Il caso della Rsa di Ostuni
C’è chi festeggia: “La Rsa di Ostuni torna pubblica!”. Titoli ottimistici, comunicati rassicuranti e una narrazione che sa di rinascita. Dopo anni di gestione privata, la residenza sanitaria assistita della Città Bianca passa all’Asl Brindisi. Un ritorno alla casa madre, potremmo dire. Peccato che, in questa famiglia, manchi spesso la cena. E, talvolta, pure chi cucina.
Dal trionfo alla tabella Excel
Sì, perché dietro la parola “internalizzazione”, che suona tanto bene nei comunicati stampa, si nasconde la solita matematica della burocrazia: ridistribuzione del personale, tagli, spostamenti, turni da riempire come caselle di un puzzle che non combacia mai.
E così, mentre si annuncia con orgoglio la “gestione pubblica”, si scopre che parte del personale infermieristico e di supporto viene dirottato su altre strutture per “garantire la copertura dei servizi”.
Insomma, la Rsa torna pubblica, ma senza tutto il personale necessario. Una riorganizzazione che ricorda quei trucchi di magia economica: spariscono le risorse, ma rimane la promessa.
Infermieri: il collante che non regge più
Gli infermieri restano, come sempre, la colla di un sistema che si crepa. Si chiede loro di coprire più reparti, di adattarsi, di “capire il momento difficile”. Ma il momento difficile dura da vent’anni. E ogni volta che la politica annuncia una “vittoria per la sanità pubblica”, gli infermieri sanno già che significa una cosa: nuove carte da firmare, ma nessuno in più a lavorare.
La sanità pubblica, quella vera, non è fatta di conferenze stampa e di piani strategici, ma di mani che curano e occhi che si accorgono. E se quelle mani e quegli occhi si riducono, nessuna delibera potrà mai sostituirli.
Pubblico non è sinonimo di perfetto
Sia chiaro: la gestione pubblica è e resta un pilastro del diritto alla salute. Ma quando diventa un simbolo da sbandierare, più che un impegno da onorare, rischia di trasformarsi in una trappola per chi ci lavora e per chi si affida alle sue cure.
“Pubblico” non può significare spendere meno, bensì valorizzare di più. Non può dire “fare tutto con meno persone”, ma “fare meglio con chi c’è”. Perché il paziente, quando soffre, non chiede se la sua Rsa è pubblica o privata: chiede se c’è un infermiere accanto a lui.
La sanità del foglio di calcolo
C’è un paradosso tutto italiano: più si parla di “umanizzazione della cura”, più si gestisce la sanità come un bilancio aziendale. Le persone diventano numeri, le ore diventano “coperture”, i professionisti diventano “unità operative”.
E la cura? Quella si perde tra una mail di servizio e un ordine di servizio. Nessuna riforma sanitaria potrà mai funzionare se continua a ignorare la base che regge tutto: i professionisti della cura. Non bastano sigle, non bastano comunicati, non bastano proclami. Servono mani, teste e cuori. E in Rsa servono soprattutto infermieri.
Tra pubblico e privato, resta il paziente
La Rsa di Ostuni merita una seconda vita, ma non a scapito di chi la fa vivere ogni giorno. La sanità pubblica non deve “competere” con quella privata, ma riconquistare fiducia attraverso competenza e presenza. E questo non si fa con i trasferimenti, ma con le persone.
Forse un giorno smetteremo di chiamarla “gestione pubblica” e inizieremo a chiamarla semplicemente cura pubblica. Quella che non si misura in costi, ma in coscienza.
Guido Gabriele Antonio – Infermiere Asl Brindisi
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