Il digiuno prolungato pre-operatorio potrebbe diventare una pratica obsoleta perchè troppe ore senza bere possono risultare dannose per i pazienti prima, durante e dopo un’operazione. Tra i rischi, disidratazione, la ridotta disponibilità di zucchero nel sangue, maggiori complicazioni post-operatorie e l’aumento della risposta allo stress.
Presto, però, tutto questo dovrebbe cambiare. Le indicazioni più recenti suggeriscono infatti che i pazienti devono essere sollecitati a bere fino a due ore prima di entrare in sala operatoria, un bicchiere d’acqua, un tè, un caffè, anche macchiato, o un succo chiaro (senza polpa, come quello di mela per fare un esempio). Non solo. Potranno, se vogliono, masticare un chewing gum fino all’ultimo momento. Sono le novità che emergono dalle nuove linee guida sul digiuno pre e post (peri) operatorio negli adulti, presentate in via preliminare al congresso della Società europea di anestesiologia e terapia intensiva (Esaic), a Monaco.
Il digiuno prolungato per gli adulti (“niente per bocca dalla mezzanotte”), prima di affrontare un intervento chirurgico con anestesia, è una prassi ormai consolidata, in vigore dal lontano 1946. Le nuove linee guida su questo tema suggeriscono un cambio di rotta. La sfida delle nuove raccomandazioni è proprio di ridurre i tempi di digiuno preoperatorio perchè – questa è la scoperta certificata da un punto di vista clinico – possono esserci dei benefici sul fronte metabolico ed emodinamico, oltre che su quello del benessere psicologico del paziente. Le nuove modalità sul digiuno sono il risultato del lavoro di una task force selezionata tra esperti del settore da parte della stessa Esaic. Il gruppo di lavoro ha messo a punto le nuove linee guida in un processo durato oltre 18 mesi.
A capo della task force, Federico Bilotta, professore di Anestesiologia alla Sapienza di Roma e dirigente medico di primo livello del Servizio di Neuroanestesia e neurorianimazione del Policlinico Umberto I di Roma.
Intervistato dall’AGI, Bilotta spiega: “Questa task force – che presiedo in qualità di ‘chair’ e che ho coordinato nella scrittura, struttura e nella programmazione dei lavori – include dieci membri, che rappresentano diversi Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Malta, Norvegia, Portogallo) e gli Stati Uniti. Le linee guida sono state stilate basandosi sulla revisione delle evidenze pubblicate nella letteratura (cioe’ la revisione di tutti gli studi pubblicati) degli ultimi dieci anni e, per garantire una completa revisione della letteratura, ha fatto parte del gruppo di lavoro anche la responsabile della biblioteca medica dell’Università di Bergen, in Norvegia. Le evidenze presentate non sono le ‘opinioni’ della task force, ma sono il risultato di studi clinici controllati”.
Quando entreranno in vigore le nuove linee guida? “Il processo di pubblicazione, proprio per la natura ufficiale delle linee guida europee, prevede un ulteriore passaggio di 4-6 settimane durante il quale tutti i membri dell’Esaic hanno la possibilità di revisionare il testo e di proporre chiarimenti e correzioni – dice Bilotta -. La pubblicazione sull’organo ufficiale dell’Esaic, che è lo European Journal of Anaesthesiology, è prevista per la fine del 2024-inizio del 2025. Quindi le indicazioni saranno ‘ufficiali’ dal momento della pubblicazione su European Journal of Anaesthesiology: potrebbe essere dicembre 2024 o gennaio-marzo 2025. Al di là del valore ‘legale’, perchè non sono un contratto, l’obiettivo è promuovere l’inclusione, l’implementazione nella pratica clinica”.
Quali sono le principali novità delle linee guida sul digiuno preoperatorio? “Come prima cosa – risponde Bilotta -, la sospensione dell’assunzione di ‘liquidi chiari’ (acqua, tè, caffè, anche ‘macchiato’) protratto oltre le due ore dall’inizio dell’intervento si associa a effetti negativi per il decorso clinico. Questi effetti negativi includono alterazioni emodinamiche (a carico della pressione arteriosa), metaboliche (alterazioni della sensibilità all’insulina sia nei pazienti diabetici che nei non-diabetici), endocrine (con un incremento del tono ‘simpatico’, il mediatore dello stress), e degli indicatori del ‘benessere’. Questa indicazione rafforza le precedenti linee guida che avevano già suggerito la possibilità di limitare l’accesso ai ‘liquidi chiari’ a due ore dall’intervento e rende questo limite una prescrizione piuttosto che un suggerimento”.
Significa che il paziente può bere fino a due ore prima rispetto all’inizio dell’intervento? “Sì – risponde il professore -, ad oggi nella maggior parte dei centri, nel mondo, l’indicazione data ai pazienti è quella di digiunare dalla mezzanotte. Esiste un lavoro, pubblicato nel 2023 che presenta i dati di circa 1.000 pazienti in Germania, che riporta la durata del digiuno preoperatorio ‘medio’ da liquidi a nove ore. Obiettivo è ridurre questo dato a un’ora. Un digiuno da liquidi di nove ore ha implicazioni negative. Secondo lo stesso studio il digiuno da cibi solidi è di 17 ore: le linee guida lo indicano a un ‘pasto leggero’ 6-8 ore prima dell’arrivo in sala operatoria. Questo significa che se l’intervento è programmato per il pomeriggio, è possibile fare una colazione leggera fino alle 7 di mattina della stessa giornata con biscotti e te’. C’è molto lavoro da fare”.
Le nuove modalità sono sicure e certificate clinicamente? “L’accesso ai ‘liquidi chiari’ fino al momento del trasferimento alla sala operatoria (sip until call) è una pratica clinica sicura – garantisce Bilotta -. Nel post-operatorio deve essere promosso il più precoce ripristino della nutrizione (“appena possibile”) e, infine, nel post operatorio, la masticazione del ‘chewing gum’ a partire dal momento in cui sono completamente superati gli effetti dell’anestesia, si associa a una più precoce ripresa della normale funzionalità gastro intestinale”.
Qual è la sfida da vincere? “La sfida principale di queste linee guida – sostiene Bilotta – è quella di riuscire a modificare l’attuale standard of care (consuetudine clinica) che si basa sul principio: niente per bocca dalla mezzanotte (‘nihil per os’, frequentemente prescritto come ‘NPO’). E’ rilevante sapere che tale consuetudine fu introdotta nella pratica clinica nel 1946 basata sull’opinione personale di un collega che pero’ non aveva il supporto di un beneficio ma per la semplicita’ della formulazione ‘NPO’. E da allora è diventata uno standard mondiale. Cambiare una consuetudine è un processo estremamente complesso malgrado sia oggi evidente che questo ‘standard’ impone ai pazienti effetti negativi”.
Quali i prossimi step? “E’ stato predisposto un programma di informazione che coinvolge, oltre agli anestesisti, anche altre figure professionali presenti nella gestione perioperatoria, come i chirurghi, gli infermieri, eccetera. Una adeguata informazione può essere un mezzo importante per il cambiamento nella direzione di una nuova modalità di gestione che sia basata sulle evidenze cliniche e abbia la priorita’ di mettere al centro il benessere e la sicurezza dei pazienti”.
Redazione Nurse Times
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