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Palermo, 5 sanitari indagati per la morte di un 16enne. L’accusa: “Dimenticarono uno strumento nel corpo del paziente”

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Oss picchiato da due parenti di un paziente al Civico di Palermo
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Era nato con una rara patologia cardiaca e a salvargli la vita erano stati i medici dell’Ospedale Civico di Palermo. Sedici anni dopo, esattamente il 5 aprile dell’anno scorso, Riccardo Mazzeo è però deceduto nella stessa struttura sanitaria. Secondo la Procura, a causarne la morte sarebbe stato un successivo errore dei sanitari in servizio nella Cardiochirurgia pediatrica, che non si sarebbero accorti di aver dimenticato nel suo corpo uno strumento utilizzato durante un intervento di accertamento al cuore.

A cinque di loro i sostituti procuratori Enrico Bologna e Giovanni Antoci hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini. Si tratta dei chirurghi Michele Benedetto Saitta e Giorgio Romano, dell’infermiere strumentista Aldo Giordano e alle anestesiste Silvia Comi e Francesca Quattrocchi. Sono tutti accusati di omicidio colposo, ma anche di falso, perché avrebbero dichiarato di aver conteggiato correttamente al termine dell’operazione tutti gli strumenti utilizzati.

I cinque indagati potranno ora chiedere di essere interrogati e fornire elementi a loro difesa. Poi la Procura di Palermo deciderà se procedere o meno con la richiesta di rinvio a giudizio. La loro presunta responsabilità emerge da una consulenza richiesta dai pm: gli esperti hanno ritenuto più grave la colpa di Saitta e Giordano, che aveva proprio il compito di controllare che tutti gli strumenti fossero al loro posto alla fine dell’intervento, ma non hanno potuto escluderla per gli altri, visto che esiste comunque un obbligo di “vigilanza vicendevole”. 

Secondo i consulenti, non solo l’accertamento effettuato dai medici – un cateterismo cardiaco – non sarebbe stato necessario, anche alla luce dei rischi per il giovane paziente (da poco sedicenne), ma la morte avrebbe potuto essere evitata se solo ci si fosse accorti per tempo che lo strumento utilizzato era rimasto all’interno del corpo. Nello specifico, si tratta di un palloncino sistemato all’estremità di una sonda, che serve per gonfiare e sgonfiare le arterie, nonché la parte finale della stessa sonda.

La storia di Riccardo Mazzeo è al contempo un miracolo e una tragedia. Il ragazzo era infatti nato con una grave patologia cardiaca, il truncus arteriosus, che si verifica quando l’unico vaso arterioso che parte dal cuore, durante lo sviluppo del feto, non si divide in arteria polmonare e aorta, ma resta appunto un singolo grande “tronco”.

Per questo sin da piccolo si era sottoposto a diversi interventi, anche fuori dalla Sicilia, per l’applicazione di protesi e stent che gli avevano consentito di vivere. Il 5 marzo dell’anno scorso aveva svolto una visita di controllo dal suo cardiologo, che gli aveva consigliato di sottoporsi a una Tac o a un cateterismo cardiaco per verificare la situazione.

Proprio in vista di questi accertamenti il 4 aprile successivo era stato ricoverato nella Cardiologia pediatrica dell’ospedale Civico di Palermo “in buone condizioni di salute”, nonostante un quadro cardiologico ovviamente complesso. Il giorno dopo era stato eseguito il cateterismo cardiaco, concluso dopo circa 45 minuti senza “nessuna complicanza procedurale”, come da diario clinico. Dopo qualche ora, però, il ragazzo aveva iniziato a stare male e le sue condizioni, nonostante il tentativo dei medici di rianimarlo, erano rapidamente peggiorate. Fino al decesso, avvenuto poco prima delle 23.

I consulenti dei pm rimarcano che “le condizioni del paziente erano assolutamente stabili” e che, in base al calcolo della valutazione dei rischi per i cateterismi cardiaci, il ragazzo avrebbe avuto il 14,4% di possibilità che insorgessero eventi avversi: “Dalla documentazione in atti non si riesce a desumere una concreta indicazione al cateterismo cardiaco, anche alla luce dei criteri di valutazione del rischio”, dicono gli esperti, spiegando poi che “si è configurata la rottura della porzione terminale del filo-guida utilizzato durante la procedura con ritenzione del palloncino presente alla sua estremità e del filo-guida stesso”.

Strumenti che sono stati quindi lasciati nel corpo del paziente. “Un evento prevedibile e assolutamente prevenibile”, affermano ancora i consulenti. Esistono infatti delle specifiche disposizioni del ministero della Salute che obbligano medici e infermieri a ricontare garze, bisturi e ogni strumento utilizzato durante le operazioni proprio per evitare questo tipo di problema.

“La ritenzione del frammento del device non veniva segnalata”, spiegano gli esperti, mentre dalla check-list operatoria si ricava invece che “l’infermiere conferma verbalmente insieme ai componenti dell’equipe che il conteggio finale di garze, aghi e altro strumento chirurgico sia risultato corretto”. Ed è in relazione a questa dichiarazione che la Procura di Palermo contesta anche il falso agli indagati. Il palloncino dimenticato “si è comportato come una moneta”, sostengono i consulenti, che spostandosi “ha determinato una sempre maggiore ostruzione”.

Da qui la conclusione: “Si ravvedono profili di responsabilità a carico degli operatori sanitari dell’equipe chirurgica. Tali profili sono da ritenere più accentuati, anzi macroscopici, a carico dell’infermiere (in qualità di soggetto cui era demandato il controllo diretto sullo strumentario estratto) e del primo operatore, cioè il cardiologo (in quanto titolare di una posizione di garanzia), non tanto per non aver evitato che il palloncino si rompesse durante la manovra (evento che è adducibile a complicanza), bensì per non aver effettuato i dovuti controlli all’estrazione del catetere (invece dichiarati in registro operatorio come regolarmente effettuati), e dunque non essersi accorti della mancanza di uno strumento che era rimasto all’interno del paziente”.

E ancora: “I profili di responsabilità risultano chiaramente minori per gli altri componenti dell’equipe, che tuttavia non ne risultano del tutto esenti in virtù dei rispettivi obblighi di vigilanza vicendevole. In caso di regolare controllo, sarebbe stato agevolmente possibile rimuovere il device ritenuto, ma il non essersene accorti affatto ha pregiudicato anche questa eventualità”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Palermo Today

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