Si è ampiamente discusso del fenomeno migratorio degli infermieri italiani che si spostano all’estero dove ci sono maggiori opportunità di riconoscimento e crescita professionale, con la legittimazione sociale ed economica della professione.
Ma davvero l’Italia non è un paese meritocratico per gli infermieri?
La parola “meritocrazia” fu coniata dal sociologo inglese Michael Young agli inizi degli anni ’50 ed è un concetto usato in origine per indicare una forma di governo cacotopia nella quale la posizione sociale di un individuo viene determinata dal suo quoziente intellettivo e dalla sua attitudine al lavoro. Questo termine utilizzato in senso dispregiativo viene in seguito affiancato ad un’accezione più positiva, volta ad indicare una forma di governo dove le cariche pubbliche, amministrative, e qualsiasi ruolo o professione che richieda responsabilità nei confronti di altri, è affidata secondo criteri di merito, e non di appartenenza a lobby, o altri tipi di conoscenze o di casta economica.
In merito a questo pensiero ci sono delle critiche legate al fatto che una società che determina la posizione sociale dei suoi componenti rigidamente e a tavolino, basandosi solamente su quoziente intellettivo e capacità non meglio identificate di lavorare, difficilmente potrà generare democrazia, libertà e uguaglianza.
La professione infermieristica in Italia ha bisogno delle condizioni che possano permettere a tutti il giusto riconoscimento e la giusta crescita professionale con regole chiare ed efficaci a garanzia di un sistema i cui meccanismi premino effettivamente il merito, senza dover necessariamente pensare o far riferimento a scorciatoie di sorta.
La meritocrazia dovrebbe essere intesa come un sistema di valori che esalti l’eccellenza indipendentemente dalla provenienza.
Andrea Cataldo
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