“Quando Tina Anselmi promosse la nascita del Servizio sanitario nazionale nel 1978 aveva l’idea che la malattia non fosse un problema individuale, ma dovesse essere a carico della società. Quel diritto alla salute, che faticosamente è stato conquistato, a fatica oggi riusciamo a garantirlo”. Così Filippo Anelli, presidente dell’Ordine dei medici (Omceo) di Bari e della Federazione nazionale dei medici (Fnomceo) in apertura del convegno “Investire nei professionisti sanitari per garantire la salute della persona”, che ha fatto il punto sulle criticità del servizio sanitario nazionale alla luce delle carenze di personale e le difficoltà nel garantire in tale contesto la salute dei cittadini.
“Quel sistema, nato nel 1978, oggi mostre delle crepe, come il dato rilevato dall’Istat secondo cui 4,5 milioni di cittadini rinunciano alle cure – ha continuato Anelli –. È come se un’intera Regione come la Puglia non si curasse più. Questo rivela un tradimento della missione del Ssn. Dopo il Covid i governi hanno investito nel Ssn 15 miliardi in strutture e infrastrutture. Abbiamo cambiato le tac, abbiamo ristrutturato gli ospedali. Ma gli investimenti in chi fa realmente la sanità, negli operatori sanitari dove sono? Gli investimenti fatti dal governo hanno recuperato gli arretrati sui contratti, ma non ci sono stati nuovi investimenti, capaci di bloccare la fuga dei medici dalla Sanità pubblica. Oggi viviamo in un mercato europeo. Esercitare fuori dall’Italia per un giovane medico vuol dire avere più considerazione e una retribuzione migliore”.
L’intervento di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha descritto la crisi del Ssn come lo scioglimento lento, silenzioso e inesorabile di un ghiacciaio, che va avanti da anni e che ora, in assenza di interventi decisi, rischia di essere a un punto di non ritorno. La quota di ricchezza del paese che viene spostata sul servizio sanitario è sempre meno, e in relazione al Pil tende a scendere ormai da diversi anni. La spesa sanitaria pubblica italiana nel 2023 era al 6,2% del Pil, ben al di sotto della media Ocse del 6,9%. Nel 2023 l’Italia ha speso 176 miliardi per la sanità, con un 23% di spesa privata, ben al di sopra del 15% indicato dall’Oms come soglia oltre la quale viene compromessa l’accessibilità ai servizi sanitari.
La spesa sanitaria pubblica pro capite dell’Italia (3.574 dollari) è sotto la media Ocse (4.318 dollari) e UE (4.344 dollari), poiché dopo il Covid l’Italia ha investito meno rispetto ad altri Paesi. Particolarmente critica la situazione al sud, dove l’aspettativa di vita alla nascita è sotto la media nazionale, proprio perché è peggiorata l’assistenza sanitaria, che del resto ha a disposizione meno personale. Per esempio, come ha sottolineato Luigi Fruscio, direttore generale Asl Bari, oggi la Puglia ha 15-20mila persone in meno nel Ssr rispetto a Toscana ed Emilia-Romagna, regioni con un peso demografico paragonabile.
“Le Regioni del Sud sono anche ‘strangolate’ dal costo della mobilità sanitaria – spiega Anelli –, per cui dovrebbe esserci un fondo perequativo nazionale che permetta ai cittadini di scegliere liberamente dove andare a curarsi senza pesare sul bilancio regionale”.
“Siamo una regione che nel corso degli ultimi dieci anni è passata dall’essere ultima nei LEA ad essere una delle prime regioni del Sud per il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza – ha puntualizzato Raffaele Piemontese, assessore alla Salute della Regione Puglia –. Nonostante questo, la questione del piano di rientro rimane. Sono piani di rientro che non hanno raggiunto gli obiettivi per cui erano nati: non puoi tenere una regione per dieci anni con il blocco delle assunzioni e tutta una serie di limitazioni, altrimenti non è più il paziente al centro ma la burocrazia. La permanenza o meno di una regione in piano di rientro deve prendere in considerazione segnali come il miglioramento nel rispetto dei Lea”.
Mediamente, secondo i dati citati da Cartabellotta, rispetto al passato mancano una quarantina di miliardi alla spesa sanitaria italiana, di cui 33 miliardi di euro sono venuti meno ai fondi dedicati al personale sanitario. Inoltre, a causa della scarsa attrattività, il nostro sistema rischia di formare medici con denaro pubblico che non rimarranno nel Ssn, ma verranno ceduti alle strutture private o all’estero.
“I tagli al Servizio sanitario nazionale e il sottofinanziamento cronico hanno drasticamente ridotto gli investimenti sul personale sanitario, sia dipendente che convenzionato – ha sottolineato Cartabellotta nel suo intervento –. Il blocco delle assunzioni, i mancati rinnovi contrattuali e il numero insufficiente di borse di studio per specialisti e medici di famiglia hanno aggravato una crisi che si trascina da anni. L’assenza di una programmazione adeguata ha alimentato la carenza di professionisti sanitari, mentre la pandemia ha slatentizzato una crisi motivazionale già in atto. Sempre più giovani disertano l’iscrizione a corsi di laurea come scienze infermieristiche e a specializzazioni mediche meno attrattive, come emergenza-urgenza, e molti medici e infermieri abbandonano il Ssn per il privato o per l’estero”.
Sempre Cartabellotta: “A tutto questo si aggiungono pensionamenti in crescita, burnout e demotivazione, che stanno erodendo la forza lavoro della sanità pubblica. Le conseguenze di questa emorragia di personale sono sotto gli occhi di tutti: liste d’attesa interminabili, pronto soccorso al collasso, cittadini senza medico di medicina generale. Tutto riconduce alla mancanza di professionisti sanitari e al loro progressivo abbandono del Ssn. È urgente rilanciare le politiche sul capitale umano, rendendo nuovamente attrattiva la carriera nella sanità pubblica, migliorando le condizioni di lavoro e riformando i percorsi formativi. Senza un intervento deciso, il Ssn non sarà in grado di garantire universalmente il diritto alla tutela della salute”.
Ha concluso Anelli: “Siamo preoccupati che si vada sempre più verso il privato. Serve un atto di fede verso il servizio sanitario nazionale. Chiediamo al Governo di non tradire lo spirito del 1978, che ha animato una parte importante della società civile e del mondo medico. Il Ssn rappresenta il modo migliore per esercitare la nostra professione e non vogliamo perderlo”.
Redazione Nurse Times
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