Il dipendente che si rifiuta di servire un cliente che non indossa la mascherina non può essere licenziato.
Con sentenza n. 9 del 13 gennaio 2021, il Tribunale di Arezzo ha stabilito che il lavoratore che si rifiuta di servire il cliente senza mascherina esercita il diritto, costituzionalmente tutelato, a svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza e che tale rifiuto non comporta alcuna “violazione del dovere di fedeltà posto dall’art. 2105 c.c. né, tanto meno, giusta causa di licenziamento“.
Più nel dettaglio, l’azienda aveva licenziato il proprio dipendente addetto alla vendita per non aver concluso la transazione alla cassa ad un cliente che si rifiutava di indossare la mascherina. Tale condotta, secondo l’azienda, da un lato, avrebbe reso il lavoratore “inadempiente nei confronti dei suoi obblighi contrattuali per aver disatteso le indicazioni aziendali previste in questo periodo di emergenza sanitaria”, dall’altro, avrebbe danneggiato gravemente l’immagine aziendale.
Dipendente che si rifiuta di servire il cliente senza mascherina: tutela la propria sicurezza
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Arezzo ha ritenuto infondata l’opposizione dell’azienda all’ordinanza con cui il dipendente in questione è stato reintegrato nel posto di lavoro, per la ritenuta inesistenza della giusta causa del licenziamento addotto. In particolare, per il Tribunale, l’assenza di specifiche contestazioni da parte dell’azienda opponente ha consentito di ritenere provato che:
- l’avventore si è avvicinato al lavoratore senza mascherina o presidio alternativo;
- il lavoratore ha segnalato al cliente di potersi coprire il viso anche con il collo della felpa;
- a tale invito il cliente aveva reagito affermando che “le mascherine le indossano i malati”, dando dei ladri al dipendente e all’azienda e minacciando di chiamare la Polizia.
In tali elementi il Tribunale non ha rinvenuto la sussistenza di alcuna offesa grave o ingiuriosa alla dignità del cliente né un grave pregiudizio agli interessi del titolare dell’azienda, ritenendo la reazione verbale del lavoratore “giustificata dall’esasperazione per una condotta altrui omissiva, denotante ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri clienti, oltreché del cassiere”.
Pertanto, per il Tribunale di Arezzo la condotta censurata da parte datoriale non è idonea a ledere la fiducia alla base del rapporto di lavoro, non integrando dunque violazione del dovere di fedeltà ex art. 2105 c.c. e nemmeno giusta causa di licenziamento, considerando che “il lavoratore si è limitato ad esercitare il proprio diritto a svolgere la prestazione in condizioni di sicurezza”, precisando, inoltre, che “l’esimente dello stato di necessità gli consentiva anche di astenersi dal lavoro poiché lo svolgimento della prestazione lo esponeva ad un rischio di danno alla persona”.
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