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Educazione Sanitaria, gli infermieri sono veramente tutti pronti?

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Un’adeguata educazione sanitaria ridurrebbe il ricorso alle strutture sanitarie: i dati della ricerca
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L’ infermiere primo ed ultimo baluardo di progetti educativi volti alla divulgazione delle ultime evidenze scientifiche ma anche pioniere di nuovi protocolli assistenziali.

L’ educazione Sanitaria è un argomento che investe a pieno titolo la nostra categoria infermieristica, la quale in questo campo ha un ruolo importante e potrebbe addirittura acquisire un ruolo predominante, se solo alcuni argomenti pilastro dell’educazione Sanitaria fossero trattati in maniera più approfondita sin dai momenti della nostra formazione universitaria di base.

L’infermiere, oggi, rappresenta una figura dalle grandi capacità educative e formative riconosciute in tutto in mondo: l’alta formazione, che viene garantita nei percorsi universitari, rende ogni singolo professionista capace di divulgare in maniera soddisfacente ciò che si è appreso sia in campo formativo-professionale, sia anche in campo educativo, nei confronti dei fruitori dei servizi.

Educare è uno dei compiti fondamentali dell’infermiere, il suo obiettivo più alto, che mantiene costante fin dalla formazione universitaria: infatti, educare implica conoscere, ovvero, aver acquisito le conoscenze adatte, a tal punto da poterle trasmettere; nella trasmissione poi, si instaura un ulteriore fondamento della missione infermieristica, cioè la Relazione.

Possiamo quindi dire che affinché l’educazione avvenga in modo ottimale e porti dei frutti, essa deve avere alla base la Conoscenza; e come mezzo di trasmissione, una Relazione efficace. Vien da sé che la Conoscenza ricopra un ruolo preponderante ai fini di un atto di trasmissione educativa efficace; si immagini “un tavolo come Educazione sorretto da una colonna che è la Relazione, la quale a sua volta poggia su basi che rappresentano la Conoscenza”.

In ambito sanitario la Conoscenza rappresenta il tutto che non è mai troppo: si può conoscere tanto su una determinata patologia, ma proprio per il fatto che essa viene definita “Patologia” significa che  il mondo scientifico su quel determinato argomento non conosce “Tutto”.

Allo stesso tempo, il Sapere – altro termine per indicare la conoscenza- rappresenta un’arma fondamentale da utilizzare nei tre ambiti pertinenti all’educazione sanitaria ovvero: ambito preventivo, curativo, palliativo -riabilitativo; tre ambiti che fanno parte del potenziale operativo dell’infermiere individuati dal DM 739/94. Se riflettiamo attentamente su questi tre ambiti ci rendiamo conto di quanto essi possano essere scorporati dagli incipit dati dal suddetto Decreto Ministeriale ed essere calati nella vita di tutti i giorni di ogni singolo individuo.

Sono ambiti distinti tra loro ma allo stesso tempo molto inclini ad un discorso unico di Educazione. A questo punto cercherò di creare un ragionamento sul tema “Educazione Sanitaria” con la speranza che diventi un Manifesto intellettivo per gli infermieri.

Ma l’infermiere a cosa è chiamato ad Educare, in campo Sanitario?

Come dicevamo, l’Educazione Sanitaria può essere calata olisticamente nella vita di ogni individuo ancor prima che egli nasca o venga concepito. Senza retorica, possiamo affermare che su tutto si può fare Educazione Sanitaria; ma senza dubbio lo scopo più elevato e nobile dell’Educazione, è quello di Prevenire. La Prevenzione è un modus operandi che in campo Sanitario occupa un posto importante, anche perché se si ragiona in termini economici, investire nella prevenzione costa sempre di meno rispetto all’investire nelle Cure (solo se però non si tenga conto delle speculazioni economiche che nell’ambito sanitario sono tante). Investire sulla prevenzione significa investire sulla Ricerca, e se si riflette… la Ricerca è il primo atto della prevenzione, senza la quale la prevenzione stessa non può esistere e quindi, non può venirsi a verificare neanche l’intero paradigma assistenziale; o perlomeno esso sarebbe scarno, nel senso che ci si prenderebbe solo cura ma non si curerebbe. Senza Ricerca non esisterebbe la Conoscenza e quel tavolo di cui prima, navigherebbe nel vuoto, perché la Ricerca ne rappresenta il pavimento.  Alla ricerca però va affiancato un concetto molto alto, ovvero che tutto ciò che viene “trovato o ritrovato” nella ricerca deve essere divulgato, condiviso, testato  per poi farlo diventare dato scientifico.

Divulgare la ricerca è un atto di educazione, non inteso come cortesia, ma come concetto di trasmissione dati.

Nel campo dell’Educazione Sanitaria ci sono delle priorità operative, direi tecniche, che sono essenziali come la divulgazione e la ricezione delle informazioni scoperte durante le fasi di ricerca. Divulgazione e Recezione. Due atti di uguale importanza;  tutti noi professionisti siamo tenuti, per senso etico e di responsabilità morale, a metterli in atto. Soffermandoci sulla Recezione capiremo quando essa sia necessaria al fine Educativo…

La ricerca va avanti, vengono raggiunti nuovi risultati e fatte nuove scoperte con ritmi sempre più veloci in tutti i campi della medicina; essa non è più lenta come qualche decennio fa, perché si è evoluta nei modi più disparati. Ma forse proprio questa sua velocità nello scoprire,- ad esempio – nuovi percorsi di cura, nuove molecole, nuove modalità diagnostiche ecc. ci ha presentato una difficoltà notevole: ovvero, che la Recezione di questi continui nuovi traguardi raggiunti dalla Ricerca sono difficili da recepire a livello clinico-operativo. Stiamo parlando del paradosso della Ricerca che a livelli record supera sempre nuovi limiti, mentre invece, la clinica medica non riesce a stare al passo con queste nuove scoperte e rimane così notevolmente indietro. Faccio un esempio: ad un paziente viene diagnosticata una  patologia “pinco” ed entra a far parte di un percorso terapeutico che ha dei protocolli che si basano su Evidenze Scientifiche non superate ma di più: triplate! Capirete bene che vi è una certa incongruenza tra le ultimissime evidenze Scientifiche date dal progredire della Ricerca e quello che è il modus operandi clinico del mondo reale. Ecco che il problema, l’inghippo, si trova tra queste due fasi: Divulgazione e Recezione.

Divulgazione della ricerca: oggi la ricerca utilizza i più svariati mezzi di divulgazione: siamo nell’era in cui l’Evidenza Scientifica (in generale) viaggia in gran parte su internet per riapprodare nei circuiti universitari, luogo stesso di partenza della Ricerca inteso proprio come atto fisico.

Internet è indubbiamente un mezzo veloce per condividere dati (di ricerca) e risultati in maniera istantanea, è un mezzo di comunicazione fondamentale: al di là da chi può partire il dato messaggio, dal momento in cui viene messo in rete, esso è rivolto alla massa.

La Recezione dei dati di Ricerca e delle Evidenze Scientifiche: è logico che deve seguire gli stessi canali utilizzati dalla Divulgazione; ma soprattutto richiede un atto fondamentale ovvero quello di continuare a studiare, ad aggiornarsi; ma non solo, bisogna far sì che quello che si è appreso, quello che è diventato Evidenza Scientifica diventi anche prassi clinica, realtà operativa e che quindi entri a far parte dei protocolli assistenziali. Oggi invece, ad esempio: viviamo in una realtà in cui la ricerca ha scoperto grandi cose anche in campo oncologico con scoperte che sono diventate Evidenze Scientifiche ma che la gran parte dei professionisti (medici ed infermieri) continuano ad ignorare, i protocolli operativi di molte regioni, ospedali restano ad oggi obsoleti se paragonate alle Evidenze Scientifiche in continuo aggiornamento (potremmo farne 10.000 di esempi…).

E quindi per ritornare alla domanda che ci siamo fatti prima: viene da se che l’educazione sanitaria che dovremmo mettere in pratica,  deve basarsi sul trasmettere quelle che sono le ultime evidenze scientifiche, si porrebbe quindi un’ulteriore necessità, quella che ogni infermiere, ogni singolo professionista, medico incluso, deve, prima di educare gli altri, mantenersi informato e formato su quelle che sono le ultime E.V..  Tutto ciò serve a creare una coscienza scientifica capace di operare dei cambiamenti, delle sovversioni che approdano in nuovi protocolli clinici assistenziali moderni al passo con la ricerca. Bisogna anche entrare nell’ottica che un protocollo non è per sempre; non è che una volta fatto non si può cambiare, ma anzi i protocolli andrebbero rivisti e cambiati con cadenze annuali. Non si può restare ancorati a ciò che è obsoleto!  Il rischio più grande è di fare educazione sanitaria su cose scientifiche superate ed è un rischio che appartiene alla categoria infermieristica quanto a quella medica.

 

Gustavo Castellano

 

 

 

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