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Al via la banca dati del DNA

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Al via la banca dati del DNA
3d render of a DNA spirals
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Dopo 7 anni dall’approvazione, parte anche in Italia la banca nazionale del DNA, strumento essenziale per combattere terrorismo e criminalità organizzata

Era stata istituita con una legge nell’ormai lontano 30 giugno del 2009 dopo che l’Italia aveva aderito al Trattato di Prum del 2005 sulla cooperazione transfrontaliera per contrastare terrorismo, criminalità transfrontaliera e migrazione illegale.

Finalmente, dicono i sindacati della polizia penitenziaria, ci mettiamo al passo con altri Paesi europei come Francia, Germania e Spagna che ne hanno una già da 10 anni fa mentre noi siamo gli ultimi insieme a Grecia ed Irlanda.

Sono stati distribuiti già migliaia di kit – come si apprende da un articolo datato 12 giugno 2016 e riportato da RaiNews –  ed il primo prelievo è stato effettuato su un detenuto straniero nel carcere romano di Regina Coeli.

A oggi sono circa 140 le persone censite. La Banca dati sarà utile specialmente nella lotta alla criminalità, al terrorismo ma anche nella ricerca delle persone scomparse e alla soluzione dei cosiddetti “cold case” (delitti irrisolti).

È stata collocata nel Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, mentre il Laboratorio centrale si trova nel Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap).

Sempre al Dap, è stato istituito un ufficio a cui sono affidati l’organizzazione e il funzionamento del Laboratorio, le relazioni con l’autorità giudiziaria e i servizi di polizia giudiziaria.

Un dettagliato regolamento attuativo della legge disciplina le operazione di raccolta.

Viene prelevato un campione di mucosa dal cavo orale, da parte di poliziotti penitenziari che hanno seguito dei corsi specifici, “nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto”.

Il campione, poi, viene immediatamente inviato al Laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna dotato di macchinari robotizzati. Quindi, viene spedito alla Banca dati nazionale.

Il Dna non può essere prelevato in modo indiscriminato ma solo a cinque categorie di persone: chi viene arrestato in flagranza o sottoposto a fermo; chi si trova in custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari; i detenuti condannati in via definitiva per delitti non colposi; chi ha avuto una misura alternativa al carcere sempre per un delitto non colposo; chi sconta una misura di sicurezza detentiva in via provvisoria o definitiva.

Il prelievo si applica sia ai maggiorenni che ai minorenni. Sono esclusi dal prelievo le persone condannate per tutti i reati non violenti, come quelli fallimentari, societari o tributari.

L’accesso ai dati contenuti nella Banca dati nazionale del Dna è consentito alla polizia giudiziaria e all’autorità giudiziaria esclusivamente per le identificazioni o per attività di collaborazione internazionale di polizia.

Se una persona viene assolta con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste, non ha commesso o perché il fatto non costituisce reato si deve procedere alla cancellazione d’ufficio dei profili del Dna e alla distruzione dei campioni biologici.

Comunque il termine massimo entro il quale va comunque cancellato il profilo del Dna dall’archivio nazionale è di 40 anni.

Un limite che scende a “non oltre 20 anni dall’ultima circostanza che ne ha determinato il prelievo”.

La Banca dati comunque è sottoposta al controllo del Garante per la privacy. Proprio la riservatezza, negli ultimi anni, è stato il terreno di maggior scontro per avviare questo nuovo strumento a disposizione degli inquirenti.

“Ben vengano strumenti identificativi e ben venga il contributo che il Dap può dare alle indagini — ha detto Mauro Palma, garante nazionale dei detenuti — ed è un passo in avanti.

La criticità maggiore può arrivare dal modo in cui si disporrà di questi dati, da chi vi potrà accedere, dalla tracciabilità, da chi conserva e chi distrugge.

Sicuramente non sono questi punti tali da inibire la norma, si tratta solo di costruire strumenti effettivi per garantire la massima tutela dei diritti delle persone”.

Scupola Giovanni Maria

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