Si ritorna a parlare della morte nel 2009 del giovane Stefano Cucchi. Lo scorso maggio la Corte di Appello di Roma ha aumentato la pena (da 12 anni di carcere chiesti nel I grado, a 13) a due carabinieri ritenuti responsabili di omicidio preterintenzionale riguardo al pestaggio nella caserma della Compagnia Casilina. Ma cosa c’entra l’infermiere?
In tanti ci avete scritto, chiedendo chiarimenti sulla posizione e sul ruolo avuto all’interno della vicenda, della figura infermieristica.
Alcuni di voi ce lo hanno chiesto, almeno coloro che avevano avuto sentore dalle informazioni dei media, dall’apparire e del veloce scomparire del nome “infermiere” nel caso.
Andremo a vedere cosa successe nel 2009, e quale ruolo ha avuto l’infermiere nel famoso caso Cucchi.
Troverete di seguito il sunto dell’analisi articolata brevemente sui punti salienti, mentre per meditare e studiare meglio il caso vi rimandiamo ad un più completo studio monografico con gli interrogatori degli imputati, e la cronologia dei fatti estrapolati dalla sentenza di I grado del 2013 (VEDI QUI).
Il caso Cucchi, il punto di vista di un infermiere legale forense
La responsabilità infermieristica nel caso Cucchi è come un velo, coprente e sottile, ma mai protettivo. Tanto si poteva e doveva fare dal punto di vista umano e comunque professionale, di chi voglia richiamare solo in causa l’aspetto deontologico tralasciando il morale.
Nel contesto analizzato, si vedrà l’infermiere depotenziato e svilito del suo ruolo, dalle istituzioni, dalla Giustizia, e come manna salvatrice arrivare al punto di abbandono dello “scenario” e quasi della scena criminis: l’infermiere non è colpevole in quanto esecutore di “ordini” medici.
Mi ha colpito molto leggere e meditare sulla storia di Stefano Cucchi. Molto spesso professionalmente certe vicende ci segnano lanciando degli insegnamenti, che possiamo accettare o meno. Tuttavia l’essenziale sarebbe comprenderne le dinamiche e nella migliore delle ipotesi pensare alla solita regola della causa-effetto.
Quale domanda farsi? La solita: si può imparare dagli errori?
Ma se non reputiamo errori alcuni comportamenti?
Pretendevo, quindi, di capirci qualcosa guardando ai fatti con occhi più attenti e fissi a cercare un traguardo: come si è comportato l’infermiere nella vicenda Cucchi.
Cosa successe nella sezione dedicata al regime carcerario dell’Ospedale “S. Pertini”,e perchè nello sviluppo del processo la figura e l’operato dell’infermiere si dissolveva fino a scomparire del tutto?
Gli infermieri come imputati appaiono e scompaiono si potrebbe dire, già nella sentenza di I grado della Corte di Assise di Roma nel 2013.
Nell’idea del Giudicante, alla fine di tutto, nel caso Cucchi non hanno avuto responsabilità e sono stati assolti. Ma non perchè il loro operato sia stato ineccepibile, nè perchè nonostante negligenze, esse non siano state determinanti ed influenti per il nesso causale, bensì semplicemente perchè sono state considerate figure scevre dall’atto assistenziale, con attitudine mancante e tecnicismo inesistente, tanto da non dover essere oggetto di valutazione, in quanto si sono attenuti ad “ordini” e decisioni mediche.
Solo perché l’infermiere, paramedico (come viene ancora definito in diversi documenti, connotando una definizione subalterna, sussidiaria, ancora dipendente dal medico), ha avuto solo una funzione strettamente transitoria e ininfluente a determinare le cause e concause del decesso.
Studio della sentenza di I grado della III Corte di Assise di Roma 05/06/2013
Il giovane Stefano Cucchi muore a 31 anni il 22 ottobre del 2009 a Roma, nella sezione protetta penitenziaria di Medicina dell’Ospedale “S. Pertini”.
Tutto resta, e l’infermiere scompare. Stranamente, tale presupposto ha allontanato da subito l’idea di una rappresentatività minima seppur colpevole della personalità infermieristica, anche se l’accaduto aveva a che fare col mondo sanitario ed era chiamato in causa dall’art. 32 della Costituzione, alienando la responsabilità infermieristica oramai sancita.
Il loro lavoro, in particolare modo nella sezione dedicata dell’Ospedale “S. Pertini” è stato solo ausiliario al medico, quindi era corretto per la Giustizia non dovergli imputare la facoltà di “sindacare le iniziative dei medici”, o addirittura avere a che fare con una innovazione (ma da tempo) di un inequivocabile e necessario piano di assistenza infermieristico.
Insomma una relegazione giuridica di stampo secolare ha rigettato l’infermiere scavalcando Leggi, Decreti e quant’altro, in epoca millenaria, asservito e ridotto a nullità del mondo sanitario.
La presenza infermieristica e l’apporto nella storia non è da sottovalutare a mio avviso. Numerosi interventi, chiare responsabilità hanno gravato sulle azioni ed omissioni.
Ciliegina sull’amara torta è stata poi la mancata presenza in tutti i contesti peritali, inoltre in inchieste anche autonome di valutazione tecnica, dello specifico apporto di un consulente infermiere, figuriamoci per un infermiere legale forense.
Alla fine di tutto è successo, che gli infermieri sono stati giudicati dai medici e medici legali, mai nessuno ha chiesto un parere a chi di infermieristica e di obiettivi assistenziali ci masticasse qualcosa.
Nella vicenda del giovane Stefano troviamo in più punti la presenza dell’infermiere, in attività tecnico-cliniche ed assistenziali proprie della sua professionalità. Dall’inizio alla fine spunta con il proprio apporto singolare come è avvenuto e deve avvenire per quello di tutte le figure sanitarie, con definite cornici di autonomia e responsabilità il quale territorio confinante non deve essere passato da figure di altre professioni.
Spunta e rispunta, purtroppo però il comportamento segue una linea professionale alterata e deviata nella sostanza dell’agito professionale e spesso legale.
Una morte lontana dalla responsabilità infermieristicà?
La causa di morte chiama e avviluppa un corteo di professionalità specifiche ed ineluttabili vicine all’oggetto del contendere e protagoniste nell’accadimento.
Sia medici che infermieri (questi ultimi poi assolti) hanno contribuito con le loro negligenze allo scatenarsi dell’evento fatale primario e determinante: la sindrome da inanizione ossia da privazione di cibo e acqua (Corte d’Assise I grado, da perizia medico collegiale, pag. 103).
Stefano muore intorno alle 3 del 22 ottobre nel reparto protetto dell’ospedale “S. Pertini” per arresto cardiorespiratorio come evento finale di un grave squilibrio idroelettrolitico.
La causa della morte è, infatti, secondo la relazione dei consulenti tecnici di cui si è avvalsa la Commissione, l’istaurarsi di una sindrome metabolica iperosmolare di natura prerenale dovuta ad una grave condizione di disidratazione.
All’analisi medico-legale il paziente risulta portatore di due patologie: la sindrome traumatica e la sindrome metabolica. Non vi è alcuna relazione eziopatogenetica che collega il trauma alla sindrome metabolica.
Il paziente, già alcune ore dopo il ricovero, inizia a manifestare opposizione alla somministrazione di cure e cibo. L’opposizione non è intesa a non curarsi, ma è strumentale ad ottenere contatti con l’avvocato di fiducia.
Il paziente rifiuta la terapia endovenosa e assume acqua e cibo in maniera saltuaria. In seguito a tale astensione, subisce non solo un drastico dimagrimento (10 kg), ma soprattutto un blocco della funzione renale, caratterizzato da iperazotemia. Questa condizione di iperosmolarità, nella sentenza di I grado del 2013, è stata causa dell’aritmia cardiaca mortale.
Non a caso viene istituita una Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale approvata unanimamente il 4 novembre 2009.
Per quale motivo? Forse perché era emerso che qualcosa non aveva funzionato nell’ingranaggio del sistema salute pubblico messo alla prova da un paziente così problematico?
L’infermiere nel fatto
L’infermiere è presente e determinante, protagonista in luce ed in ombra.
Tra diversi infermieri solo tre sono chiamati in causa per omicidio colposo e poi prosciolti perchè il fatto non sussiste, per assurde motivazioni:
“…Infine, per quanto riguarda la posizione degli infermieri F., P. e M., conformemente a quanto ritenuto dai periti, non era nelle loro facoltà di sindacare le iniziative dei medici alle quali risultano essersi attenuti: la conseguenza che gli stessi vanno assolti per non aver commesso il fatto dal reato di cui al capo e) qualificato ai sensi dell’art. 589 cp….“
Numerose le falle nel sistema assistenziali che riporto in sintesi, invitando il lettore a leggere l’analisi integrale della sentenza qui (link monografia).
- Inesistenza di piano assistenza infermieristica in paziente con politraumatismo acuto;
- non viene segnalata la presenza del catetere vescicale;
- mancato controllo di idratazione e diuresi;
- incongruenza indice di Braden;
- mancanza basilare di rilevamento parametri vitali contestuali al caso, come la glicemia;
- mancato controllo notturno del paziente Cucchi;
- assenza di piano per intervento in emergenza-urgenza;
- mancata denuncia all’A.G. di ipotesi reato (Stefano disse all’infermiera di essere stato picchiato dai carabinieri);
- inconguenze consegne infermieristiche.
Considerazioni finali
Dalla sentenza della Corte di Assise di Roma 05/06/2013 presa in esame, comincia e finisce potremmo dire la responsabilità degli infermieri non attentamente vagliata. Sono stati prosciolti perchè non rientranti nel sistema di cura e della salute in toto della persona a loro affidata. Agli infermieri non si riconduceva direttamente una autonomia nell’assistenza al malato ma erano sempre esecutori “manuali” del medico.
Tanto che si esprime nei loro confronti asserendo la mancata responsabilità diagnostica, ignorando del tutto la professione infermieristica come fulcro intellettuale del vero senso assistenziale garante della salute tramite diagnosi infermieristica…..”Sullo stesso piano non possono essere posti gli infermieri: essi non hanno responsabilità diagnostiche, né autonomia nella gestione terapeutica del paziente: a loro, pertanto, non può essere richiesta la stessa perizia, vale a dire lo stesso “sapere” e lo stesso “saper fare”, che, invece, deve essere preteso dal medico.”
Pertanto gravi e diversificate risultano le negligenze degli infermieri a partire dalla progettualità assistenziale al Cucchi. Il giovane con diagnosi di politraumatismo e problematiche cardiache non è stato monitorato in assoluta autonomia infermieristica in base alla posizione di garanzia di tutela della salute.
I parametri vitali, frequenza cardiaca, glicemia, ecc., indicati sporadicamente in base alla patologia, di già facevano presupporre un indice di severità nell’emergere del controllo che doveva in assoluto allarmare il professionista sanitario dotato di responsabilità civile e penale al pari del medico.
La condotta infermieristica nel pieno riguardo della massima espressione tecnica intellettuale richiedeva un’alta diligenza per il caso trattato.
La prestazione d’opera non comportava una speciale difficoltà per gli infermieri, infatti un’adeguata pianificazione degli interventi e valutazioni classiche di base come valutazione dello stato di nutrizione, valutazione idratazione e diuresi (ed anche controllo funzionamento del catetere vescicale), unita alla corretta gestione della cartella infermieristica, avrebbe certamente portato ad un delinearsi di una cornice più definita (anche senza sforzo e tecnicismi astrusi).
Tale comportamento diligente avrebbe dovuto far nascere ed attivare un movimento di equipe con il coordinatore e multiprofessionale con i medici, i quali con alta probabilità avrebbero avuto un quadro più ampio di valori (parametri vitali) indicativi attestanti (ma già di base) la gravità della situazione del giovane Stefano, attivando monitoraggio specifico cardiaco con telemetria, trasferimento in un reparto più idoneo ad assistenza sub-intensiva, ecc..
La condotta degli infermieri essendo stata negligente per le ampie motivazioni suddette, per la componente estremamente omissiva ha contribuito con alta probabilità ad un nesso causale.
Giovanni Trianni Infermiere Legale Forense
Monografia completa (VEDI QUI)
photo credit: tg24.sky.it
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