Intervistato dal Tirreno, Francesco Longo, direttore dell’Osservatorio del Cergas/Sda dell’Università Bocconi sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale, membro del Consiglio Superiore della Sanità e ricercatore per l’Organizzazione e la gestione del personale nelle aziende pubbliche, definisce la situazione derivante dalla mancanza di figure professionali in sanità (specie di infermieri).
“Dal 2030 torneremo ad avere la pletora medica – esordisce Longo -. Per i medici abbiamo raddoppiato i numeri degli accessi alle università, senza programmazione. Nel 2030 sforneremo ogni anno in Italia 20mila medici specializzati e ne andranno in pensione 5mila all’anno. Siamo fuori scala. Diventeremo un Paese esportatore di medici. Opposto lo scenario per gli infermieri, che mancano e mancheranno. Le professioni sanitarie sono 23: infermieri, tecnici di laboratorio, fisioterapisti… Per gli infermieri non abbiamo le vocazioni”.
Le ragioni di questa situazione? “Non è un problema di stipendio – spiega Longo -. I giovani di oggi sono una generazione narcisista, nel senso che sono attratti da lavori narcisisti, mentre l’infermiere è un lavoro oblativo. E quindi abbiamo un problema generale di mancanza di persone che fanno lavori di cura. Va spiegato alla collettività che l’infermiere non fa quello che faceva 30 anni fa. Oggi quello lo fa l’oss. L’infermiere non imbocca, non toglie il pannolone, ma distribuisce i farmaci, controlla l’evoluzione delle patologie, è laureato”.
Soluzioni? “Quattro mosse per provare a risolvere il problema – propone Longo -. Primo, ridurre le 23 professioni sanitarie e portarle a otto, come hanno i tedeschi. Così si aumenta la flessibilità tra categorie professionali. Secondo, a Varese non hanno infermieri perché vanno a lavorare tutti in Svizzera. Hanno verificato che il 30% del lavoro che fanno gli infermieri può essere fatto da amministrativi, e questo già ridurrebbe il problema, appunto, del 30%. Terzo, dobbiamo fare una campagna nazionale con testimonial, in grande stile, rilanciando la bellezza di fare l’infermiere: tempo indeterminato, posto sicuro, ben pagato e si può fare ovunque. Serve un lavoro serio sulle vocazioni, che non significa un poster appeso negli ospedali, ma ‘l’invasione’ dei social. Quarto, dobbiamo attrezzarci per importare infermieri da altri Paesi”.
Longo approfondisce quindi quest’ultimo punto, decisamente controverso: “Si incaricano le agenzie interinali, che sono delle multinazionali. Si dovranno occupare dei corsi di lingua, degli aggiornamenti professionali con le nostre università, di trovare le case. Recentemente sono stato all’ospedale di Colonia: ci sono tre social media manager che trovano infermieri su Instagram e in 15 giorni mandano il contratto. I nostri enti pubblici non possono competere, le grandi società interinali invece sì. Noi però dobbiamo dire quanti ce ne servono e da quali Paesi. Dobbiamo attrarre giovani o coppie, altrimenti poi se ne vanno”.
E sugli oss: “Abbiamo un milione e 100mila badanti. Ma le badanti non possono stare sei mesi (la durata del corso) senza stipendio. Quindi va offerta loro una borsa di studio: sarebbero ben contente di uscire da un lavoro poco strutturato e faticoso per avere un posto a tempo indeterminato, a 36 ore alla settimana”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Tirreno
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