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Case di comunità: accordo tra Regioni e Governo sulla riforma. Tutte le novità

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Case della comunità, pubblicate le Linee di indirizzo Agenas
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Dopo un anno di polemiche, Regioni e Governo trovano l’accordo sulla riforma della sanità territoriale, vincolando – o come dipendenti o come liberi professionisti in convenzione – i medici di famiglia a prendervi parte per un numero congruo di ore. E’ il primo passo per avviare le case di comnità, anello mancante per dare forma alla nuova medicina territoriale, che dovrà anche far respirare i pronto soccorso negli ospedali e ridurre le liste d’attesa.

I punti principali sono l’Istituzione della specializzazione per i medici di cure primarie e la possibilità di optare per la dipendenza, oltre alla trasformazione dell’attuale modello convenzionale in forme di accreditamento, preferibilmente per gruppi di medici operanti nelle case di comunità. E inoltre prevista la possibilità per i medici convenzionati di optare per la dirigenza medica con percorsi agevolati di riconoscimento dei titoli.

Le case di comunità, rimaste finora scatole vuote, dovranno essere aperte 12 ore, se non 24 su 24, sette giorni su sette, offrendo anche visite specialistiche e accertamenti diagnostici di primo livello, come ecografie o elettrocardiogrammi. Un cambiamento radicale, che non piace però ai medici di famiglia, i quali tengono i loro studi aperti in media per 14 ore settimanali e che con la rivoluzione in arrivo dovranno lavorarne 36, di cui almeno la metà nei maxi ambulatori, da aprire tassativamente entro giugno del 2026 per non perdere i finanziamenti europei.

La Fimmg non vuole i medici di famiglia dipendenti, come invece è stato ribadito nel documento del quale hanno discusso mercoledì pomeriggio il ministro della Salute, Orazio Schillaci, e il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga. Un incontro che è servito a risanare la doppia frattura che si era creata tra i due proprio su riforma territoriale e liste di attesa.

“L’incontro con il presidente Fedriga in merito al decreto sui poteri sostitutivi è stato positivo – fanno sapere dal ministero in una nota -. Abbiamo trovato un punto di incontro che ci permette di rendere pienamente operativa la legge sulle liste d’attesa. Ora dobbiamo andare avanti con l’attuazione delle norme per il bene dei cittadini e su questo il presidente Fedriga mi ha assicurato la massima collaborazione da parte di tutte le Regioni. Non possiamo permetterci ritardi sull’abbattimento delle liste d’attesa, un tema tanto rilevante per la tutela della salute dei cittadini”.

Il documento presentato da Fedriga – approvato, anche se non del tutto da Schillaci – prevede che le Regioni stesse possano decidere di assumere i nuovi medici come dipendenti per coprire magari aree dove oggi nessuno vuole andare. La seconda ipotesi è quella di lasciare l’opzione tra libera professione e dipendenza. La terza è l’ipotesi di “accreditare” coop di medici alle quali assegnare il servizio nelle case di comunità.

Il documento prevede poi “un periodo transitorio” in cui anche gli specializzandi potrebbero essere reclutati per far partire le nuove strutture, mentre i medici di famiglia già in servizio avrebbero anche loro la possibilità di decidere se passare al contratto di dipendenza, che comunque offre più tutele. Al ministero della Salute, invece, preferiscono che siano i medici a scegliere il regime contrattuale, purché lavorino nei maxi ambulatori dalle 18 ore settimanali in su, a seconda del numero di assistiti. Che è poi è quanto ha proposto sin dall’inizio Schillaci.

Pieno accordo sul punto uno delle riforma disegnata dalle Regioni, che prevede di “trasformare il modello formativo dei medici da corso di formazione gestito dalla Regioni a corso di specializzazione universitaria”. Detta così, sembra una cosa di poco interesse per gli assistiti. Invece inciderà e molto sulla qualità dell’assistenza erogata, perché oggi il medico di famiglia diventa tale dopo tre anni di corsi gestiti dal suo stesso sindacato, mentre d’ora in poi faranno come gli specialisti ospedalieri, e cioè altri quattro anni di studi universitari.

Ma qual è nel dettaglio la proposta delle Regioni? Di seguitoi punti principali.

1. Trasformare l’attuale modello formativo dei medici del ruolo unico da corso di formazione specifica gestito dalle Regioni a corso di specializzazione universitaria (l’assunzione in qualità di dirigenti medici nelle aziende del Ssn, infatti, presuppone obbligatoriamente il possesso di una specializzazione); questo a prescindere da quello che sarà, in concreto, il regime di impiego del medico (dipendenza o convenzione). Tale aspetto evidentemente non è necessario per i Pls.

2. Individuare parametri di riferimento standardizzati, sia in termini di rapporto medico/residente per definire il numero di medici e pediatri per le cure primarie di cui si necessita per l’erogazione del servizio e per l’attivazione di idonei corsi di specializzazione a livello nazionale, con garanzia di attivare in ogni Regione e Provincia autonoma almeno un corso di specializzazione e assegnazione di borse di studio congrue rispetto alla popolazione residente, sia in termini di quota assistito/residente per definire le risorse economiche necessarie alla copertura dei fattori di produzione per l’erogazione del servizio

3. Consentire alle Regioni e alle Province autonome di programmare i posti di volta in volta da coprire per l’assistenza medico-generica e pediatrica ricorrendo, a seconda delle esigenze e delle peculiarità territoriali, al reclutamento di dirigenti medici oppure al convenzionamento sulla base dell’Acn vigente.

4. Introdurre un regime transitorio, nelle more che entrino a regime i corsi di specializzazione universitaria di cui al punto 1, al fine di consentire, fin da subito, il reclutamento di dirigenti medici per le cure primarie (ipotizzando, per esempio, che il reclutamento possa avvenire anche prima del termine del corso di specializzazione o definendo le equipollenze con altre specialità).

5. Integrare il Dpr n. 483/1997 per inserire i dirigenti medici che si occupino di cure primarie nel sistema di reclutamento della dirigenza medica e definirne il percorso di confluenza nel Ccnl della dirigenza dell’Area Sanità con apposito atto di indirizzo del Comitato di Settore (in questo momento, non esiste nessun contratto collettivo nazionale che permetta alle Regioni e alle Province autonome di assumere personale da adibire alla erogazione delle cure primarie; eventualmente si potrebbe trovare una forma contrattuale da applicare per analogia all’attività svolta presso le strutture previste dal Pnrr).

6. Consentire agli attuali Mmg/Pls in convenzione che volessero farlo di optare per la dirigenza medica, con percorsi agevolati in termini di riconoscimento dei titoli abilitativi (così come già accaduto in passato per altre discipline specialistiche).

7. Rendere più appetibile il ruolo dei medici per le cure primarie, consentendo ai nuovi assunti o ai nuovi convenzionati la facoltà di accrescere il proprio patrimonio di conoscenze accedendo, anche in sovrannumero e mitigando i vincoli orari di frequenza attualmente previsti, a talune scuole di specializzazione di particolare interesse nell’ambito delle cure primarie (ad es. geriatria; cardiologia; etc.).

8. Prevedere la possibilità di trasformare l’attuale modello convenzionale, basato su ACN, in una forma di vero e proprio accreditamento, con modifica sostanziale di Acn, ovvero 3, approdando ad accordi del tipo privato-accreditato, rivolti preferibilmente non al singolo medico ma a gruppi di medici che operino prevalentemente nelle case della comunità.

9. Prevedere fin da subit, nelle more che vadano a regime, i modelli sopra delineati, obblighi normativamente cogenti per gli attuali medici convenzionati, ove necessario, anche al fine di garantire l’attuazione di quanto già previsto dall’Acn 2024, in termini – per esempio – di debito orario e di prestazioni da garantire, di luoghi ove operare prevalentemente e di strumenti informatici da adottare, che siano sottratti alla contrattazione collettiva di livello nazionale e locale, in modo tale da assicurare l’effettivo avvio delle strutture e dell’organizzazione prevista dal Pnrr.

10. Definire le ricadute economiche complessive della riforma, prevedendone la copertura integrale.

Redazione Nurse Times

Fonte: DottNet

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