Riportiamo di seguito il racconto di Gessica, un’esperienza che ti segna e che forgia tutti i professionisti sanitari che si trovano in quel particolare momento di confine tra la vita e la morte…tutta la delicatezza e l’amore profuso da Gessica per quel suo piccolo paziente
Imparare a dirsi a addio?
La morte, si sa, andrebbe vissuta come fase stessa della vita.
Gli infermieri sono visti come quelle figure professionali, che tra le tante cose sono abituati a vedere le persone lasciarci.
“Ci si fa le ossa!”...così dicono.
Solo che questo non rispecchia la realtà. Mai.
Siamo nipoti, amici, figli, cugini di qualcuno.
Ci vediamo così quando ai piedi del letto di qualche morente ci troviamo a dare l’ultimo saluto a quella persona, perché in quel momento siamo gli unici a essere vicini al paziente.
Ma se si tratta di un bambino?
Come si può dire addio ad un bambino che oggi avrebbe compiuto 5 anni?
Nella comunità dove lavoro, ci sono dei bambini con disabilità gravi, e qualche giorno fa ho trascorso la notte più triste e lunga della mia vita.
Il protocollo delle cure palliative lo conosco e l’ho dovuto applicare, ma per la prima volta ho dovuto sperimentare un altro protocollo, essere ‘madre’ di un bimbo che non ho partorito…accarezzargli i capelli, fargli le ultime coccole, sussurrargli parole che ho dovuto imparare per l’occorrenza.
Quando si tratta di cure palliative, c’è poco da fare…allora ho pregato e sperato che la morfina e Dio rendessero tutto più lieve.
Non lo so chi dei 2 è stato il più coraggioso, se è stato C. a sostenere me, o io lui.
Spero di essere stata abbastanza brava ad accompagnarlo in questa momento così lungo, interminabile.
Ma quella notte una cosa l’ho capita: non si impara mai a dire addio.
Oggi voglio immaginarti così, a spegnere le tue 5 candeline in un posto dove ci sono fiori di tutti i colori, nuvole, angeli, arcobaleni e orsacchiotti che cantano (cosi come faceva il tuo giocattolo preferito).
Ovunque tu sia, buon compleanno C..
Ciao ?
Gessica
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