Un’importante analisi pubblicata su JAMA Internal Medicine getta nuova luce sulla diffusione di varianti patogenetiche germinali che aumentano il rischio di tumore al seno in donne senza una storia di cancro mammario. La ricerca ha sfruttato i dati del trial clinico WISDOM (Women Informed to Screen Depending on Measures of Risk), uno studio randomizzato condotto negli Stati Uniti che aveva l’obiettivo di confrontare due strategie di screening mammografico: la mammografia annuale standard e uno screening personalizzato basato sul rischio individuale, che ha incluso l’offerta di un test genetico germinale.
Ebbene, i nuovi dati hanno evidenziato che l’esecuzione dei test genetici, indipendentemente dalla presenza di criteri di rischio genetico, ha permesso di individuare un numero maggiore di donne con varianti in geni di suscettibilità al tumore al seno che potrebbero trarre beneficio da cambiamenti nella gestione clinica.
Lo studio WISDOM
Tradizionalmente, i test genetici per verificare la presenza di mutazioni in geni di suscettibilità al tumore al seno vengono offerti solo a donne che soddisfano criteri specifici. Per esempio una forte storia personale o familiare di cancro mammario o in altri distretti oppure ascendenza ebraica ashkenazita. Seguendo queste indicazioni molte portatrici di varianti genetiche a rischio senza una storia clinica evidente potrebbero non venire intercettate. Per questo motivo gli autori del nuovo studio hanno cercato di capire quanto siano frequenti queste varianti nella popolazione generale non selezionata con l’obiettivo di migliorare strategie di prevenzione e diagnosi precoce.
Nell’ambito dello studio WISDOM più di 30 mila donne tra i 40 e i 74 anni senza diagnosi di tumore al seno sono state avviate allo screening personalizzato. Di queste, 23.098 hanno completato il test genetico che ha analizzato un pannello di nove geni di suscettibilità al tumore al seno: BRCA1, BRCA2, PALB2, ATM, CHEK2, CDH1, PTEN, STK11 e TP53. Altre 16.200 donne hanno invece seguito lo screening mammografico annuale tradizionale.
I risultati chiave: tante donne “a rischio” senza fattori noti
I dati raccolti mostrano che il 3,1% delle donne testate (714 su oltre 23.000) risultava portatrice di una variante genetica potenzialmente pericolosa. Escludendo 109 donne che già erano a conoscenza di essere portatrici di una mutazione predisponente, il tasso di nuove identificazioni di tumore al seno è stato del 2,6% circa.
Tra i geni analizzati, le varianti più frequenti riguardavano i geni CHEK2 e ATM, considerati a penetranza moderata, nel senso che aumentano il rischio, ma non in modo così rilevante come le varianti patogenetiche dei più noti geni BRCA1 e BRCA2. Le varianti meno comuni si sono osservate in geni associati a sindromi rare (ad esempio CDH1, TP53, PTEN e STK11).
Infine, il dato più rilevante emerso dello studio è che quasi il 30% delle donne portatrici di una variante patogenetica importante non aveva alcuna storia familiare di tumore al seno o alle ovaie, né una parente di primo o secondo grado con queste patologie e nemmeno ascendenza ebraica, non avrebbe quindi soddisfatto i criteri attuali per l’accesso ai test genetici.
Possibili implicazioni
Sulla base delle nuove evidenze, le attuali linee guida per l’accesso ai test genetici sembrerebbero troppo restrittive. Se un numero significativo di donne con varianti genetiche a rischio di tume al seno non viene identificato perché non soddisfa i criteri standard, si perde l’opportunità di intervenire precocemente, attraverso un monitoraggio più intenso o, in alcuni casi, misure preventive specifiche.
“I nostri risultati – dichiarano gli autori dello studio – supportano la fattibilità e l’accettabilità di test genetici indipendenti dai criteri per un gruppo eterogeneo di donne. Anche se abbiamo identificato varianti patogenetiche ad alta penetranza in donne che altrimenti non avrebbero avuto diritto al test della linea germinale, le varianti più comuni nella nostra popolazione erano a penetranza moderata o bassa, le quali richiedono un approccio olistico di valutazione del rischio che merita una pianificazione attenta prima dell’implementazione del test genetico senza restrizioni”.
E ancora: “Questi e altri risultati dello studio WISDOM forniranno dati utili agli stakeholder in diversi contesti sanitari per valutare la potenziale utilità clinica e le opportunità di prevenzione e diagnosi precoce del cancro. I nostri risultati dimostrano che basarsi su una storia familiare di cancro riportata presenta limiti nell’identificare le portatrici di varianti patogenetiche, e che i test indipendenti dai criteri amplierebbero il gruppo che potrebbe beneficiare di interventi di sorveglianza e riduzione del rischio basati su evidenze”.
Redazione Nurse Times
Fonti
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