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Tachicardie sopraventricolari, le linee guida ESC 2019

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Quest’anno al congresso della European Society of Cardiology (ESC) sono state presentate le nuove linee guide per il trattamento del paziente con tachicardia sopraventricolare

Parliamo di un update a distanza di ben 16 anni rispetto alle linee guida precedenti, resosi ormai necessario alla luce degli sviluppi dell’ultimo decennio in campo elettrofisiologico. Di seguito i principali cambiamenti rispetto alle precedenti linee guida e i take home messages delle nuove raccomandazioni.

Terapia farmacologica

Tra i principali cambiamenti nel trattamento delle aritmie sopraventricolari a QRS stretto si segnala l’utilizzo del verapamile e del diltiazem in classe IIa e non più come prima linea di trattamento. Anche beta-bloccanti come esmololo o metroprololo entrano in classe IIa, mentre non vengono presi in considerazione nè amiodarone nè la digossina. Per quel che riguarda il trattamento acuto delle aritmie sopraventricolari a QRS largo, l’amiodarone e la procainamide, entrambi in classe I nel 2003 passano in classe II come l’adenosina, mentre lidocaina e sotalolo non vengono menzionati. Altri cambiamenti meritevoli di essere citati riguardano i beta-bloccanti che nel 2003 venivano indicate in classe I per la tachicardia sinusale inappropriata, il trattamento acuto e cronico della tachicardia atriale focale, del flutter atriale e della tachicardia da rientro nodale e che nelle linee guida 2019 passano in classe IIa.

Per quel che riguarda le controindicazioni principali: il verapamile non è indicato nelle tachicardie a QRS largo ad eziologia non nota, la flecainide e il propafenone non dovrebbero essere utilizzati nella conversione a ritmo sinusale del paziente con flutter atriale nè nei pazienti con disfunzione ventricolare e severa fibrosi. La digossina, il verapamile, il diltiazem, I beta bloccanti e l’amiodarone sono potenzialmente dannosi nei pazienti con fibrillazione atriale e preeccitazione. In aggiunta, l’amiodarone non è raccomandato nè nel trattamento cronico nè in quello acuto della fibrillazione con preeccitazione, nè nelle donne in gravidanza.

Riguardo alla terapia in acuto, le manovre vagali e l’adenosina e.v rappresentano l’approccio di prima scelta nel trattamento in emergenza/urgenza. Si ricorda inoltre che l’anticoagulazione è indicata nei pazienti con flutter atriale e concomitante fibrillazione atriale.

Ablazione transcatetere

Largo spazio all’ablazione transcatetere che è indicata in classe I nel trattamento in cronico dei pazienti con tachicardia atriale focale recidivante, dei pazienti con macro-rientro cavo tricuspidalico o tachicardia da rientro nodale sintomatiche e tachicardie da rientro.

Nei casi di fibrillazione atriale con preeccitazione la cardioversione elettrica sincronizzata è indicata nei pazienti stabili nei quali la terapia farmacologica non abbia favorito la conversione a ritmo sinusale o il controllo dell’aritmia. Infine, nel caso di preeccitazione asintomatica l’esecuzione di uno studio elettrofisiologico con isoprenalina per la stratificazione del rischio è raccomandata in classe I in coloro con occupazioni ad alto rischio o atleti. Se lo studio elettrofisiologico identifica caratteri ad alto rischio (SPERRI ≤150 ms, AP ERP ≤ 250 ms, multiple vie accessorie o induzione di tachicardia mediata da via accessoria), l’ablazione transcatetere risulta raccomandata (classe I).

Infine, sempre più attenzione viene data alle tachicardiomiopatie, da sospettare nei casi di disfunzione ventricolare e elevata frequenza cardiaca. In questi casi l’ablazione transcatetere è inoltre raccomanda nei pazienti con tachicardiomiopatia secondaria a tachicardia sopraventricolare. Nel caso in cui non si possa ablare l’aritmia responsabile della disfunzione sistolica nè si riesca a controllare con i farmaci, l’ablazione del nodo atrioventricolare e il conseguente pacing biventricolare o del fascio di His (“ablate and pace”) è raccomandato.

Redazione Nurse Times

Fonte: aiac.it

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