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Gender bias in sanità: come ridurre il fenomeno?

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Gender gap in sanità, Fials: "Bisogna investire nel welfare aziendale. A Brindisi un asilo nido finanziato in parte da noi"
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Negli ultimi anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha evidenziato nei documenti di lavoro che le donne impiegate nel settore socio-sanitario rappresentano il 67% della forza lavoro in 104 Paesi inclusi nell’analisi, tra cui l’Italia (Boniol et al., 2019), costituendo la maggioranza del personale sanitario. Una volta ottenuto un posto di lavoro, è stato rilevato che le donne devono confrontarsi con l’accesso a determinati posizioni sociali e settori (International Labour Organization Department of Statistics, 2020).

Sebbene il sesso femminile rappresenti la maggioranza, non sono chiare le cause del divario economico: le donne lavoratrici guadagnano in media il 28% in meno rispetto agli uomini, con un divario salariale del 13% per i medici donne e del 12% per il personale femminile infermieristico e ostetrico (Boniol et al., 2019), costituendo la prevalenza nei posti di lavoro a tempo parziale (International Labour Organization Department of Statistics, 2020).  

Il genere, determinato dalla società, comprende norme, regole, e relazioni tra uomini e donne e si riferisce a ruoli, comportamenti e attività che nella società sono considerate appropriate per un uomo e una donna (WHO – Department of Gender, Women and Health, 2011).

Per parità di genere si intende una visione che prevederebbe un pari trattamento tra uomini e donne in termini economici senza alcuna discriminazione, come indicato nell’Agenda 2030 approvata dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) per lo sviluppo sostenibile degli individui e del pianeta sottoscritto nel 2015 dai 193 Paesi membri dell’Onu.

Eliminare il gender bias, ovvero il complesso di azioni e pensieri influenzati da pregiudizi sulla visione di genere, secondo la quale gli uomini sono diversi dalle donne per diritti e dignità (European Institute for Gender Equality, 2019), è un obiettivo difficilmente raggiungibile in quanto anche nei Paesi in cui non esistono differenze tra i sessi non è stato ancora raggiunto un bilanciamento della presenza delle donne nella vita economica (World Economy Forum, 2018).

Dal Global Gender Gap Report è emerso inoltre che nel 2020 su un’analisi di 153 nazioni, tra cui l’Italia, nessuna è riuscita raggiungere la parità di genere a livello salariale (World Economic Forum, 2020).

Il gender bias rilevato prima della pandemia da Covid-19 è aumentato durante l’emergenza sanitaria, in quanto la pandemia stessa ha avuto un impatto negativo sulle donne, aumentando enormemente le disparità esistenti nei luoghi di lavoro e trasformando le modalità con cui erano stati organizzati fino a quel momento (European Union, 2021).

Considerato l’impatto, in particolare durante il periodo pandemico, della diffusione degli stereotipi e della cultura gender bias in sanità, è risultato necessario indagare la significatività di queste esperienze vissute in prima persona dai dipendenti nel mondo della sanità.

Dai primi riscontri in letteratura si evidenzia una percentuale di personale sanitario colpita dalla disuguaglianza di genere compresa tra il 14 e il 50%, individuando frustrazione, paura, impotenza, confusione e distress da parte del paziente e dei suoi caregiver. Tutte condizioni che accrescono le possibilità che un comportamento violento venga attuato (Hahn S. et al., 2012; Maran D.A. et al., 2014).

Indipendentemente dal ruolo e dalla maggiore presenza in sanità, le donne inoltre risultano oggetto di violenza in quanto emerge che lo stereotipo di genere sia caratterizzato da scarso rispetto e poca considerazione sia all’interno (colleghi) che all’esterno del sistema sanitario (parenti e pazienti).

Nonostante il ruolo maggioritario per numerosità e per predisposizione storica, le donne sono svantaggiate da una culturalmente discriminante, che si manifesta nelle credenze e nei comportamenti del genere femminile stesso, inducendo le donne in un circolo vizioso che le porta ad accettare la discriminazione di genere (Eagly A.H. et al., 2011; Koening A.M. et al., 2014).

Per ciò che attiene i percorsi di carriera le donne sentono l’elemento fondamentale della famiglia, a differenza degli uomini, che vorrebbero essere più coinvolti nelle cure familiari, sia i più giovani che i meno giovani (Eagly A.H. et al, 2011). Le giovani, invece, sono meno influenzate dagli stereotipi, ritenendo che le aziende considerino la famiglia un elemento di distrazione delle risorse personali sul lavoro.

Le nuove generazioni siano più favorevoli ad un cambiamento culturale ma necessitino di un supporto nello sviluppo del senso di appartenenza al gruppo aziendale (Koening A.M. et al., 2014). Tra le possibili soluzioni per rimuovere il gender bias in sanità sono stati individuati alcuni fattori di eliminazione del gender bias: la formazione, il gruppo di lavoro, la riprogettazione aziendale.

In letteratura è stato individuato che per ottenere successo nella riduzione dei pregiudizi in azienda, i dirigenti dovrebbe promuovere una strategia orientata al raggiungimento delle diversità che includa tutte le risorse: tutti i dipendenti devono essere informati e le attività chiave devono essere coerenti con l’azienda (Sander et al., 2020), che entrambi i sessi sappiano lo spazio di contrattazione disponibile in modo che le negoziazioni salariali abbiano risultati simili per entrambi i sessi, analizzare il processo di promozione anche con l’aiuto di persone esterne per individuare miglioramenti (Sander et al., 2020). Di contro, la decisione di seguire la formazione dovrebbe essere di competenza individuale in quanto se forzata potrebbe avere l’effetto contrario (Dobbin et al., 2016).

L’incremento degli eventi formativi per favorire la protezione dei lavoratori da parte delle aziende, dalla loro progettazione, programmazione e realizzazione risultano essere strategie efficaci anche per far percepire alle direzioni aziendali l’importanza di ridurre i pregiudizi latenti, in quanto le loro decisioni e i bias utilizzati, anche in maniera inconsapevole, possono influire  sulle pari opportunità (Sander et al., 2020).

Anna Arnone

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