi fisiologici, atti a mantenere in salute il cavo orale, si alterano.
Soprattutto nei pazienti intubati, e sottoposti a ventilazione meccanica, l’integrità del cavo orale si deteriora rapidamente.
La scarsa igiene orale comporta la formazione di placca, alterazioni del pH, infiammazioni ed irritazioni della mucosa. La concomitanza di questi fattori causa un aumento della colonizzazione batterica nella mucosa orale e una compromissione del sistema immunitario.
Nell’arco di 48 ore dall’ammissione in ospedale, la composizione della flora batterica del paziente subisce un mutamento con l’aumento di germi Gram negativi e con la costituzione di un substrato di microrganismi più virulenti come ad esempio: lo Stafilococco aureo meticillino-resistente, la Klebsiella pneumoniae e la Pseudomonas aeruginosa.
Inoltre, il quadro generale del paziente è ulteriormente aggravato dalla presenza del tubo endotracheale, il quale funge da tramite diretto con le basse vie dell’apparato respiratorio.
L’igiene del cavo orale con uso di antisettici è stata considerata, tra i vari interventi, come una componente vitale delle strategie da attuare per prevenire la VAP.
Il collutorio a base di Clorexidina allo 0,12% (la sua azione batteriostatica è misurata fino a 12h dal suo utilizzo) è stato approvato come antisettico di scelta, in quanto inibitore della formazione della placca dentale e della gengivite; profilattico per ridurre le infezioni del tratto respiratorio inferiore ed efficace nell’eliminazione di patogeni potenzialmente correlati allo sviluppo delle VAP, soprattutto Gram-negativi.
La pulizia con perossido di idrogeno e bicarbonato è utile per rimuovere detriti che si accumulano nel cavo orale ma, se non ben diluiti, questi prodotti possono causare ustioni della mucosa.
Per una corretta igiene del cavo orale le linee guida del CDC di Atlanta suggeriscono di svolgere, inizialmente, un’accurata valutazione del bisogno d’igiene da parte del paziente e quindi valutare la presenza di:
- alterazioni iatrogene delle funzioni fisiologiche del cavo orale (causate da intubazione, terapie farmacologiche, ossigenoterapia, radiazioni, disidratazione terapeutica);
- xerostomia (ridotto flusso salivare, mucosa asciutta ed eritematosa con perdita delle papille, lingua lobulata o fissurata, labbra asciutte e screpolate, presenza di residui organici nel cavo orale);
- immunodepressione e alterazione della normale flora microbica (presenza di placche biancastre e flogosi associate a infezione da Candida albicans, ulcere erpetiche, alitosi, ecc.).
Una maggiore efficacia della presente procedura è garantita dall’associazione di antisettici con lo spazzolamento dei denti, il quale può avvenire tramite degli spazzolini monouso particolarmente pratici, presenti nelle Terapie Intensive.
L’igiene del cavo orale rientra negli interventi che fanno parte del processo assistenziale infermieristico ed è una pratica che andrebbe svolta, secondo la letteratura scientifica, ogni 12 ore e, dunque, rendendola parte integrante della valutazione di routine del paziente. Infatti, la ricerca mostra che l’implementazione di un protocollo di igiene orale può ridurre l’incidenza di VAP dal 46% a quasi il 90%, riducendo sostanzialmente i costi associati.
Posizione terapeutica del paziente
L’uso di letti cinetici rappresenta una misura per la prevenzione della polmonite o di altre complicanze dovute all’immobilizzazione o allettamento prolungato in quanto, mantenendo la testata del letto tra 30°- 45°, si permette una migliore espansione toracica e quindi un migliore recupero della funzionalità respiratoria oltre che una corretta gestione della nutrizione enterale e del sondino nasogastrico, riducendo anche il rischio di rigurgito e conseguente aspirazione bronchiale.
L’effetto della posizione del paziente sulla prevenzione della VAP non è stato, però, convalidato in pazienti instabili o in pazienti con aumento della pressione intra-addominale per cui i risultati degli studi randomizzati variano.
Tuttavia, viene raccomandato di evitare il posizionamento supino a 0° nei pazienti che ricevono alimentazione enterale e senza controindicazioni alla posizione semiseduta.
Gestione del circuito del ventilatore ed utilizzo di sistemi di umidificazione
L’aumento della manipolazione dei circuiti del ventilatore comporta un conseguente aumento del rischio di inoculare condensa in trachea e, dunque, di sviluppare le VAP; circuito del ventilatore e presidi per l’intubazione devono, quindi, essere sostituiti solo se mal funzionanti o macroscopicamente sporchi ed il circuito interno deve essere sterilizzato di routine solo se contaminato con agenti virali. Vi è quindi una minore tendenza a sviluppare polmonite quando il circuito è cambiato a intervalli estesi, oltre a comportare un minor dispendio economico.
La condensa che si forma all’interno dei tubi del ventilatore meccanico deve essere periodicamente drenata ed eliminata evitando che questa non fluisca verso il paziente. I filtri antibatterici ad elevata efficienza (in grado di trattenere particelle fino a 0,2 micron) posizionati fra il respiratore ed il circuito esterno possono prevenire la contaminazione retrograda.
Tuttavia al momento non è dimostrata la loro efficacia nella prevenzione della polmonite nosocomiale.
Tali filtri fungono anche da scambiatori di umidità e di calore (HME) e rappresentano la c.d. umidificazione passiva. L’umidificazione è uno standard di cura e un requisito per la gestione delle secrezioni.
È possibile utilizzare sia l’umidificazione attiva (tramite un sistema con piastra riscaldante) che passiva. L’umidificatore selezionato e il livello di umidificazione richiesto dipendono dalle condizioni del paziente e dalla durata prevista dell’intubazione.
Va specificato che i sistemi di umidificazione attiva non sembrano essere più o meno a rischio di quelli passivi: vari studi scientifici dimostrano, infatti, che non vi è corrispondenza tra il metodo di umidificazione usato e l’incidenza di polmoniti associate alla ventilazione meccanica.
In ogni caso, l’incidenza della VAP non è influenzata dal tipo di dispositivo di umidificazione (umidificatore riscaldato o HME) o dalla durata di utilizzo di HME o dal tipo di HME, ma prolungare l’uso di HME riduce ulteriormente il rischio di contaminazione incrociata e si traduce in notevoli risparmi sui costi.
Prevenzione della formazione del biofilm endoluminale
La colonizzazione del lume del tubo può portare alla formazione del biofilm, impedendo l’entrata di agenti antimicrobici. L’utilizzo di un tubo rivestito in argento in alcuni studi sembra ridurre il tasso microbiologico rispetto all’utilizzo di un tubo normale anche se non si va ad incidere statisticamente sulla durata dell’intubazione, della degenza in Terapia Intensiva e ospedaliera, e sulla frequenza o severità di effetti avversi. È importante, comunque, notare come, nonostante il costo di un tubo endotracheale rivestito in argento rispetto ad uno normale sia elevato, il risparmio dei costi per casi di VAP sia maggiore.
Gestione della tracheotomia
L’infermiere che assiste un paziente portatore di tracheotomia, al fine di prevenire le infezioni e ridurre le complicanze tardive, deve costantemente monitorare la quantità di secrezioni prodotte, in quanto lo stesso è tenuto valutare la necessità di sostituire la controcannula e la metallina con taglio ad Y (ovvero la medicazione che evita il contatto tra cannula e le secrezioni da essa prodotta e la pelle del paziente) in base alla quantità di secrezioni prodotte (da due a più volte al giorno).
Monitoraggio pressione della cuffia della cannula endotracheale
La pressione della cuffia tracheale mediante manometro va sottoposta a controllo quotidiano e la stessa deve attestarsi in un range di 20-30 cmH2O.
La cuffia tracheale svolge diverse funzioni, quali: garantire il posizionamento del tubo endotracheale (evitandone la dislocazione), mantenere i volumi di ventilazione costanti, proteggere le vie aeree da possibili inalazioni di sangue e saliva, limitare i traumi sulla mucosa della trachea. Un sovra-gonfiaggio della cuffia può comportare: decubito, danno ischemico, stenosi tracheale, fistole, malacia mentre un sotto-gonfiaggio può comportare: dislocamento (estubazione), polmoniti ab ingestis, incostanza dei volumi di ventilazione, VAP (micro-aspirazione e inalazione).
Aspirazione temporizzata delle secrezioni sotto-glottiche
Il tubo endotracheale per la ventilazione meccanica favorisce il passaggio di secrezioni in cui è presente flora orale e gastrica e crea un terreno di coltura per quelli che sono i microrganismi presenti nel tratto naso-orofaringeo; ne consegue che, con l’aspirazione continua o meglio temporizzata alla via accessoria, si riduce al minimo il passaggio nelle basse vie aeree delle secrezioni che si raccolgono nello spazio sopraglottico, subito al di sopra della cuffia, con conseguente riduzione della incidenza di polmoniti.
L’aspirazione delle secrezioni subglottiche è fortemente raccomandata per ridurre il rischio di insorgenza di VAP sebbene non vi siano differenze per quanto riguarda la mortalità.
Aspirazione endotracheale
L’aspirazione endotracheale è una pratica invasiva e potenzialmente lesiva, se non correttamente condotta e per la quale bisogna osservare le seguenti indicazioni: aspirare solo in presenza degli indicatori clinici (presenza di desaturazione, tachicardia e tachipnea, presenza di eccessivi rumori respiratori all’auscultazione, presenza di muchi risalenti dal tubo endotracheale); garantire la tecnica sterile; praticare la pre-ossigenazione se il paziente ha una riduzione clinicamente importante della saturazione di ossigeno con l’aspirazione; aspirare per 10-15 secondi; non aspirare routinariamente, ma secondo piani di assistenza individuali; prevenire l’iper-produzione di muco mediante una corretta idratazione del paziente.
Rimane ancora controverso il tema dell’utilizzo del sistema di aspirazione a circuito chiuso piuttosto che l’aspirazione mediante l’utilizzo di sondino (con tecnica sterile); difatti in merito a questo argomento la letteratura non ha ancora trovato elementi che vadano oltre le attuali incertezze.
Quello che si sa con certezza è che l’aspirazione mediante circuito chiuso presenta comunque dei netti vantaggi consentendo di effettuare un’aspirazione tracheobronchiale senza disconnettere il paziente dalla VAM; così facendo, si riduce la contaminazione dell’ambiente e si abbatte il rischio di esposizione degli operatori sanitari, in particolar modo dell’infermiere che effettua l’aspirazione.
Decontaminazione selettiva del tratto digerente (SDD) o decontaminazione orofaringea selettiva (SOD)
Il protocollo SDD include la somministrazione per via sistemica di un breve ciclo, per il periodo di 2-5 giorni, di una cefalosporina di terza generazione e di antibiotici topici somministrati come pasta da applicarsi sulla mucosa orale e come soluzione somministrata tramite sondino nasogastrico.
Il regime di SDD consiste, in particolare, nella somministrazione per via endovenosa di cefotaxime (80-100 mg/kg/die) per 4 giorni e nell’applicazione orofaringea (ogni 6 h) di mezzo grammo di pasta contenente polimixina, tobramicina e amfotericina B in una concentrazione del 2%, e nella somministrazione attraverso sondino nasogastrico (ogni 6 h) di una dose di 10 ml di sospensione contenente 100 mg di polimixina, 80 mg di tobramicina e 500 mg di amfotericina B.
Gli antibiotici topici vengono applicati fino alla dimissione dall’ICU.
È possibile associare mupirocina al 2% (0,2 ml) topica per via nasale per la prevenzione dell’MRSA (Stafilococco aureus meticillino resistente). La SDD è associata a riduzioni della VAP di circa il 70% ed è anche associata a riduzioni significative della batteriemia e della mortalità.
Sebbene siano state espresse preoccupazioni per lo sviluppo di resistenza durante SDD, i più recenti e più grandi studi multicentrici randomizzati dimostrano riduzioni significative dei tassi di incidenza dei batteri resistenti ai farmaci (MDR).
L’implementazione di SDD e SOD richiede la collaborazione di diversi Reparti ospedalieri, come Terapia Intensiva, Microbiologia e Farmacia e né la pasta antimicrobica né la soluzione orale sono disponibili in commercio. Pertanto, sebbene si consideri “elevata” la qualità delle prove a favore dell’SDD e se ne raccomandi vivamente l’uso, la stessa non è stata classificata come misura obbligatoria di base.
Nutrizione enterale (NE)
La nutrizione enterale nel paziente intubato preserva la flora intestinale e l’integrità dello stato immunologico presente, in quanto l’intestino produce l’80% delle immunoglobuline del nostro organismo.
In ogni caso, la presenza del sondino naso-gastrico può favorire episodi di reflusso gastrico con conseguente aspirazione, aumentando così le possibilità di insorgenza di VAP.
Tuttavia posizionare il sondino naso-gastrico in sede post-pilorica può ridurre il reflusso e conseguentemente il rischio di VAP. È necessario, quindi, nei pazienti portatori di sondino naso gastrico per nutrizione enterale, garantire una corretta postura per prevenire il vomito, che rappresenta un importante ed incisivo fattore di rischio.
Una corretta gestione infermieristica del supporto nutrizionale può far diminuire i rischi di colonizzazione batterica del tratto aereodigestivo e la conseguente aspirazione.
Per questo viene raccomandato il controllo della peristalsi intestinale e di eventuale ristagno gastrico prima di iniziare la NE; il controllo della pervietà del SNG o della PEG; la sospensione della NE durante tutte quelle manovre che inducono a posizionare il paziente in posizione supina.
Esiste inoltre una significativa correlazione tra la permanenza dei set di somministrazione e l’incidenza di contaminazione batterica: il 23.8% dei set di somministrazione può considerarsi contaminato dopo le prime 24 ore, percentuale che aumenta fino al 42.9% dopo 48 ore.
Pertanto non va utilizzato lo stesso set per un tempo superiore alle 24 ore.
Isolamento del paziente
Le precauzioni di isolamento devono essere utilizzate per i pazienti che sono noti o sospettati di avere una malattia infettiva, sono colonizzati o infettati da un organismo multi-resistente o che sono particolarmente suscettibili alle infezioni.
L’isolamento mira a confinare l’agente infettivo e prevenirne la diffusione da un paziente all’altro o a proteggere un paziente immunocompromesso ad alto rischio di acquisire microrganismi dall’ambiente o da altri pazienti, personale o visitatori. È importante che le precauzioni standard siano sempre implementate e tutti i pazienti devono essere valutati al momento del ricovero. I pazienti che richiedono isolamento funzionale dovrebbero essere assistiti in una stanza singola.
Ove possibile, questa stanza dovrebbe avere un’anticamera, ventilazione a pressione positiva e aria filtrata Hepa (High Efficiency Particulate Air Filter), ovvero un particolare sistema di filtrazione ad elevata efficienza di fluidi (liquidi o gas). Inoltre la stanza dovrebbe avere un bagno privato e lavamani e le porte dovrebbero essere sempre chiuse.
Sebbene alcuni studi non siano riusciti a dimostrare l’efficacia delle stanze dei pazienti singoli per prevenire le infezioni ospedaliere, 791 altri studi pubblicati, compreso uno commissionato dall’American Institute of Architects e dal Facility Guidelines Institute, hanno documentato una relazione benefica tra le stanze private e la riduzione di infezioni ed esiti avversi per pazienti non infettivi.
L’AIA osserva che le stanze private sono la tendenza nella pianificazione e nel design degli ospedali. Tuttavia, la maggior parte degli Ospedali e delle Strutture di assistenza a lungo termine dispongono di stanze a più letti e devono considerare molte priorità concorrenti quando si determina la sistemazione appropriata della stanza per i pazienti (p. Es., Motivo del ricovero; caratteristiche del paziente come età, sesso, stato mentale; esigenze di personale; richieste familiari; fattori psicosociali; preoccupazioni di rimborso).
Se presenti due o più pazienti con colonizzazione/infezione data dallo stesso germe è possibile creare un’“area di isolamento” dove effettuare l’isolamento per cohorting. Ma spesso ciò potrebbe non essere fattibile a causa della capacità strutturale inadeguata dell’Unità di Terapia Intensiva (ICU).
Ove la stanza singola non fosse disponibile andrebbe creata una zona di isolamento all’interno dell’U.O. (area di isolamento spaziale del paziente) posizionando il paziente in un posto letto estremo e mantenendo una giusta distanza dal paziente più vicino bloccando, se necessario, il posto letto adiacente e garantendo così un’assistenza dedicata (impiego di un infermiere dedicato se i carichi di lavoro lo consentono) con l’obbligo per il personale di adottare tutte le misure di barriera previste dalle precauzioni standard.
Precauzioni standard per i visitatori
Il CDC ha pubblicato una strategia per prevenire la trasmissione di organismi nelle Strutture Sanitarie, che prevede l’uso di precauzioni standard che vengono utilizzate per tutti i pazienti (come il lavaggio delle mani, l’uso dei guanti, dei camici e delle maschere a seconda delle esposizioni previste, etc.) e di precauzioni basate sulla via di trasmissione (via aerea, tramite goccioline, per contatto) che vengono utilizzate per alcuni pazienti con infezioni (sospette o documentate) altamente trasmissibili o sostenute da patogeni di rilevanza epidemiologica.
Le precauzioni standard sono un gruppo di pratiche di prevenzione delle infezioni che si applicano a qualsiasi individuo che possa avere un contatto diretto con il paziente o con i suoi fluidi corporei, che possono contenere organismi trasmissibili. Sebbene i visitatori di solito non entrino in contatto con sangue, fluidi corporei o secrezioni, la pratica dell’igiene delle mani è un’importante misura di prevenzione delle infezioni applicabile a tutti.
Inoltre, si ritiene necessario anche informare i visitatori sulla possibilità di adottare misure aggiuntive basate sulla via di trasmissione.
L’uso di precauzioni di barriera per i visitatori delle Strutture Sanitarie rimane un argomento controverso, con una letteratura scientifica molto limitata.
Pulizia, detersione, sterilizzazione dei dispositivi medici e chirurgici e delle superfici ambientali
Uno dei momenti principali nella prevenzione e nel controllo delle infezioni è rappresentato senz’altro dal processo di pulizia, detersione e sterilizzazione dei dispositivi medici e chirurgici86; processo che richiede notevole competenza e senso di responsabilità da parte degli operatori coinvolti.
Riguardo alla pulizia ambientale, la cura delle superfici (specie quelle venute a contatto con gli operatori e/o col paziente) è risultata fondamentale per ridurre la carica batterica presente. La disinfezione della stanza, una volta dimesso il paziente, da sola non è sufficiente, ma incide di più la pulizia continua e giornaliera delle superfici, le quali devono essere disinfettate per evitare la trasmissione dei germi patogeni.
Approccio secondo bundle
Il concetto di bundle è stato sviluppato, a partire dal 2001, dall’Institute for Healthcare Improvement (IHI) come supporto agli operatori sanitari per migliorare la cura dei pazienti sottoposti a specifici trattamenti ad alto rischio.
Il bundle è un insieme di pratiche Evidence-Based che, applicate congiuntamente e in modo adeguato, migliorano la qualità e l’esito dei processi con un effetto maggiore di quello che le stesse determinerebbero se fossero attuate separatamente.
Le principali caratteristiche che identificano un bundle sono:
- legge del “tutto o nulla”, cioè un bundle ha successo solo se tutte le sue componenti vengono applicate;
- deve essere facilmente gestibile e quindi composto da un numero limitato di azioni attuabili in maniera sostenibile, facili da memorizzare e semplici da monitorare;
- include solo alcune tra tutte le possibili strategie applicabili, quelle più solide in termini di evidenze scientifiche, da cui derivano sicuri vantaggi in termini di esito delle cure.
L’applicazione del bundle però non comporta l’esclusione di altre pratiche Evidence-Based, che non sono state incluse; gli elementi del bundle sono tra loro relativamente indipendenti, per cui se una delle pratiche non è applicabile ad un determinato paziente l’applicazione delle altre azioni previste dal bundle non ne viene inficiata.
La sua compliance, definita come la percentuale di pazienti ai quali vengono applicate tutte le strategie del bundle, deve essere perfettamente misurabile. Già da alcuni anni il bundle di azioni per la prevenzione di infezioni da ventilatore è promosso a livello regionale come pratica strategica all’interno degli Ospedali.
Per l’applicazione di un bundle è necessaria la costituzione di un team dedicato al progetto che può comprendere oltre a medici e ad infermieri altre figure, come farmacisti, fisioterapisti ecc., che deve operare:
- coinvolgendo le specifiche figure professionali all’interno del progetto
- formando e sensibilizzando tutto il personale medico ed infermieristico sul tema del bundle,
- preparando una scheda per la raccolta dei dati, per giungere a mettere a punto un protocollo semplice ed affidabile per l’arruolamento ed il trattamento dei pazienti.
L’utilizzo del bundle riduce significativamente sia la durata della ventilazione meccanica sia la durata del ricovero in UTI. Gli elementi di forza del bundle sono rappresentati:
- dalla buona organizzazione di un nucleo coeso, il team bundle, che opera in maniera sincrona nell’ideazione, nella gestione e nella verifica del bundle;
- dal ristretto numero di elementi, sempre supportati da una dimostrata base scientifica, presenti nel bundle.
Questo consente al team di seguirne con relativa facilità l’esecuzione e la verifica. Nel considerare i risultati ottenuti bisogna sempre tenere presente che il bundle viene valutato nel suo complesso e questo non permette di verificare il contributo di ciascun elemento al risultato finale.
L’utilizzo dei bundle si presenta come uno strumento di sicura applicabilità nel campo della gestione del rischio clinico, in particolare nella prevenzione e nella gestione delle malattie infettive correlate alla pratica ospedaliera. In un ambito di sorveglianza delle ICA, la verifica giornaliera del superamento del bundle potrebbe diventare un nuovo elemento di valutazione da inserire all’interno dei diversi protocolli.
I bundles per la VAP sono supportati da molteplici studi. Mentre le evidenze per ciascun specifico intervento del bundle possono variare, due principi sono assodati:
- la prevenzione della VAP è molto più efficace attraverso l’implementazione di più interventi che danno luogo ad un effetto potenzialmente sinergico; i bundles devono essere sviluppati localmente in base al contesto ed è necessario un monitoraggio continuo dell’efficacia degli interventi;
- per raggiungere risultati positivi è essenziale l’applicazione coerente di ciascuno degli elementi del bundle a tutti i pazienti eleggibili. L’utilizzo di strategie e strumenti per perfezionare il lavoro di squadra può avere un enorme impatto sul miglioramento della qualità dell’assistenza e dell’outcome dei pazienti.
Aldi Stefania
Redazione NurseTimes
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