INFEZIONI E SEPSI NEI PAZIENTI USTIONATI
L’infezione è la complicanza principale che può presentarsi e che peggiora notevolmente la prognosi del paziente gravemente ustionato. Essa rappresenta un rischio grave ed altamente probabile dopo ogni grande ustione perché si perde la barriera primaria all’invasione microbica, la pelle. Inoltre, in aggiunta alle lesioni cutanee e perdita della funzione di protezione della pelle, c’è anche uno stato di immunosoppressione generalizzata che accompagna ogni grave ustione; tutti questi fattori rendono i pazienti ustionati inclini allo sviluppo di infezioni. La sepsi può svilupparsi in qualsiasi momento dopo l’ustione e il rischio persiste fino a quando c’è una soluzione di continuo e la lesione non è completamente rimarginata.
I pazienti ustionati necessitano dell’utilizzo per un tempo prolungato di dispositivi invasivi: linee centrali, cateteri urinari, tubi endotracheali e ventilatori artificiali; questi devices possono predisporre a maggiori rischi di infezione e sepsi.
Questi infatti rappresentano essere le fonti più comuni di infezioni del flusso sanguigno.
Sebbene le ferite da ustione siano inizialmente sterili, queste vanno incontro a contaminazione entro 48 ore, le superfici della lesione vengono ad essere colonizzate dalla normale flora della pelle del paziente, dalla flora delle vie respiratorie superiori, dai microrganismi presenti nell’ambiente ospedaliero e da microrganismi trasferiti attraverso le manipolazioni degli operatori sanitari.
I patogeni più comuni nei primi 7 giorni dopo l’ustione sono le specie stafilococciche e Streptococcus pyogenes; successivamente, la batteriemia è più comunemente determinata da microrganismi Gram-negativi come Pseudomonas aeruginosa, specie Enterobacter, Proteus ed Escherichia coli che predominano a causa della loro maggiore virulenza e resistenza antimicrobica, e da patogeni come Staphylococcus aureus.
Sfortunatamente, sembra che gli antibiotici siano inefficaci nel prevenire la colonizzazione batterica e l’infezione e pare invece che il loro utilizzo porti spesso allo sviluppo di microrganismi più resistenti (multi drugs resistant).
La presenza di escara avascolare e presenza di biofilm sono i principali impedimenti che limitano l’utilità degli agenti antimicrobici sistemici.
Pertanto, per evitare la selezione di agenti patogeni resistenti potenzialmente pericolosi, non si devono somministrare antibiotici sistemici in maniera profilattica e nei pazienti con infezione documentata, gli antibiotici dovrebbero essere prescritti sulla base dei risultati della coltura e del successivo antibiogramma.
Al contrario, gli antimicrobici topici che vengono applicati direttamente sull’ustione, in varia misura, penetrano nell’escara e limitano lo sviluppo di infezioni.
L’antimicrobico topico ideale dovrebbe avere una vasta gamma di attività, una buona capacità di penetrare nell’escara, lunga durata d’azione e bassa tossicità. L’uso e la scelta di un agente antimicrobico topico è stato influenzato da due importanti sviluppi: primo, le ustioni profonde e a tutto spessore vengono asportate molto frequentemente con un approccio chirurgico, il che limita la durata d’azione dell’antimicrobico topico a livello del sito; in secondo luogo, è ormai riconosciuto che molti agenti antimicrobici sono citotossici per le cellule importanti per guarigione della ferita, che se compromesse, hanno il potenziale per poter ritardare la guarigione della ferita.
Di conseguenza, la scelta di un agente antimicrobico topico deve essere basata su un’attenta valutazione dell’equilibrio tra rischi e benefici.
Le infezioni e sepsi nei pazienti ustionati sono associate a mortalità significativamente più elevata, con impatto diretto sull’aumento della morbilità, maggiore durata della degenza in ospedale, maggiore necessità di ventilazione artificiale e costi 10 volte superiori.
Circa il 75% dei decessi in seguito alla rianimazione del paziente ustionato infatti sono attribuiti ad un’infezione.
Pertanto, l’infezione che porta alla sepsi e all’insufficienza multiorgano è una delle principali cause di mortalità per il paziente ustionato.
Tutti i pazienti con ustioni superiori al 15-20% del TBSA dovrebbero essere continuamente monitorati al fine di rilevare precocemente eventuali segni di sepsi. Per poter rapidamente identificare la presenza di infezione si devono conoscere quelli che sono i segni clinici caratteristici.
I segni e sintomi di infezione includono:
- Calore e/o rossore intorno alla zona lesa
- Aumento del dolore
- Aumento dell’essudato, cattivo odore dal sito della ferita
- Aumento dell’edema o fragilità, gonfiore della zona interessata
- Febbre o aumento della temperatura locale della ferita
- Linfangite
È essenziale che l’infermiere durante il monitoraggio continuo del paziente, rilevi tempestivamente segni e sintomi di infezioni e che segnali eventuali alterazioni così che il medico possa adattare la terapia. Tuttavia, seppur la sepsi sia una complicanza frequente, risulta indispensabile sottoporre i pazienti ad accurata diagnosi differenziale per SIRS (sindrome da risposta infiammatoria sistemica) che sviluppano quasi tutti i pazienti gravemente ustionati a seguito del trauma subito, così come riportato dall’ABA (American Burn Association).
Il rischio di infezione è maggiore in caso di pazienti ustionati rispetto ad altre categorie di pazienti.
Le infezioni delle ferite da ustione sono un problema serio che può portare a guarigione ritardata, fallimento nell’attecchimento dell’innesto cutaneo e aumento della durata della degenza, ma soprattutto possono portare, nei casi peggiori, a setticemia e morte.
È di fondamentale importanza adottare misure preventive contro l’infezione per ridurre il verificarsi di eventi avversi e per la sopravvivenza e sicurezza del paziente ustionato.
È richiesta la conformità a rigorose pratiche di asepsi per ridurre l’incidenza delle infezioni in questi pazienti che presentano un sistema immunitario soppresso. Le misure preventive includono l’escissione precoce dell’escara per migliorare la perfusione locale e prevenire la colonizzazione microbica, l’uso prudente di dispositivi invasivi, la scelta appropriata di medicazioni antimicrobiche per le ustioni, e il rispetto diligente delle pratiche standardizzate di controllo delle infezioni da parte degli operatori.
Il rischio di infezione può essere ridotto anche attraverso l’utilizzo di stanze isolate così da impedire che i microrganismi passino da un paziente all’altro e ridurre le infezioni crociate nelle unità di terapia intensiva.
Un ambiente ospedaliero pulito e standard elevati di pulizia aiutano a prevenire la diffusione di microrganismi.
Le superfici contaminate, giocano un ruolo importante nella trasmissione degli agenti patogeni. L’igiene ottimale delle mani è considerata la base della prevenzione.
La diligente osservanza delle pratiche di controllo delle infezioni è conveniente in quanto ridurrà i costi e le risorse necessarie per trattare l’infezione della ferita da ustione.
Per quanto concerne il ruolo infermieristico nella prevenzione dell’infezione da ustioni, l’infermiere deve detergere la ferita, sbrigliarla dal tessuto necrotico, croste, sangue secco ed essudato, applicare agenti topici, eseguire le medicazioni, garantire l’igiene del paziente e cura dei devices che esso utilizza. Deve assicurarsi inoltre che i cambi di medicazione siano fatti in maniera adeguata e con la giusta frequenza. Bisogna ispezionare la ferita per verificare l’eventuale presenza di infezione: cellulite, cattivo odore, aumento dell’essudato della ferita e / o alterazioni dell’essudato, cambiamenti nell’aspetto della ferita, e aumento del dolore.
In caso di sospetto di infezione, il medico può prescrivere colture e biopsie per identificare il tipo e la quantità dei microrganismi responsabili e le ferite infette devono essere trattate con uno specifico antibiotico sistemico, una medicazione topica, o una combinazione di questi trattamenti. Se si sospetta un’infezione, le medicazioni postoperatorie possono essere rimosse in anticipo per un esame più attento della ferita. Anche i siti da cui si prelevano gli innesti richiedono ulteriori cure per prevenire il rischio di infezioni.
COMPLICANZE EMORRAGICHE
I pazienti con gravi ustioni sperimentano una serie di cambiamenti fisiopatologici, tra cui anche anomalie della coagulazione. Il disturbo della coagulazione nei pazienti con ustioni è caratterizzato da alterazioni procoagulanti (i pazienti ustionati sono in uno stato ipercoagulabilità e deve essere profilatticamente somministrato anticoagulante per ridurre il rischio di tromboembolismo venoso), ma sono state osservate anche anomalie nella fibrinolisi ed anomalie correlate all’anticoagulazione.
Nel complesso, circa il 40% dei pazienti con ustioni maggiori mostra cambiamenti nelle prime 24 ore (il più delle volte del tempo di protrombina) rispetto al test standard della coagulazione. Queste anomalie sono correlate alla gravità dell’ustione e alla somministrazione di una terapia fluida intensiva che porta a diluizione dei fattori della coagulazione ed ipotermia che può compromettere il funzionamento degli stessi.
Inoltre, le attuali tecniche chirurgiche per lo sbrigliamento delle ferite da ustione sono associate a una notevole perdita di sangue a causa dell’azione aggressiva sui tessuti. Il debridement chirurgico viene eseguito utilizzando l’escissione tangenziale per rimuovere in sequenza il tessuto devitalizzato fino a quando non si verifica sanguinamento che da indicazione della presenza di un letto di ferita vitale; sfortunatamente però, ciò si traduce in una significativa perdita di sangue.
Le moderne strategie emostatiche includono infiltrazione sottocutanea di adrenalina, lacci emostatici agli arti, elettrocauterizzazione, utilizzo di fibrina ed epinefrina o trombina topica.
E proprio per migliorare questa situazione ed ovviare questa complicanza, recentemente si sono sviluppate delle metodiche di trattamento alternative, come un agente di debridement enzimatico selettivo ad azione rapida a base di bromelina (Nexobrid ®). Rispetto allo sbrigliamento chirurgico, lo sbrigliamento enzimatico sembra provocare una minore perdita di sangue correlata alla procedura.
RISK MANAGEMENT
Il risk management rappresenta l’insieme delle azioni, delle metodologie e degli strumenti impiegati in azienda per la riduzione dei rischi che comportano, potenzialmente, solo conseguenze negative all’organizzazione.
La gestione del rischio, a sua volta, si basa sulla conoscenza degli elementi che lo costituiscono. Tali elementi possono essere descritti come l’insieme delle minacce in cui i rischi si concretizzano (ovvero la fonte del rischio), l’insieme delle risorse aziendali colpite dalla minaccia (i diversi sottosistemi aziendali esposti al rischio), i punti di debolezza che possono aumentare la probabilità che il concretizzarsi della minaccia dia origine ad un danno e rendere le risorse più vulnerabili e, infine, l’insieme delle “conseguenze” del verificarsi della minaccia, ovvero l’insieme degli effetti su tutte le componenti del sistema aziendale.
Il risk management reinterpreta in modo originale la “funzione di controllo”, attraverso una strategia di responsabilizzazione sulla qualità dell’assistenza erogata, che viene affidata alla gestione dei professionisti in cambio della piena autonomia decisionale relativa a dove e come agire sui fallimenti del sistema assistenziale. L’approccio sottolinea la necessità di dare vita ad un nuovo rapporto tra management e professionisti come condizione per introdurre nuove strategie e sistemi di gestione dei rischi.
In sanità possiamo parlare di rischio clinico, definito come la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, intendendosi un evento indesiderabile, non intenzionale e dannoso per il paziente, imputabile alle cure mediche ricevute durante il periodo di degenza ed in grado di causare un prolungamento dello stesso, un peggioramento delle condizioni di salute o addirittura condurre il paziente a morte.
Alla base di ogni evento avverso è sempre possibile individuare uno o più errori, che possono essere commessi dai singoli operatori o dal sistema. In questo ambito possono verificarsi anche degli eventi sentinella: è sufficiente che un fenomeno si verifichi una sola volta affinché si renda opportuna un’immediata indagine per poter identificare i fattori che hanno portato al suo sviluppo e correggerli facendo in modo che questo evento non si ripresenti o potrebbe verificarsi anche un near miss event: un incidente evitato a seguito di un tempestivo riconoscimento ed intervento di correzione.
I momenti chiave di questo ciclo sono innanzitutto il coinvolgimento e formazione del personale e l’identificazione degli obiettivi della funzione di risk management.
Gli infermieri hanno un ruolo fondamentale da svolgere nella gestione del rischio clinico e nella promozione della sicurezza dei pazienti nei diversi settori dell’assistenza sanitaria per poter garantire un’assistenza di qualità. Di conseguenza, gli infermieri devono essere preparati dal punto di vista educativo, attraverso la formazione, per gestire efficacemente il rischio clinico nel momento in cui erogano assistenza al paziente.
La possibilità di fare formazione aggiuntiva per gli infermieri in quest’area deve essere ricercata sistematicamente come priorità strategica così che essi abbiano i mezzi per rispondere efficacemente alle loro responsabilità etiche e professionali e contribuire ad iniziative più ampie.
Gli infermieri di tutti i livelli e aree di pratica hanno la rigorosa responsabilità di ridurre e, dove possibile, prevenire l’incidenza e l’impatto degli eventi avversi nei contesti in cui essi lavorano. Inoltre, è ampiamente riconosciuto che gli infermieri (che costituiscono la più grande componente della forza lavoro sanitaria) sono “inseparabilmente legati alla sicurezza del paziente”. Gli studi di ricerca condotti hanno dimostrato, attraverso la continua sorveglianza del paziente (valutazione e monitoraggio) che gli infermieri svolgono un ruolo fondamentale nell’individuazione, prevenzione di errori, di eventi avversi e complicanze. Pertanto, gli infermieri hanno contribuito in modo sostanziale al raggiungimento di risultati positivi sulla sicurezza dei pazienti. Tuttavia, è riconosciuto che essi, come altri, potrebbero avere una migliore preparazione a livello educativo per contribuire in maniera più ampia al miglioramento della sicurezza e della qualità dell’assistenza sanitaria.
Il Consiglio Internazionale degli Infermieri (ICN) sostiene che:
“La sicurezza del paziente è fondamentale per la qualità dell’assistenza sanitaria e infermieristica” e che tutti gli infermieri hanno la responsabilità fondamentale di “garantire la sicurezza del paziente in tutti gli aspetti dell’assistenza”
L’ICN inoltre sostiene anche che i membri della professione infermieristica potrebbero e dovrebbero essere meglio preparati dal punto di vista educativo per poter adempiere a questa responsabilità.
È stato identificato infatti che uno dei principali ostacoli allo sviluppo della capacità di gestione del rischio clinico ed alla minimizzazione del danno è l’assenza di un programma di educazione sul clinical risk management sistematico, mirato ed uniforme.
Tutti gli infermieri hanno la responsabilità ed il dovere di impegnarsi nell’educazione alla sicurezza così da poter essere nella migliore posizione possibile per adempiere alle proprie responsabilità in merito alla promozione della sicurezza e dell’assistenza di qualità nei sistemi sanitari mondiali.
Seppur sia vero che “è nella natura umana commettere errori”, è anche vero che “è nella natura umana cercare delle soluzioni, identificare alternative e affrontare le sfide future”.
Fornire un’educazione alla sicurezza di qualità basata sull’evidenza per gli infermieri è un modo in cui la professione può essere facilitata per affrontare le richieste di miglioramento della sicurezza e della qualità dell’assistenza sanitaria e per ridurre l’incidenza e l’impatto di eventi avversi ed eventi prevenibili. La sfida ora è quella di progettare e fornire tale istruzione in maniera tempestiva, efficace e significativa in tutti i programmi di sviluppo universitario, post-laurea e nella vita professionale.
Alessia Fumarulo
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