Da quando nel lontano 1990, con la legge n° 341 “Riforma degli ordinamenti didattici universitari”, e con i successivi decreti del MIUR novembre 1999 n. 509 “Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei” e 22 ottobre 2004, n. 270 “Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con Dm 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica” la formazione degli infermieri è divenuta universitaria e la successiva morte definitiva del mansionario (legge N° 42 del 1999).
L’infermiere si avvia verso un sofferto percorso di emancipazione professionale divenendo almeno sulla carta una professione intellettuale di aiuto con un proprio profilo professionale (D.M. 739 del 1994) ed una propria autonomia decisionale e culturale si diffonde la cultura dell’EBN (EVIDENCE BASED NURSING) parallelamente alla cultura dell’EBM (EVIDENCE BASED MEDICINE).
L’attuale percorso formativo per diventare infermieri e per proseguire gli studi – una volta conseguito il titolo che abilita all’esercizio professionale – si sviluppa secondo le disposizioni del decreto del ministero dell’Università del 3 novembre 1999, n. 509 e successivamente modificato dal Dm 22 ottobre 2004, n. 270 articolato in vari livelli
- Laurea in Infermieristica (L) – Dm 19 febbraio 2009
- Laurea magistrale (LM) – Dm 270/04 (ex Laurea specialistica in Scienze infermieristiche (LS) – Dm 8 gennaio 2009
- Master di primo livello
- Master di secondo livello
- Dottorato di ricerca (DS)
Con tutte queste nuove opportunità formative e con l’abolizione del mansionario e l’emanazione del profilo professionale ci si sarebbe aspettata una esplosione dell’autonomia e della considerazione sia sociale che economica della figura del professionista infermiere, ci si sarebbe aspettati un’evoluzione culturale uno smarcarsi dal ruolo ancestrale di ancelle al servizio del medico della “cultura della missione”, un’affermazione della nostra autonomia anche decisionale.
In realtà a distanza ormai di tanti anni dall’inizio di questo percorso di passi avanti nella pratica quotidiana ne abbiamo visti ben pochi…da una parte le strenue resistenze della classe medica che vede messa in discussione ruolo e leadership, dall’altra una resistenza altrettanto strenua da parte di una fetta consistente della comunità professionale che ritiene di non ricevere un adeguato riconoscimento delle proprie potenzialità (anche economico), andando incontro a demotivazione e difficoltà nell’accettare il nuovo profilo professionale con le responsabilità che derivano dall’agire in autonomia.
Della strenua resistenza della classe medica ce ne faremo una ragione in fondo il cambiamento è sempre difficile da accettare soprattutto quando mette in crisi consolidate ‘fette’ di potere, ma quello che non possiamo accettare è la posizione di tanti troppi colleghi ancorati ancora al vecchio mansionario.
Se a questo aggiungiamo il fenomeno del demansionamento palese e strisciante, sistematicamente messo in atto dalle strutture sanitarie pubbliche e private che non riconosce di fatto i progressi normativi, utilizzando modelli organizzativi giurassici, possiamo affermare che in realtà di passi in avanti se ne sono fatti veramente pochi e ciò spiega almeno in buona parte la conseguente mancata emancipazione sociale ed economica del professionista infermiere.
Tutto questo è il risultato di scelte che sono state fatte in questi anni e che hanno visto mortificare la professione, e non possiamo lamentarci se le nuove generazioni sono ancora saldamente ancorate ad un concetto medico centrico ed ad una concezione della salute strettamente legata alla malattia ed alla sua cura e quindi ad una ausiliarietà nei confronti del medico.
La formazione universitaria infermieristica ancora oggi ‘ospite’ della facoltà di medicina, che non permette a professionisti infermieri di entrare nel circuito formativo, considerando la peculiarità dello specifico professionale, una formazione affidata perlopiù a dottori in medicina e chirurgia.
Tirocini formativi gestiti in modo approssimativo, in cui è sottile il filo che divide lo sfruttamento lavorativo degli studenti troppo spesso coinvolti in attività ‘poco o nulla’ formative…
Arrivano alla laurea generazioni di professionisti solo ‘sulla carta’, perché non ricevono un’adeguata formazione, forse perché affidata ai laureati in medicina e chirurgia?
Innanzi tutto bisognerebbe sgombrare il campo da un equivoco di fondo: l’infermiere non è, non può e non vuole essere una figura ancellare al medico o peggio ancora un medico in miniatura, ma un professionista autonomo con conoscenze e competenze proprie della sua scienza, il nursing.
Partendo da questo fondamentale presupposto si sgombrerebbe il campo dalle ataviche resistenze sia della classe medica e con una adeguata formazione ed un pochino di tempo anche dalle ancestrali resistenze di tanti troppi colleghi e si aprirebbe la strada ad un reale ed effettivo riconoscimento sociale ed economico che sarebbe in grado di generare un virtuoso percorso di emancipazione delle professione.
Essere ‘ospiti’ nella facoltà di medicina è uno degli scogli da superare, infatti fin quando ad insegnare agli infermieri saranno i medici non si potrà sperare che la cultura del nursing si sviluppi e si distenda in tutte le sue potenzialità.
Bisognerebbe e sarebbe fortemente auspicabile che si crei un’autonoma Facoltà di Nursing che dia a questi professionisti un giusto e corretto indirizzo di merito professionale.
In questo modo si potrebbero riformulare i percorsi formativi si potrebbero slegare finalmente dalla medicina classica tutta incentrata nella cura delle malattie e sulla figura spesso autoreferenziale del medico per aprire le porte al riconoscimento non solo universitario, ma più sostanzialmente formativo della scienza infermieristica e delle professioni sanitarie, sgombrando il campo da equivoci e fraintendimenti delineando i contorni della scienza del nursing e formare professionisti con una identità ed una formazione specifica e centrata sul bisogno assistenziale e non più sulla malattia e sulla sua cura.
Inoltre finalmente i futuri infermieri sarebbero formati da infermieri ed infermieri sarebbero i presidenti dei corsi di laurea spalancando finalmente le porte della formazione alle migliori forze che già oggi sono in seno alla nostra professione, ma che stentano a veder riconosciuto un ruolo nella formazione proprio perchè attualmente i pochi infermieri che insegnano debbono essere funzionali ad un progetto fuorviante di professionista proprio quel tipo di infermiere che si sta attualmente formando nelle nostre università e che difficilmente potrà portare risultati in termini di emancipazione della professione.
Tutto questo anche considerando e riflettendo sul futuro e sugli inevitabili cambiamenti demografici in atto che ci porteranno sempre più verso bisogni assistenziali diversi, verso la cronicità e la disabilità, e quindi verso modelli organizzativi diversi che sono campo specifico di intervento degli infermieri.
Angelo De Angelis
Foto: www.nursing.umaryland.edu
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