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Report OMS. È allarme infermieri in Italia: reparti vuoti e burnout, cosa chiede il personale

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40 anni fa la vittoria sul vaiolo. Oms: "Possiamo battere anche il coronavirus"
This picture taken on April 24, 2020 shows a sign of the World Health Organization (WHO) in Geneva next to their headquarters, amid the COVID-19 outbreak, caused by the novel coronavirus. (Photo by Fabrice COFFRINI / AFP) (Photo by FABRICE COFFRINI/AFP via Getty Images)
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Cecilia, infermiera italiana, racconta turni estenuanti, scarsa valorizzazione e burnout; il MeND di WHO/Europe evidenzia un allarme per la salute del personale sanitario e propone azioni politiche.

Il nuovo rapporto WHO/Europe — Mental Health of Nurses and Doctors (MeND) — mette in luce un quadro allarmante sulla salute mentale di medici e infermieri, con ricadute dirette su ospedali, servizi e cura dei pazienti. Il dato centrale: una quantità rilevante di professionisti denuncia sintomi di depressione o ansia e una percentuale significativa riferisce pensieri autoreferenziali preoccupanti.  

Il racconto di Cecilia: esperienze dalla prima linea

Cecilia (nome di fantasia usato per proteggere la fonte) lavora nel sistema sanitario pubblico del Nord Italia dal 2012. La sua testimonianza sintetizza i punti chiave che emergono anche dall’indagine MeND: carichi di lavoro crescenti, reparti sotto organico, turni lunghi, mancanza di riconoscimento professionale e vie di carriera opache. «La maggior parte delle strutture lavora con il minimo di personale previsto per legge, ma i bisogni dei pazienti non sono calati», dice Cecilia, mettendo in rilievo il nesso tra staff ridotto e qualità dell’assistenza.

Dati chiave dal rapporto MeND (WHO/Europe)
  • Il MeND è la più ampia indagine mai condotta su questo tema in Europa, con decine di migliaia di risposte raccolte in 29 Paesi (i 27 Stati UE più Islanda e Norvegia).  
  • Circa 1 infermiere o medico su 3 riporta sintomi di depressione o ansia; 1 su 10 ha dichiarato di aver avuto pensieri passivi di autolesionismo nell’ultimo anno. Questi numeri sottolineano l’emergenza di salute pubblica tra gli operatori sanitari.  
  • Il rapporto collega in modo chiaro condizioni di lavoro insicure (ore eccessive, violenza, mancanza di supporto) a peggiori esiti di salute mentale; al contrario, la presenza di misure di supporto sul posto di lavoro è associata a esiti migliori.  
Impatto sui reparti e sulla cronaca italiana

La cronaca degli ultimi mesi è costellata di segnalazioni simili: personale che lascia i reparti a maggiore intensità assistenziale (terapie intensive, pronto soccorso), turni saltati e tensioni interne. In questo contesto, l’aumento di abbandoni o di trasferimenti a ruoli meno stressanti aggrava il problema del reperimento del personale e pone rischi per la continuità dell’assistenza. Le misure locali di breve periodo non bastano: serve una strategia integrata di lungo termine.

Cause strutturali: retribuzione, carriera e riconoscimento

Cecilia sottolinea un gap tra competenze effettive e responsabilità formali: molti infermieri acquisiscono competenze pratiche avanzate ma non vedono percorsi di carriera né aumenti salariali proporzionati. Questa discrepanza è un fattore che alimenta frustrazione, formazione “di riserva” (secondi titoli) e, talvolta, l’abbandono della professione. Il MeND indica la necessità di riforme che includano percorsi chiari e riconoscimento economico.

Cosa chiedono gli operatori: monitoraggio e supporto psicofisico

Fra le proposte avanzate dai professionisti (e ribadite dalla testimonianza di Cecilia) emergono:

  • monitoraggio psicofisico regolare e accesso a servizi di supporto mentale sponsorizzati dall’istituzione;
  • chiarimento e trasparenza nelle carriere e nei riconoscimenti professionali;
  • investimenti in organico e in misure di prevenzione della violenza sul luogo di lavoro;
  • formazione e supervisione attiva per i ruoli di coordinamento.

Queste richieste sono coerenti con le raccomandazioni politiche suggerite da WHO/Europe nel rapporto MeND.  

Redazione NurseTimes

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