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Cronicità, Italia a macchia di Leopardo. Va peggio dove l’assistenza è già carente e mancano più infermieri

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Infezioni correlate all'assistenza e malattie infiammatorie croniche intestinali. I dati dell'indagine
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Think tank Meeting Salute di Rimini 2019: la cronicità e la ricetta della Fnopi

Va peggio dove l’assistenza è già carente e mancano più infermieri, i “pivot” dell’assistenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che oltre l’80% delle risorse in sanità è assorbito dalla cronicità che rappresenta, quindi, la vera priorità di tutti i Paesi industrializzati.

Un’urgenza legata alla crescita esponenziale della spesa sociale non solo per l’invecchiamento della popolazione, ma anche per l’andamento del mercato del lavoro e i provvedimenti sui sistemi pensionistici. Per scegliere i modelli organizzativi più adeguati a rispondere a questo cambiamento inevitabile è importante tenere in considerazione che gli obiettivi di cura dei pazienti con cronicità, non potendo essere rivolti alla guarigione, sono quelli del miglioramento del quadro clinico e dello stato funzionale, la minimizzazione della sintomatologia, la prevenzione della disabilità e il miglioramento della qualità di vita.

Nel 2020, già il prossimo anno quindi, si stima che le cronicità rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo.

Impegnano il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale. In Europa sono già responsabili dell’86% di tutti i decessi e di una spesa sanitaria annua valutabile in 700 miliardi di euro.In Italia sono 24 milioni le persone che nel 2017 ne soffrono, per una spesa complessiva di quasi 67 miliardi a vario titolo. Le malattie croniche lo scorso anno hanno interessato quindi quasi il 40% della popolazione italiana, di cui 12,5 milioni hanno multi-cronicità. Le proiezioni della cronicità indicano che tra 10 anni, nel 2028, il numero di malati cronici salirà a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni.

Per rispondere a questa nuova esigenza di salute il Servizio sanitario nazionale (Ssn), primo fra tutti i Paesi europei, ha sviluppato e approvato nel 2016 il Piano Nazionale della Cronicità (PNC). Ma a quasi 3 anni dalla sua approvazione ancora ci sono Regioni che non hanno recepito almeno formalmente il Piano. 

“Purtroppo – spiega a Rimini Tonino Aceti, Portavoce della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) – la mancata/ritardata attuazione e/o l’attuazione a macchia di leopardo da parte delle Regioni, di Leggi e/o atti di programmazione sanitaria nazionale già approvati, continua a rappresentare una tra le principali criticità dell’attuale governance del Servizio Sanitario Pubblico, che contribuisce a minare la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni e ad aumentare le attuali disuguaglianze che già esistono tra le Regioni”.

“Il Piano – aggiunge Aceti – valorizza e dà centralità alla professione infermieristica richiamandola esplicitamente ben 36 volte all’interno del testo, ma a oggi (agosto 2019) sono 17 le Regioni ad averlo recepito formalmente con un atto specifico, di cui la Campania lo ha recepito solo il 24 luglio scorso. La Lombardia ha un proprio Piano. La Basilicata richiama appena il Piano nazionale della cronicità nel suo Piano regionale sociosanitario 2018-2020. La Sardegna sta lavorando ad un piano della Cronicità a livello di ATS mentre non sono ancora reperibili le delibere di recepimento del Piano nazionale di Friuli-Venezia Giulia e Sicilia.Secondo il portavoce FNOPI sono troppe le differenze tra le Regioni a partire dai tempi di recepimento.Aceti spiega che “si passa dai 2 mesi della Puglia, ai 3 dell’Umbria, ai 7 dell’Emilia-Romagna, sino ad arrivare ai 33 mesi della Calabria che lo ha recepito il 18 giugno di quest’anno grazie ad un Decreto del Commissario ad acta. Differenze – aggiunge – sono riscontrabili anche nelle modalità di recepimento. Abbiamo recepimenti puramente formali come ad esempio quello del Molise e della Calabria e recepimenti più sostanziali con strategie e azioni puntuali per attuare concretamente i contenuti e il modello del Piano Nazionale della Cronicità. È il caso, solo per fare alcuni esempi, del Piemonte, dell’Umbria e del Veneto che lo ha recepito direttamente all’interno del proprio Piano sociosanitario regionale 2019-2023”

E un altro fatto è sintomatico, secondo Aceti, di modelli non efficaci perché inseriti in un sistema regionale generalmente poco efficiente. Le Regioni le cui delibere di recepimento del Piano non sono ancora reperibili e quelle che invece lo hanno recepito tardi, come ad esempio la Calabria e il Molise, sono anche quelle Regioni che stando alle anticipazioni dei risultati della sperimentazione del Nuovo Sistema Nazionale di Garanzia dei livelli essenziali di assistenza (LEA, che entrerà in vigore il prossimo anno) hanno maggiori criticità nel garantire i LEA, in molti casi proprio del livello di assistenza distrettuale.  

“In tutto questo bisogna anche considerare che ad esempio la Calabria è tra le Regioni con più ampia diffusione di malattie croniche, il Molise e la Sardegna sono le Regioni con rispettivamente maggiori malati di cuore e di osteoporosi”. 

La prevalenza più elevata di almeno una malattia cronica (45,1% della popolazione) si registra in Liguria. In Calabria si registra poi la quota più elevata di malati di diabete, ipertensione e disturbi nervosi: 8,2%, 20,9% e 7,0% della popolazione. Il Molise si caratterizza per la prevalenza maggiore di malati di cuore, il 5,6% della popolazione, la Liguria per quella più elevata di malati di artrosi/artriti, il 22,6%, la Sardegna per la quota maggiore di malati di osteoporosi, il 10,4%, infine la Basilicata spicca per la prevalenza più alta di malati di ulcera gastrica o duodenale e bronchite cronica, 4,5% e 7,7% rispettivamente. Bolzano presenta la prevalenza più bassa di cronicità per tutte le patologie considerate. 

I Comuni sotto i 2.000 abitanti sono quelli con la quota più elevata di cronicità, quasi il 45%, mentre nelle periferie delle città Metropolitane si riscontra la quota più elevata di persone che soffrono di malattie allergiche, il 12,2% della popolazione residente“A tutto questo – aggiunge Aceti – si sommano anche le pesanti carenze di personale, soprattutto infermieristico. 

Tra carenze ordinarie e straordinarie di Quota 100 e pensionamenti ordinari in Campania mancheranno 8.580 infermieri, in Calabria 3.516, in Sardegna e Sicilia rispettivamente 2.740 e 8.034 unità: oltre 53mila in tutto che con i 22mila di Quota cento potrebbero raggiungere le 75-76mila unità. E superarle, considerando anche gli oltre 11mila pensionamenti ordinari”.

Secondo Aceti alla luce di tutto ciò è prioritario:

  • rafforzare il ruolo del ministero della Salute di sostegno, coordinamento, indirizzo, verifica dei Lea (e relativo intervento quando necessario) nei confronti delle Regioni, anche garantendo la certezza dell’attuazione tempestiva e concreta, in tutto il territorio nazionale, delle decisioni assunte a livello nazionale anche con Accordi tra lo Stato e le Regioni;
  • riconoscere il recepimento e l’attuazione sostanziale del Piano Nazionale delle Cronicità da parte delle Regioni come vero e proprio “adempimento Lea” oggetto di verifica da parte del Comitato nazionale e come indicatore da introdurre e verificare nel nuovo “Sistema nazionale di garanzia dei Lea”, che entrerà in vigore probabilmente nel 2020;
  • valorizzare e mettere a sistema su tutto il territorio nazionale la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità (buona pratica già in alcune Regioni e con importanti risultati in termini di esiti di salute), per garantire l’attuazione efficace e reale del Piano nazionale della cronicità e per portare nelle case delle persone il Servizio Sanitario Pubblico;
  • realizzare e approvare un provvedimento nazionale che definisca gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici dei servizi sanitari territoriali da garantire a tutti i cittadini in tutte le aree del Paese, nelle grandi città, nei piccoli centri, nelle aree interne più disagiate.
  • garantire gli incrementi del Fondo Sanitario nazionale per gli anni 2020 e 2021 così come previsto nell’ultima Legge di Bilancio e accelerare sul nuovo Patto per la Salute. 

Redazione NurseTimes

Fonte: Fnopi

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