Secondo la definizione dell’OMS per cure palliative si intende l’approccio in grado di migliorare “la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicosociale e spirituale”.
Nel marzo del 2010, in Italia, viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 38 dal titolo “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, una legge necessaria, che tutela i malati terminali promuovendone la qualità di vita attraverso interventi mirati a controllare i sintomi refrattari quali dolore, dispnea, l’astenia, la confusione o l’irrequietezza.
Questo può avvenire solo attraverso una presa in carico globale che riguarda la persona assistita ed i suoi caregiver, protagonisti attivi dell’accompagnamento del terminale.
La stessa legge parla di rete di cure palliative volendo intendere un sistema nazionale che garantisca ai malati l’accesso ai diversi setting di cura e della necessità di accompagnare il cittadino che riceve una diagnosi infausta attraverso una continuità assistenziale che vada dall’ospedale al domicilio, dal medico di medicina generale alle equipe domiciliari fino ad arrivare all’Hospice.
Le cure palliative sono riconosciute tra i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) seppur la situazioni vari sensibilmente tra le diverse regioni Italiane.
La filosofia dell’Hospice Movement nacque in Inghilterra alla fine degli anni 60 ad opera di Cicely Saunders, infermiera britannica, successivamente laureatasi in Medicina, che nel 1967 fondò a Londra il St Christopher’s Hospice. Punti fondamentali della sua opera sono l’umanizzazione delle cure, la presa in carico continua e globale, la valutazione multidisciplinare dei vari sintomi riconoscendone la matrice fisica, emotiva e sociale, il riconoscimento del dolore totale del paziente terminale.
Nacquero così le cure palliative. L’inguaribilità smise di essere incurabilità.
E si comprese quanto fosse necessario creare un percorso in grado di conservare la qualità della vita fino all’ultimo respiro.
In Italia il percorso è più difficile, le cure palliative nascono e crescono ad opera di associazioni no profit che si occupano di malati terminali. Nel 1977, a Milano, la Fondazione Floriani in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori, iniziò l’attività di assistenza domiciliare ma dovremmo aspettare il nuovo millennio per riuscire ad ottenere una legge grazie alla quale sia possibile ottenere finanziamenti per la nascita e lo sviluppo degli hospice.
Il Codice Deontologico dell’Infermiere, all’articolo 6, riconosce la palliazione come attività di tutela per la salute del singolo e la collettività.
Fondamentale resta il ruolo dell’infermiere all’interno dell’equipe multidisciplinare che si occupa di cure palliative per il monitoraggio dei sintomi sia a domicilio che in hospice (ricordiamo che molti di queste strutture sono nate sul modello anglosassone di hospice a conduzione infermieristica), per la presa in carico globale dell’assistito e della sua famiglia che passano dall’affidamento alla necessità di un percorso di elaborazione della diagnosi, della prognosi e del lutto.
Anche in ospedale le dimissioni protette e la figura delle infermiere case manager permettono alle persone assistite di ricevere un aiuto concreto al momento della prognosi infausta per l’attivazione delle ADI di cure palliative.
Titti De Simone
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