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No al riconoscimento dell’infortunio in itinere se manca la prova della necessità di utilizzare il mezzo privato

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Commento a sentenza Cass. sez. lavoro n. 22670 del 25 settembre 2018.

La Corte di Appello di Potenza accoglie il ricorso dell’INAIL avverso alla sentenza del giudice di prime cure del tribunale sez. lavoro di Matera, che aveva accertato la fondatezza della domanda del Sig. X volta al riconoscimento ai superstiti, della rendita e dell’indennità per inabilità temporanea assoluta del dante causa, deceduto a seguito di incidente stradale mentre si recava al lavoro.

La corte territoriale ha in pratica escluso la sussistenza della ipotesi dell’infortunio in “itinere” osservando che non era dimostrata la necessità dell’utilizzo del mezzo privato per recarsi al lavoro.

I parenti aventi causa ricorrono in cassazione deducendo:

  • Violazione e falsa applicazione di legge, secondo il ricorrente la Corte territoriale ha errato nell’escludere la sussistenza dell’ipotesi di infortunio in itinere dopo che la corte di I grado aveva invece ritenuto che l’INAIL avesse riconosciuto in sede stragiudiziale tale evento. Infatti la ricorrente osserva che il giudice di prime cure aveva rilevato la contraddittorietà logica della tesi dell’istituto che in sede di giudizio aveva negato la sussistenza dell’infortunio in itinere, mentre in sede stragiudiziale aveva riconosciuto per il medesimo evento l’inabilità assoluta temporanea dell’infortunato.
  • Con il secondo motivo, per aver omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente infatti aveva in primo grado prodotto una dettagliata tabella con gli orari delle corse dei mezzi pubblici e di aver reiterato in appello la richiesta di acquisizione di una informativa presso l’azienda medesima, dalla quale trarre elementi utili ai fini della conoscenza della copertura del pubblico servizio nel percorso dall’abitazione del de cuius, sino alla sede del luogo di lavoro, chiarendo in sede di giudizio il grave disagio rappresentato dal tempo complessivo di percorrenza di circa un’ora e mezza e che il suo dante causa avrebbe dovuto sostenere per raggiungere con i mezzi pubblici il luogo di lavoro.

La Cassazione, esaminate le doglianze del ricorrente decide per l’infondatezza delle questioni sollevate, ritenendo fondate le contestazioni dell’INAIL, in quanto dalla documentazione prodotta dall’istituto emergeva chiaramente che, i sanitari dell’ente avevano accertato un’inabilità temporanea (60 gg.) conseguente all’incidente di cui si tratta e che, in ogni caso, non era stata allegata una qualche circostanza indicativa della necessità dell’uso del mezzo privato, non essendo in tal senso la generica deduzione della mancanza di un valido collegamento con mezzi pubblici del luogo di abitazione con quello di lavoro.

A conferma di tale convincimento la stessa corte ha evidenziato che a fronte delle contestazioni mosse dalla difesa dell’INAIL, l’appellata si è limitata ad affermare, senza provarlo (la pianta della città depositata in Appello non aveva alcun valore in quanto priva di autenticità e tardivamente prodotta) che l’alternativa del mezzo privato sarebbe stata rappresentata dall’utilizzo di due mezzi pubblici in successione con capolinea del secondo distante circa un km dal luogo di lavoro, il tutto con notevole disagio, senza fornire però ulteriori specificazioni atte a suffragare una tale prospettiva difensiva.

Si è infatti statuito (Cass. sez. VI-Lav., ordinanza n. 22759 del 03.11.2011) che “in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l’infortunio in “itinere” non può essere ravvisato in caso di incidente stradale subito dal lavoratore che si sia spostato con il proprio mezzo al luogo della prestazione lavorativa, ove l’uso del veicolo privato non rappresenti una necessità, in assenza di soluzioni alternative, ma una libera scelta del lavoratore, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado di minima esposizione a rischio stradale” (conf. Cass. sez. lav. sentenza n. 19940 del 6-10-2004). Per tali ragioni il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata alle spese di giudizio nella misura di 3.700 euro.

Ennesima sentenza che conferma il rischio che ognuno di noi corre quando decide di utilizzare il proprio mezzo invece di quello pubblico. Si immagini poi l’utilizzo del mezzo a due ruote che aumenta di molto il rischio indicenti stradali con conseguenze anche molto gravi.

La sentenza si impernia su una errata allegazione probatoria, la ricorrente infatti non ha dimostrato la reale necessità dell’uso del mezzo privato in luogo di quello pubblico poiché le prove a supporto di tale tesi non sono state consideriate autentiche e soprattutto non consegnate nei tempi e nei modi previsti dal c.p.c., quindi si presume che se fossero state considerate idonee a dimostrare la tesi della ricorrente probabilmente il ricorso sarebbe stato accolto.

E’ però certo che, nei casi in cui vi sia un dubbio sul reale disagio dell’uso del mezzo pubblico rispetto a quello privato, ciò debba essere ampiamente dimostrato e documentato in modo da non lasciare spazi di contestazione che non potrebbero essere superati.

La giurisprudenza è incline a considerare l’uso del mezzo pubblico prioritario per recarsi sul luogo di lavoro rispetto a quello privato, ciò non toglie, che la dimostrazione della scomodità e delle difficoltà insite nell’uso di un servizio che potrebbe pregiudicare ad esempio il rispetto dell’orario di lavoro o addirittura la presenza costante sul luogo di lavoro del dipendente potrebbe giovare alla tesi dell’uso del mezzo privato, purché si portino a suffragio prove documentali inoppugnabili.

Dott. Carlo Pisaniello

 

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