Home Studenti CdL Infermieristica La mia fuga dallo sfruttamento camuffato da tirocinio clinico: dal coro delle suore all’esilio in Finlandia
CdL InfermieristicaInfermieri

La mia fuga dallo sfruttamento camuffato da tirocinio clinico: dal coro delle suore all’esilio in Finlandia

Condividi
Condividi

Riceviamo e pubblichiamo la testimoanianza di un collega Infermiere che racconta il difficile rapporto avuto con il tirocinio clinico durante il corso di laurea.


Mi sono affacciato al mondo dell’infermieristica ignaro di cosa fosse realmente il corso di laurea e di quali fossero le attività svolte da un Infermiere.

Appena uscito dalle scuole superiori non avevo idea di cosa facesse un Infermiere in un reparto. Certo che frequentando un corso di laurea non sarei mai diventato un manovale, decisi di avventurarmi in questo percorso alquanto sconosciuto.

I docenti erano stati davvero accattivanti durante l’Open Day: mi hanno parlato di diagnosi infermieristiche, di pianificazione dell’assistenza, di problem solving.

Le prime lezioni di Infermieristica però non hanno suscitato in me lo stesso entusiasmo: il laboratorio sul rifacimento del letto libero con addestramento sulla corretta tecnica per fare l’angolo mitrale ha fatto morire in me ogni genere di entusiasmo e di interesse per la professione insegnata dai miei tutor.

I successivi insegnamenti riguardanti il lavaggio dei capelli al paziente allettato o il cambio del pannolone al paziente seduto in carrozzina mi hanno fatto capire che non avrei potuto pretendere di apprendere alcuna nozione scientifica dall’équipe di docenti composta da Infermiere prossime alla pensione e Suore indiane dalla assai dubbia preparazione.

Pertanto rimasi con i miei quesiti irrisolti che, entro pochi giorni avrebbero avuto una risposta.

Occorre davvero un corso di laurea per imparare a fare ciò che ogni badante svolge quotidianamente?

Non si tratterà semplicemente di puro sfruttamento finalizzato a sopperire le carenze di personale di supporto?

Il tirocinio clinico ha chiarito ogni mio dubbio smontando in me ogni desiderio di intraprendere la professione di infermiere, almeno all’interno di un ospedale. Ricordo il tutto come se fosse accaduto ieri (nonostante siano passati orami 15 anni).

Le mattinate trascorrevano lente ed inesorabili ed io, affiancato all’oss di turno, svolgevo il giro letti insieme ad altri compagni di corso, cambiando pannoloni e rifacendo letti a più non posso.

“Noi rifacciamo tutti i letti, anche se le lenzuola sono pulite!”

Questo era l’insegnamento più importante che gli oss a cui ero affiancato mi trasmisero.

“Il letto è l’habitat del paziente, deve essere sempre in ordine e ben pulito, proprio come il suo comodino!”

Provai a rivolgermi alla responsabile di tirocinio che, in un italiano piuttosto claudicante, tentò di convincermi che fare il giro letti con l’oss fosse un prezioso momento per stabilire un “rapporto empatico“, per garantire “un’assistenza a tuttotondo” base “dell’infermieristica olistica“.

Fig. 2: Il centro di Kokkola ed il buio perenne.

Cercarono di convincermi per settimane al che decisi di arrendermi. Capii che non sarebbe stato possibile ottenere giustizia così, dopo mattinate intere trascorse a vagabondare per i corridoi dell’ospedale San Martino di Genova, con la scusa di portare le provette in laboratorio, ed interi turni dedicati alla sistemazione di scatoloni nel magazzino sanitario arrivò la fine di gennaio.

In occasione della Santa Messa di Pasqua, le suore indiane che gestivano la scuola convitto, sede del corso di laurea, indissero le selezioni per infoltire il gruppo canoro invitando gli studenti amanti dei cori liturgici  partecipare. Le prove sarebbero state tre giorni a settimana, dalle ore 12 alle ore 14.

Ed ecco che si palesava davanti a me il primo escamotage per sfuggire allo sfruttamento becero di manovalanza denominato tirocinio clinico. A seconda del turno con il quale avrei dovuto essere affiancato per il giro letti mattutino, avrei potuto decidere se e quando sfruttare il “jolly del coro delle suore“.

Pur di non essere utilizzato come manovale in un reparto di ortopedia e traumatologia, decisi di allearmi con il mio peggior nemico.

Tra un “Evenu Shalom Alejem” ed un “Salve Regina” arrivò l’estate e con essa apparve una nuova via di fuga dal tirocinio clinico: il progetto Erasmus.

La mia regolarità negli esami e la mia discreta media aritmetica mi permisero di superare la prova selettiva venendo selezionato per questa nuova avventura. A dicembre sarei partito per la Finlandia, destinazione Kokkola.

Fig. 3: Servizio di Emergenza Territoriale in Finlandia

Trattandosi del primo anno dedicato al corso di laurea in Infermieristica, nessun tutor finlandese aveva idea di cosa dovessi fare durante il tirocinio essendo io, di fatto, uno dei primi 3 studenti a partecipare al progetto.

Svolsi vari periodi di tirocinio in ambienti tutt’altro che clinici nei quali nessun “tutor” rIsultò in grado di comunicare con me in lingua inglese ne sapesse esattamente cosa dovessi fare. Durante il secondo anno affrontai le seguenti esperienze:
  1. 266 ore in una caserma dei Vigili del Fuoco (con annessa ambulanza di paese)
  2. 280 ore in un Centro Sociale
  3. 294 ore in un Laboratorio Analisi

Terminate abbondantemente le ore del secondo anno sentii il terreno franare sotto ai miei piedi. Il giorno del rientro in Italia e del ritorno al giro letti in reparto si stava avvicinando, pertanto dovetti trovare un altro escamotage.

Figura 4: Laboratorio didattico sulla corretta tecnica di somministrazione del pasto dedicato agli studenti italiani

Contattai disperato la mia tutor finlandese Marjatta Hilman chiedendo di poter proseguire il mio periodo di permanenza per un ulteriore anno. Tentammo varie alternative: dall’Erasmus Plus alla “Mobilità per Traineeship” arrivando fino al “Parternariato Strategico”.

Alla fine la scusa che convinse tutti ad estendere il mio periodo di studi all’estero anche per il terzo anno fu l’argomento di Tesi di laurea: “L’assistenza culturalmente congruente ad un nucleo di emigrati lituani residente nel centro urbano finlandese di Kokkola.”

Pur non ricevendo alcun sostentamento economico da parte dell’Università di Genova riuscii a poter proseguire con il tirocinante e la raccolta dei dati per la tesi in Finlandia (pur dovendo frequentare esami e lezioni del terzo anno in Italia).

Durante questo periodo frequentai il tirocinio del 3° anno nelle seguenti realtà:
  1. 273 ore in una discoteca pomeridiana per adolescenti
  2. 287 ore in una casa famiglia per ragazze anoressiche
  3. 280 ore in un Pronto Soccorso di campagna

Terminai ogni periodo di tirocinio con il massimo dei voti, senza mai dover rifare un letto, cambiare un pannolone o lustrare un comodino.

Ammetto di non aver mai imparato come tirare bene il lenzuolo per eseguire correttamente l’angolo mitrale ma, nonostante ciò, lavoro da 11 anni come Infermiere, mantenendo sempre le dovute distanze dalle corsie ospedaliere in una perenne fuga dal giro letti.

Simone Gussoni

Condividi

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *