L’Associazione italiana gastroenteorologi ed endoscopisti ospedalieri smentisce. Ma bisogna usarli correttamente.
Farmaci tra i più diffusi ed essenziali per la cura integrata in svariate patologie, i gastroprotettori sono stati negli ultimi anni oggetto di campagne allarmanti come causa diretta dell’insorgere d’importanti patologie. A fronte di recenti studi che smentiscono tale correlazione, l’Associazione italiana gastroenteorologi ed endoscopisti ospedalieri (Aigo) intende fare chiarezza sull’utilizzo di questi farmaci, ribadendone l’importanza in numerosi disturbi dell’apparato digerente, scacciando timori e preconcetti e mettendo un punto fermo: no al fai-da-te!
I gastroprotettori sono farmaci largamente diffusi, essenziali nella terapia di svariate patologie a danno dell’apparato digerente, in grado “proteggere” lo stomaco, l’esofago e il duodeno attraverso la riduzione della secrezione acida gastrica e, laddove necessari, da assumere senza timore alcuno, se prescritti.
In questa categoria di farmaci, gli inibitori della pompa protonica, che agiscono bloccando la produzione di acido cloridrico nello stomaco per una lunga durata, sono sicuramente quelli più efficaci, ampiamente prescritti e utilizzati, soprattutto nella popolazione anziana per contenere la secrezione acida e le loro conseguenze a danno della mucosa gastrica, primo tra tutti il sanguinamento. Dai dati di Federfarma si evince che nel 2020 ne sono state vendute in Italia oltre 6 milioni di confezioni e la loro spesa sfiora complessivamente i 44 milioni di euro.
“Le malattie in cui l’acido gastrico svolge un ruolo importante comprendono le ulcere dello stomaco o del duodeno, l’infezione da Helicobacter pylori, la malattia da reflusso gastro-esofageo e le lesioni gastro-duodenali causate dai farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS)”, spiega Angelo Zullo, vicepresidente Aigo e docente di Gastroenterologia clinica alla Scuola di formazione per medici di medicina generale di Roma.
La terapia con i gastroprotettori può essere limitata a poche settimane o durare anche a lungo termine, e tale necessità ne ha richiesto una valutazione sulla sicurezza, che negli ultimi anni ha portato al proliferare di segnalazioni in letteratura scientifica, che ne hanno ipotizzato l’associazione con un aumentato rischio di sviluppare alcune malattie.
“In particolare, la terapia con gastroprotettori è stata associata – prosegue Zullo – a un aumentato rischio di eventi cardiovascolari, fratture ossee, infezioni polmonari, insufficienza renale e colite, con la sindrome di Alzheimer e lo sviluppo di tumori dello stomaco, del colon e del pancreas. Ciò ha creato comprensibile allarmismo non solo tra i pazienti, ma anche tra i medici di medicina generale, al punto che si è assistito a un evidente decrescita della loro prescrizione, non raramente a scapito di pazienti che ne potevano beneficiare. In Italia, infatti, già dieci anni fa il 30% dei soggetti che necessitavano di gastroprotezione non la ricevevano dal proprio medico di famiglia”.
Ma allora i gastroprotettori fanno bene o male? La risposta sembra essere arrivata da un recente studio internazionale che ha rivisto i dati di milioni di pazienti, e che smentisce una relazione causale con ciascuna delle patologie considerate. In conclusione, come tutti i farmaci, ovviamente anche i gastroprotettori possono causare effetti collaterali, ma quando sono utilizzati correttamente, cioè con una indicazione appropriata, dosaggio adeguato e durata consigliata, i vantaggi superano di gran lunga i potenziali effetti indesiderati. Se così non fosse, non sarebbe stato possibile il loro utilizzo per oltre 30 anni in milioni di pazienti.
Resta aperto, invece, il problema della collaborazione del paziente alla terapia e dell’importanza di un corretto stile di vita, condannando in modo perentorio innanzitutto il fai da te nell’assunzione di medicinali. L’elevata efficacia dei gastroprotettori nel risolvere sintomi come il bruciore retrosternale e il dolore allo stomaco porta infatti molti pazienti a continuare la terapia, in quanto è molto più facile prendere una pillola al giorno che dà benessere che cambiare cattive abitudini (caffè, alcol, fumo di sigaretta, ecc.) o ridurre il peso corporeo.
E’ invece importante affidarsi al parere del medico in merito alla sospensione dell’assunzione di farmaci al termine della terapia prescritta, e impegnarsi verso stili di più sani. Si ricorda inoltre che l’obesità, in netto aumento a livello globale già in età pediatrica, è riconosciuta come fattore di rischio per lo sviluppo della malattia da reflusso gastro-esofageo. Come sempre, dunque, un corretto stile di vita, che parte dal quotidiano, si rivela un efficace deterrente per l’insorgenza di molte patologie secondarie o della loro recrudescenza, e la collaborazione medico-paziente si rivela determinante.
Redazione Nurse Times
Fonte: PharmaStar
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