Lodevole la petizione promossa dalla sigla sindacale Nursing Up sull’aumento stipendiale per la categoria professionale degli infermieri, ma nella pratica giuslavorista non solo non avrà effetto alcuno, ma soprattutto, non risolve un annoso problema che non è solo lo stipendio tabellare – scarso e assolutamente indecoroso – ma a ben altro, ossia il fatto che dei professionisti sanitari laureati debbano essere equiparati ad altre categorie definite dalla legge mestieri e non professioni.
E’ doverosa una specificazione giuridica altrimenti non si comprende come funziona il mondo del lavoro, l’art. 96 comma 2 delle disposizioni attuative del Codice civile prevede che l’imprenditore abbia l’obbligo di far conoscere al lavoratore assunto la categoria e la qualifica che gli sono state assegnate.
Ciò risulta utile per l’inquadramento individuale del lavoratore nel sistema di classificazione professionale individuato dall’art. 2095 c.c. “Categorie dei prestatori di lavoro”; I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai.
Facciamo quindi una distinzione tra qualifica e categoria, specificando che ognuno di questi termini ha una doppia accezione.
Per “qualifica” si intende sia l’attività che un soggetto svolge nell’organizzazione produttiva, sia l’insieme di mansioni che individuano una figura professionale (il tornitore piuttosto che il carpentiere).
Per “categoria” si intende il livello di appartenenza all’interno dell’organizzazione produttiva di un determinato soggetto. Qui possiamo attuare una distinzione tra categorie legali, individuate dall’art. 2095 c.c., il quale attua la differenza tra operai, impiegati, quadri e dirigenti, e categorie contrattuali, in passato viste dalla contrattazione collettiva come delle sottocategorie di quelle legali, nate per poter attuare delle differenziazioni tra gradi intermedi (per esempio tramite l’individuazione della figura del funzionario, a metà strada tra il quadro ed il dirigente).
Seppure nel linguaggio comune i termini categoria e qualifica vengano utilizzati indifferentemente, con il termine qualifica professionale si intende il raggiungimento di uno standard di conoscenze, abilità e competenze relativamente ad una specifica figura professionale (es. impiegato amministrativo, infermiere).
La mansione rappresenta il contenuto dell’obbligazione del prestatore di lavoro che si concretizza nello svolgimento di una serie di attività (es. operaio addetto alla manutenzione degli impianti).
La contrattazione collettiva nazionale individua le qualifiche ed i livelli in cui devono essere inquadrati i lavoratori sulla base delle mansioni che verranno svolte. In effetti, la suddivisione gerarchica operata dal codice civile è stata nel tempo “sostituita” dal sistema di classificazione previsto dalla contrattazione collettiva, il sistema del cd. inquadramento unico (sia per gli impiegati che per gli operai).
La maggior parte dei contratti collettivi nazionali, infatti, al fine di delineare le linee guida al corretto inquadramento, adotta tale metodo (attraverso le “declaratorie contrattuali”), secondo il quale operai, impiegati e quadri, pur appartenendo a categorie legali differenti, vengono classificati nel medesimo livello in quanto le mansioni da loro svolte hanno, alla luce di quanto valutato dalle parti sociali, analogo valore professionale.
E secondo voi dov’è collocato l’infermiere? Esatto, tra gli impiegati e gli operai, quando si decide quindi l’aumento delle retribuzioni lo si fa per gruppi di categorie, quindi, in ambito sanitario la categoria dei dirigenti sanitari medici e non medici e del comparto, per altri come fabbriche e industria, avranno i metalmeccanici, per l’istruzione, gli insegnanti e così via. Non si discute mai della singola professione o il singolo mestiere, proprio perché il livellamento stipendiale è un metodo di governo delle masse, accontenta tutti e permette un margine di manovra sindacale e governativo che impedisce i tumulti, le manifestazioni, è semplicemente una strategia politica di massa, fare contenti tutti per non accontentare nessuno.
Quindi la petizione è inutile posta in questi termini, sarebbe più corretta posta in altri termini, ossia ”firmate la petizione per passare dalla categoria del comparto (operai) a quella della dirigenza sanitaria (medici e non medici) niente più vincolo di esclusività, attivazione della libera professione, raddoppio dello stipendio, qualifica giuridica di dirigenti etc…” ? Forse riscuoterebbe più successo.
Ben vengano ovviamente gli aumenti di stipendio che nessuno di noi si rifiuterebbe di accettare ben inteso, ma una cosa è accontentarsi delle solite briciole che i sindacati confederati riescono a distribuire a pioggia ogni 10 anni e un’altra è invece la modifica dell’assetto giuridico della professione, spostando l’attenzione non più sulla sola retribuzione, ma bensì su una visione d’insieme più ampia della professione che modificherebbe d’impatto anche la pubblica opinione rispetto all’immagine del professionista infermiere nella società odierna.
La traslazione degli infermieri dal c.d. personale del comparto, dove alloggiano i mestieri elettricisti, idraulici, ascensoristi, impiegati etc. al personale sanitario dirigenziale non medico sarebbe certamente un salto di qualità non solo meritato, ma auspicabile e doveroso.
A questo sarebbe dovuto servire l’evoluzione didattica avvenuta nel corso degli ultimi anni, il passaggio dalle scuole regionali alle università con tutte le conseguenze che tale scelta comporta anche dal punto di vista giuslavoristico.
Dare la giusta collocazione a professionisti laureati triennali e magistrali che ad oggi ancora si trovano in una situazione al limite del paradosso, sono dei laureati ma albergano nella categoria dei non laureati; sono iscritti obbligatoriamente in un albo professionale – utile solo a far fare carriera ai soliti noti o a vessare coloro i quali lo considerano inutile e decidono quindi legittimamente di non pagarlo – ma non traggono i vantaggi che altri professionisti iscritti all’albo hanno, pensiamo all’albo degli ingegneri, architetti, medici, avvocati; sono obbligati per legge al vincolo di esclusività verso l’azienda datrice di lavoro senza avere come controprestazione nulla in cambio neanche un euro – mentre il personale dirigente medico ha una cospicua indennità di esclusività – sono trattati da operai pur avendo un curriculum professionale e conoscenze di alto livello; vengono obbligati a mansioni inferiori con la scusa della moralità e della empatia verso coloro che soffrono e se non si adeguano vengono puniti disciplinarmente; hanno i loro pari (infermieri dirigenti) che la fanno da padrone nei convegni sproloquiando di dirigenza e di filosofia ma demansionano gli infermieri che dirigono, insomma, viviamo in uno status di totale squilibrio governato dai nostri colleghi burocrati e scienziati che invece dovrebbero tutelarci.
Un collegio che parla di dirigenza, di ricerca, di competenze avanzate, di emancipazione della professione, di responsabili di struttura, ma non vede al di là del proprio naso che il 99% dei suoi iscritti vivono situazioni paradossali di demansionamento e vengono sottoposti a provvedimenti disciplinari anche per non aver chiusi i sacchi dei rifiuti speciali.
Di questo dovremmo parlare, da qui si dovrebbe partire per far si che alla professione venga riconosciuta la giusta retribuzione e la giusta considerazione.
Sembra di vivere fuori dal mondo quando vedo o partecipo a convegni dei dirigenti infermieristici, pomposi, soddisfatti, altezzosi, autoreferenziali, mentre tutti gli altri sono la plebe, il popolino, i sudditi coloro che non potranno mai aspirare alla dirigenza perché non sono i prescelti, non sono stati unti dal signore. Ma la realtà è ben altra, ci sono migliaia di infermieri con lauree magistrali, master post universitari, seconde lauree, docenze, pubblicazioni, convegni, autori di libri, di monografie di articoli di giornale, ma per questi è come se non ci fosse spazio, sono delle ombre che vagano nell’universo professionale e che la sera si spogliano della loro veste di docenti e vanno nei reparti a fare gli sguatteri percependo lo stesso stipendio dell’elettricista.
Ecco, questo è l’aspetto che più mi indigna come professionista e come infermiere, la scarsa considerazione che noi stessi abbiamo della nostra professione e di noi come uomini, come appartenenti ad una comunità scientifica che non ci apprezza e non ci considera, disposti a svendere la dignità e la professionalità per un misero aumento contrattuale di pochi euro, o per una posizione organizzativa, senza avere una visione sistemica di insieme e pensare che prima di fare petizioni ancorché comprensibili, dovremmo lottare per un obbiettivo ben più alto.
Non avremo mai speranza di cambiare la storia della nostra professione se non ci mettiamo insieme nel tentativo di svincolarci da quei retaggi culturali medievali che vedono la professione come una missione, una condizione ancillare e subalterna ad altri.
Badate bene che la cosa non parte dalla base, ossia da quei colleghi che per scelta, del tutto rispettabile, hanno deciso di non progredire e di non farsi carico di anni di studio per emergere, no, il problema parte dall’alto e arriva alla base è una prospettiva inversa, parte dai stessi docenti universitari, dai collegi provinciali gestiti da politicanti di turno incollati alla poltrona da decenni, dai professoroni universitari che trasmettono ai propri studenti mansioni che sono parte integrante di altre figure, di altri operatori, mansioni scritte in tutti i testi e in tutti i mansionari loro collegati.
Eppure con tutto che le cose si sanno e sono accessibili a tutti, ci si strappano le vesti per difendere concetti e attività che non fanno altro che ledere ancora di più l’immagine di una professione oramai al dissesto. Per queste futili prese di posizione oltranziste e di privilegio, si contrappongono i “dirigenti infermieri” vs tutti gli altri, come se tutti gli altri non avessero gli stessi titoli e le stesse competenze dei pochi dirigenti, un una lotta inutile che se non stimolerà tutti noi a cambiare prospettiva ci vedrà sempre perdenti.
Quindi, invece di promuovere petizioni lodevoli ma inutili, formiamo un fronte comune per ottenere ciò che ci spetta di diritto, la dignità professionale.
Dott. Carlo Pisaniello – AADI
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