Di seguito uno stralcio dell’articolo sul tema pubblicato su L’Infermiere, rivista della Fnopi, e firmato da Ilaria Battarin (infermiera), Antonella G. Caruso (tutor corso di laurea in Infermieristica – Università degli Studi di Milano-Bicocca, sede Asst Monza Policlinico), Stefania Di Mauro (professionista associato in Scienze infermieristiche – Università degli Studi di Milano-Bicocca), Massimo Alberio (direttore didattico corso di laurea in Infermieristica – Università degli Studi di Milano-Bicocca, sede Asst Monza).
La professione infermieristica rientra nelle cosiddette professioni d’aiuto. Il “prendersi cura” della persona è una caratteristica cruciale di questa professione, che è un componente essenziale del processo di guarigione del malato e, proprio per questo, ne deriva un carico emozionale.
Gli infermieri si trovano spesso davanti a emozioni intense, come il confronto con la morte. Entrando nello specifico, coloro che lavorano nell’area dell’emergenza-urgenza sono spesso sottoposti a maggior carico emotivo, proprio per la condizione di instabilità clinica, tale da compromettere la sopravvivenza della persona e la rapida e complessa risposta assistenziale richiesta.
Uno studio qualitativo condotto nel 2008 su 15 pronto soccorso di ospedali del Belgio, ha riportato che negli ultimi sei mesi il 31,6% degli infermieri si è scontrato con la morte di giovani e il 25% di bambini o adolescenti. Il 15% ha riscontrato un decesso, il 32% due decessi, il 23% quattro o cinque decessi, il 17% sei o più decessi.
L’82% degli infermieri che negli ultimi sei mesi si è scontrato con una morte improvvisa ha commesso poi un errore. Esiste un filone della psicologia che si occupa dello studio dei fenomeni psichici, cognitivi e comportamentali che insorgono in situazioni di shock o di fronte a un evento critico.
In ambito infermieristico la definizione è data da Mitchell nel 1983: qualunque situazione affrontata dal personale di emergenza sanitaria, capace di produrre uno stress emotivo insolitamente elevato in grado di interferire sulle abilità dell’operatore di fronte alla scena dell’evento e anche dopo. Secondo questa definizione, assistere alla morte improvvisa di un proprio paziente dopo aver speso energie è un evento critico.
Secondo il senso comune, poi, far trapelare le proprie emozioni davanti a un evento critico, come la morte, è errato poiché può interferire con la relazione d’aiuto che si è instaurata con il paziente o con i familiari. Da uno studio è emerso infatti che il 78% degli infermieri di pronto soccorso sviluppa un atteggiamento di distacco emotivo dal paziente in fin di vita e dai suoi familiari, focalizzandosi sugli aspetti biomedici della malattia. Non perché il lutto non sia vissuto, ma perché è poco professionale manifestare i propri sentimenti e le proprie emozioni in tali situazioni.
Redazione Nurse Times
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