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Veneto, il calo di iscrizioni a Infermieristica preoccupa anche i medici

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“Se nel sistema pubblico non entreranno almeno mille infermieri all’anno, entro il 2029 si potrebbe scendere a -9mila. E allora si dovranno chiudere gli ospedali spoke”. Parola di Andrea Gregori, segretario regionale di Nursind Veneto. “Se il trend resta questo, in tre anni rischiamo davvero di chiudere qualche ospedale”, gli fa eco Angelo Paolo Dei Tos, presidente della Scuola di Medicina all’Università di Padova.

Insomma, infermieri e medici concordano nel lanciare l’allarme: la vera emergenza è la carenza dei primi, in Veneto come in tutta Italia. Secondo la Regione, inoltre, l’età media è tra i 51 e i 54 anni. Significa che entro il 2034 molti andranno in pensione, aggravando la crisi. Senza contare che il 54% lascia il posto pubblico per insoddisfazione.

A confermare l’emergenza, poi, ecco i recenti dati sui test di ingresso a Infermieristica: si sono presentati meno candidati rispetto posti disponibili. Un calo generalizzato in tutto il Paese: a fronte di 20.699 posti per l’anno accademico 2025/2026 le domanda di iscrizione sono state 19.298. E il Veneto non fa eccezione. Anzi, insieme a Lombardia ed Emilia-Romagna è la regione con la maggior flessione.

Qualche esempio? L’Ateneo di Padova conta 744 iscritti a Infermieristica (lo scorso anno erano 900) su 1.150 posti. L’Università di Verona rileva 503 iscritti su 830 ingressi (in realtà sono 974, ma mancano ancora le immatricolazioni della sede di Bolzano, che afferisce a Verona). Nella sede di Legnago, forte di 90 accessi, hanno scelto Infermieristica 53 studenti. Nella sede centrale di Verona 195 (erano 289 lo scorso anno accademico), su 400 posizioni. A Vicenza in 73 seguiranno lezioni organizzate per 120 studenti. A Trento, sede gestita dall’Ateneo di Verona, è andata un po’ meglio: 182 immatricolati (lo scorso anno accademico erano 140) a fronte di 220 ingressi.

Ma non basta. Di solito alla laurea arriva il 70% degli aspiranti infermieri. E il discorso della seconda scelta per chi non supera il nuovo sistema di ingresso a Medicina regge fino a un certo punto. Se anche il 20% dei “bocciati” dopo il cosiddetto semestre filtro scegliesse Infermieristica, resterebbe un gap del 10%. Tutto ciò a un anno dalla riforma della medicina territoriale varata col Pnrr e focalizzata sulle case di comunità, ambulatori h12 o h24 affidati anche agli infermieri.

“Non sono così convinto che chi non entrerà a Medicina si trasferirà a Infermieristica, benché 540 dei nostri 1.200 iscritti l’abbiano indicata come seconda scelta – riflette il professor Giuseppe Lippi, presidente della Scuola di Medicina di Verona -. Già 18, per esempio, si sono spostati a Farmacia. Succede invece il contrario: la nuova modalità di ingresso a Medicina, con gli esami di Biologia, Chimica e Fisica da sostenere dopo sei mesi di lezioni, ha incrementato in un anno da mille a 1.369 le domande, a fronte di 340 posti, probabilmente assorbendone molte altrimenti destinate a Infermieristica. E intanto l’emorragia degli infermieri continua verso il privato, che può pagare di più”.

“Una catastrofe – afferma Dei Tos -, non so se aggravata dalla scelta scellerata di aprire a tutti il primo accesso a Medicina. Ora l’unica decisione che il Governo può prendere è aumentare le retribuzioni per un mestiere oneroso, gravato da ansie, paure e rabbie dei familiari dei malati, sottopagato. La condizione dei nostri infermieri è insostenibile. Chi arriva da fuori città non riesce nemmeno a pagare l’affitto. E poi ci vuole una riqualificazione professionale”.

Non solo sottopagati, ma anche vittime di burnout e aggressioni continue. “Per una media di 1.650-1.700 euro al mese siamo chiamati a coprire turni infiniti, notturni, festivi, a saltare riposi e ferie – racconta Gregori -. Dobbiamo assumerci responsabilità pesanti, anche penali, pagarci l’assicurazione obbligatoria, l’iscrizione all’Ordine, spesso pure la formazione. Cosa ci resta in tasca? Esistono mestieri molto più remunerativi che richiedono solo il diploma. Ormai la nostra professione è diventata una missione, ma di missionari ce ne sono pochi”.

Redazione Nurse Times

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