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Mobilità sanitaria: un milione di pazienti in fuga dal Sud

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Mobilità sanitaria, Gimbe: "Nelle Marche -38 milioni di euro"
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I dati sulla mobilità sanitaria evidenziano il divario tra Nord e Sud: sono un milione i “migranti della salute”.

Un milione di persone si sposta ogni anno dalle regioni del Sud e dalle isole verso quelle del Nord per curarsi. Gente di ogni età e con loro, spesso, si muove un pezzo di famiglia: madri, padri, figli. In fuga dal Sud non per aggiustare un alluce valgo, ma quando c’è in gioco la vita.

Lo Studio sui migranti sanitari di CasAmica, che da 40 anni accompagna per un tratto il cammino fragile di questi pazienti e che tra Roma, Milano e Lecco mette a disposizione 150 posti letto e ospita in media 4mila pazienti all’anno, registra come il 70% si sposta in cerca di “una migliore offerta sanitaria (51%), medici più preparati (39%) o addirittura nell’impossibilità di ricevere cure adeguate nella propria regione (32%)”. I freddi numeri dicono che è un flusso inarrestabile, in crescendo. Solo i lockdown lo hanno rallentato, ma non fermato.

Quel milione di “migranti della salute” ha una chiave di lettura sociale. “Dietro i numeri ci sono storie, persone, i loro bisogni – commenta Stefano Gastaldi, dg di CasAmica -. Temi su cui non è facile trovare un’attenzione seria delle istituzioni, ma se ci sediamo a un tavolo qualche soluzione la troviamo”.

E c’è poi la chiave di lettura economica: quel milione si trasforma in un segno più per la regione che attrae malati (mobilità attiva) e in un segno meno (passiva) per chi li lascia andare. Secondo i dati approvati dalla Conferenza delle Regioni, il valore di questa “mobilità sanitaria interregionale” per il solo 2024 raggiungerà la cifra (impressionante) di 4,6 miliardi di euro. Con Lombardia (+579 milioni di euro), Emilia-Romagna (+564), Veneto (+189), Toscana (+58) in testa alla classifica delle regioni più attrattive.

In passivo 14 Regioni: in testa con numeri a nove cifre sono Calabria (-294), Campania (-285), Sicilia (-221) e Puglia (-198). Un gap Nord-Sud che difficilmente potrà ridursi. A Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto spetta il 93,3% del saldo attivo – la differenza tra mobilità attiva e passiva -, mentre il 76,9% del saldo passivo pesa sul Centro-Sud. 

Non solo. Tra le prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità, oltre 1 euro su 2 va nelle casse del privato, come risulta dai report sulla mobilità sanitaria di Fondazione Gimbe, che dal 1996 promuove l’integrazione delle migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni politiche, manageriali, professionali che riguardano la salute delle persone.

“La mobilità sanitaria – spiega il presidente Nino Cartabellotta – riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra il Nord e il Sud del Paese”. Un gap diventato ormai una frattura strutturale, “destinato ad essere aggravata dall’autonomia differenziata”, dice l’esperto. Il timore è che “le maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto potenzieranno le performance di queste Regioni e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud, anche quelle a statuto speciale”. 

Il report “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, promosso dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno con Save the Children, sottolinea come si sposti dal Sud al Nord il 22% dei malati oncologici. E che la tendenza dei lunghi viaggi si riscontra anche nei pazienti pediatrici: raggiunge punte del 42% in Molise, del 30% in Basilicata, del 26 in Umbria e del 23 in Calabria.

Ancora CasAmica, in un recente studio realizzato con Fondazione Roche, si è interrogata su quali possano essere le prospettive portando l’attenzione sulla tecnologia. In altre parole, un cambio di paradigma concreto è già possibile nell’era dell’intelligenza artificiale. Basta volerlo. Lo conferma il professor Antonio Vittorino Gaddi, presidente della Società Italiana di Telemedicina, che sul tema lavora da molti anni.

Gaddi porta come esempio l’esperienza sulla telecardiologia, decollata in Puglia, che consente di fare per esempio un elettrocardiogramma in farmacia, “poi trasmesso a una control room attiva 24 ore, dove medici lo leggono in tempo reale e refertano” (tra i “!clienti”, anche le navi della Marina militare).

“Siamo partiti 20 anni fa, ma fino alla pandemia di Covid non interessava nessuno – spiega Gaddi -. La telemedicina sposta le informazioni che devono dare una rappresentazione perfetta del paziente. Far muovere i dati e non la gente è importante per il futuro. Ma non è a costo zero. C’è poi il teleconsulto, che può fare da primo filtro per chi migra al Nord per avere una seconda opinione. E poi c’è l’aspetto tecnologico: posso portare la ‘macchina’ a casa del paziente e fare l’esecuzione da remoto… Ma occorrono protocolli standard condivisi per trasferire le informazioni digitalizzate. Ed è richiesto soprattutto un processo culturale. Consapevoli che la tecnologia è in continua rapida evoluzione mentre i tempi di formazione delle persone sono lenti”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera

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