Il dato emerge da un’ampia ricerca condotta dal Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford (Usa).
Circa una persona su cinque ha disturbi psichici tra 14 e 90 giorni dopo la diagnosi di coronavirus. È questo il dato principale che risulta da un’ampia ricerca con uno studio su 69 milioni di cartelle cliniche delle quali 62.354 con diagnosi di Covid-19, condotta dal Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford (Usa), pubblicata sulla rivista The Lancet Psychiatric.
“Un dato scientifico di grande rilevanza – commenta Massimo Cozza, psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Asl Roma 2 –, che conferma, a fronte della nuova diffusione della pandemia nel nostro paese, la necessità di implementare la capacità di risposta della rete pubblica della salute mentale delle Asl. Con questa seconda ondata pandemica, oltre ai disturbi di ansia, da stress e insonnia, si stanno anche evidenziando depressione e sentimenti di rabbia, che non si rilevavano nella prima fase epidemica. Ciò è dovuto al perdurare di questa situazione critica. Tali disturbi, rileva, “prevalgono soprattutto in due tipologie di soggetti: chi ha vissuto in prima persona l’aspetto sanitario, quindi o è stato male o ha avuto persone vicine malate o decedute, e chi ha perso il lavoro o ha avuto danni alla propria attività. Ma un forte malessere si registra pure tra coloro che improvvisamente si sono trovati a dover vivere per lungo tempo in ambienti ristretti per esigenze di quarantena”.
Nello studio Usa i disturbi psichiatrici diagnosticati con maggiore frequenza sono stati i disturbi d’ansia e dell’umore, insieme all’insonnia. È stato anche evidenziato che gli adulti hanno un rischio approssimativamente raddoppiato di ricevere una nuova diagnosi di disturbo psichiatrico dopo il coronavirus. Rispetto alle diverse indagini già realizzate, che avevano evidenziato in pazienti con Covid-19 la copresenza di sintomi di ansia, disturbo post-traumatico da stress, depressione e insonnia, con questo studio, rileva Cozza, “per la prima volta viene effettuata una ricerca non più su sondaggi e su sintomi autoriferiti, ma su diagnosi contenute in un elevato numero di cartelle cliniche con una condizione di controllo rispetto a chi non ha contratto il Covid-19”. La ricerca, inoltre, “rileva che una diagnosi psichiatrica nell’anno precedente è associata a una maggiore incidenza di diagnosi di Covid-19”.
Conclude lo psichiatra: “Il rapporto tra Covid-19 e disturbi psichiatrici può dipendere dalla storia di ciascuna persona rispetto alle sue condizioni sociali, economiche e relazionali, senza escludere la possibilità che possa essere influenzata anche da fattori biologici, comunque ancora da identificare. A fronte di un malessere crescente il consiglio è di esternare le proprie emozioni e sentimenti alle persone vicine o al proprio medico di famiglia, perchè la condivisione delle problematiche già determina un effetto positivo. Se però i disturbi persistono nel tempo e diventano invalidanti, è bene rivolgersi ad uno psicologo o psichiatra, oppure alla rete pubblica dei centri di salute mentale”.
Redazione Nurse Times
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