Nessuna cura è ammessa contro un rifiuto del paziente, e i trattamenti sanitari non possono essere praticati a forza, anche se a fin di bene.
Per l’infermiere responsabilità è anche sinonimo di comprensione dell’azione.
La professionalità esige delle spiegazioni logiche, è chiamata ad agire non più in virtù di una vecchia e atavica subordinazione.
La collaborazione con il medico (atto medico prescrittivo) com’è l’esempio del cateterismo vescicale deve sempre avere dei punti di riferimento che porteranno il professionista a procedere in sicurezza e legalità.
Valutazione proattiva per il cateterismo vescicale
Ci siamo passati tutti, potremmo farlo ad occhi chiusi. Una volta che il medico stabilisce la necessità clinica, almeno per il primo cateterismo (L. Benci 2007) , l’infermiere formula l’obiettivo assistenziale e si appresta con competenza ed autonomia nello svolgimento.
Primo problema:
il paziente è stato chiaramente e totalmente informato, ed ha espresso il consenso?
I nobili motivi del cateterismo vescicale
E’ stato mai chiesto al diretto interessato se aveva voglia di sottoporsi ad una pratica così invasiva?
Gli è stato illustrato per filo e per segno il motivo, il perchè e il per come, fino ad arrivare ai pro e ai contro?
Molto spesso si crede che per superare l’ostacolo occorra basarsi solo su questi principi che appaiono saldi
- Lo ha stabilito il medico
- Per stato di necessità
- Ha le piaghe da decubito
- Occorre valutare diuresi
- Ha un globo vescicale
- E’ incontinente
Tutti i fondamenti su esposti potrebbero essere validi e da dimostrare, se non fosse per un problema: se il paziente rifiuta il trattamento, allora tutto decade.
Il cateterismo vescicale deve per il momento essere sospeso e rimandato, anche se il primum movens è la decisione di una diagnosi medica o sussiste uno stato di necessità.
Da esecutori subordinati a esseri pensanti
Non essendo più gli infermieri, dei semplici esecutori di mansioni, occorre comprendere e valutare scientificamente, deontologicamente (cfr. codice deontologico artt. 3, 4, 9, 10, 17, 25) e giuridicamente il processo che si sta per compiere.
Il cateterismo vescicale appare una procedura di poco conto, data per scontata, appartenente al nostro bagaglio tecnico già agli albori del percorso lavorativo.
Figuriamoci! Proprio una banalità per quante volte abbiamo provveduto alla pratica. E’ uno dei tanti primi mattoni portanti del percorso professionale. Un’attività largamente utilizzata, necessaria, indiscutibile.
Se si deve fare, ci vuole un attimo e talmente siamo bravi il paziente non se ne accorge nemmeno.
Tutto è pronto, il materiale già schierato sul carrello, il collega ci segue. Come da copione ci apprestiamo, abbiamo altre cose da fare dopo, quindi, in un attimo sarà tutto fatto.
Ma non abbiamo fatto i conti con problematiche insite nella procedura, stiamo correndo troppo ed occorre fare una serie di considerazioni. Dovremmo rispondere a delle semplici domande per poter spianare la strada ad un cateterismo vescicale legittimo.
Domande
Gli spieghiamo il motivo del nostro comportamento e la circostanza?
O non ce n’è bisogno perchè noi siamo i depositari dell’assistenza?
Ammesso e non concesso ad essere integerrimi e seguire tutto alla perfezione, cosa facciamo se lui si rifiuta?
Andiamo avanti comunque, o il paziente ha tutto il diritto a negare di sottoporsi alla procedura?
E se a metà percorso cambiasse idea?
Ben presto, ristabilito il nostro ordine mentale allora subito pensiamo che in realtà l’ha prescritto il medico, per una evidente necessità clinica.
Di conseguenza anche l’infermiere dovrà formulare una propria specifica diagnosi ed attivarsi in una collaborazione d’equipe rispondente alla sua capacità intellettuale giuridicamente assodata nell’uso di un dispositivo.
L’infermiere formula un obiettivo in base alla sua diagnosi infermieristica, sceglie in autonomia e si assume la responsabilità delle scelte adottate.
Ricordiamo che il catetere vescicale è un dispositivo medico e il D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 “Attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente dispositivi medici” specifica all’art. 3 che i dispositivi medici devono essere “utilizzati in conformità alla loro destinazione” ponendo quindi un divieto per un uso operato in difformità.
L’uso in difformità riguarda in particolar modo il mancato controllo della data di scadenza, il mancato rispetto delle indicazioni specifiche per particolari cateteri, ecc..
Tali norme non sono superabili neanche in presenza di una prescrizione medica che affermi il contrario: si tratterebbe in questo caso di una prescrizione illegittima.
Ed anche illegittimo sarebbe procedere a cateterizzare il paziente se ha espresso un rifiuto!
Come si nota, un dubbio può aprire la strada ad altri, messi in fila indiana, dai quali può scaturire una colpa.
Purtroppo il problema non finisce qui, se si pensa che tale rifiuto potrebbe averlo in qualsiasi altra circostanza, addirittura bloccando un attività tecnico-assistenziale in corso, fino a ritirare il consenso, a cambiare la sua idea.
Ha il diritto quindi ad interrompere ogni azione verso il proprio corpo, in base al principio di autodeterminazione terapeutica.
O per assurdo, a non voler essere informato di alcunchè.
L’ostruzione…giuridica al cateterismo vescicale
Se il paziente esprime dissenso, nè il medico nè altri sanitari possono obbligarlo a sottoporsi ad alcun trattamento.
Il consenso è sacro così come il dissenso, purché consapevole, informato ed espresso in forma cosciente. Quando viene rifiutato un qualsiasi trattamento, in un qualsiasi momento, il professionista sanitario deve fermarsi in quanto si trova di fronte ad un ostacolo insormontabile.
Nonostante il mancato intervento possa cagionare il pericolo di un aggravamento dello stato di salute dell’infermo o un danno superiore, secondo l’orientamento giuridico non si può continuare.
Dal processo e la sentenza di Norimberga, alla dichiarazione di Ginevra del 1948, alla Convenzione di Oviedo (07/12/2000, ratificata dall’Italia con la L. n°145 il 28/03/2001), si è storicamente affrontato internazionalmente il principio del diritto del malato all’autodeterminazione.
Anche in altri casi si è toccato il tema fondamentale del consenso del paziente. Vista l’enorme mole di pronunciamenti ne riportiamo solo alcuni.
Pretura Treviso, 29/04/1999
Il diritto al rifiuto delle cure. Il soggetto ha diritto di avvalersi come di rifiutare le cure che il medico gli prospetta; esiste cioè un diritto di non curarsi anche se tale condotta espone il soggetto al rischio della vita.
Cassazione III sez. civ. n° 7027/2001 Viene toccata l’essenzialità del consenso a partire dall’art. 13 della Cosituzione che sancisce l’inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve ritenersi inclusa la libertà di salvaguardare la propria salute e la propria integrità fisica. Ma è soprattutto rilevante in materia l’art. 32 Cost., per il quale “Nessuno può essere sottoposto a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (la quale) non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. In particolare, poiché il consenso per essere “informato” presuppone una specifica e particolareggiata informazione, nessun dubbio può esserci su chi sia tenuto a fornirla: “non può provenire che dal sanitario che deve prestare la sua attività professionale.
Nel 2002 la Cassazione, sez.IV, n. 1240, pronunciò che in mancanza di informazione adeguata circa i rischi, il consenso è viziato.
Corte Costituzionale, Sentenza n. 438/2008 “La scelta libera, ragionata e consapevole di non godere del bene-salute, è espressione dei diritti di libertà e rispetto della dignità umana per cui va rispettata anche se determina pericolo di vita o danno per la salute”.
Il continuare un intervento nonostante il mancato consenso
Il fatto di continuare a portare a termine un intervento qualsiasi nonostante il dissenso del paziente potrebbe trasformarsi in un reato.
Obbligarlo a un trattamento sanitario, al di fuori da quelli previsti per legge, integra il delitto di violenza privata in quanto lede la libertà personale tutelata dalla costituzione (art. 13 Cost.).
Nessuna cura è ammessa contro un rifiuto consapevole del paziente, e i trattamenti sanitari non possono essere praticati per forza, anche se a fin di bene.
In sentenza che segue si noti che, nonostante lo stato di necessità sia richiamato spesso come esimente (eliminante la condizione del reato), viene rigettato e non preso in considerazione dal Giudicante.
Il caso del cateterismo vescicale forzato
Una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, si pronunciò su di un caso di cateterismo vescicale contro la volontà del paziente.
Nella sentenza n. 38914 del 24/09/2015, gli ermellini hanno condannato un infermiere per aver obbligato un anziano paziente a sottoporsi al cateterismo vescicale, nonostante il secco rifiuto di quest’ultimo.
L’uomo infatti essendo incorso, in un precedente ricovero, in problematiche dovute ad un cateterismo vescicale, e temeva il verificarsi dell’inconveniente, si era opposto in maniera decisa e ed assoluta alla pratica, arrivando ad urlare e a dimenarsi.
L’infermiere a sua discolpa si appellò al fatto che era stato il medico a deciderlo, e che in quel momento si era palesato uno stato di necessità, cioè un globo vescicale.
Ma invano, nulla servì ad evitare la condanna.
Cosa accadde
Un infermiere nel 2014 venne condannato dalla Corte di Appello di Trieste a quattro mesi di reclusione. Fu accusato di aver costretto con la forza un anziano paziente a subire un cateterismo vescicale.
Dai verbali della sentenza infatti si evincono gli atti violenti.
Quando il paziente cominciò ad opporre resistenza l’operatore sanitario fece di tutto per finire ciò che aveva iniziato: schiaffi sulle mani e costrizione con la forza, strattonamenti, minacce e bestemmie.
Arrivò perfino ad immobilizzarlo con polsiere. In pratica la violenza fisica era stata utilizzata per superare l’opposizione del paziente stesso.
L’infermiere tramite il suo legale ricorse avverso la sentenza con diversi motivi, tesi a dimostrare la professionalità e la buona fede della sua procedura.
Ciononostante La Cassazione riuscì a confutare molti punti.
- Scriminante per stato di necessità (art. 54 c.p.):
presenza di globo vescicale, anche se all’inserimento del catetere fuoriuscita di soli 300 cc di urina, già manifestava perdite di urine, ed in terapia con diuretici.
Qui non c’erano le condizioni per invocarlo, mancando il pericolo imminente di danno grave alla persona e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio, di intensità tale che non possa essere evitato se non ricorrendo all’illecito penale.
D’altronde il medico di turno, che pure era intervenuto, non aveva diagnosticato alcun “globo vescicale”, né alcuna situazione di pericolo per la vita o per la salute del paziente.
- Scriminante art. 51 c.p.:
aver adempiuto ad un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine (in questo caso una diagnosi clinica del medico). Sull’infermiere infatti grava l’obbligo di protezione del paziente che però deve inchinarsi all’inviolabilità della libertà personale non appena viene riscontrato il rifiuto di questi.
- Procedura fatta secondo tutti i canoni lege artis:
l’intervento ha avuto esito fausto, senza conseguenza (negativa) alcuna, tipo lesioni. Ma ciò non assume rilievo.
- Mancanza nesso causale:
ecchimosi alle mani, in quanto il paziente risultò in terapia anticoagulante. Non si poteva dimostrarne l’epoca e quindi risultava viziato il nesso.
Ma la Cassazione arriva a confutare tutti i punti uno per uno.
Condannato per il cateterismo forzato
A livello disciplinare l’Azienda sanitaria sospese l’infermiere dal servizio e dalla retribuzione per 10 giorni.
La Cassazione arrivò a considerare completamente netto e giustificato il rifiuto espresso dal paziente, con tutte le sue manifestazioni possibili (negazione, urla, movimenti per divincolarsi, ecc.).
Cioè non si poteva pensare, nella fattispecie, di applicare un trattamento sanitario obbligatorio, non essendocene i requisiti.
La sentenza si fondò quindi sull’art. 13 e 32 della Costituzione, sulla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 33, che esclude la possibilità d’accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente.
La Suprema Corte respinse il ricorso e condannò l’imputato al pagamento delle spese processuali.
Giovanni Trianni infermiere legale forense
Fonti:
Foto Pixabay
www.fnopi.it, 16/02/2021
L. Benci La responsabilità dell’infermiere nel cateterismo vescicale, Documento ANIPIO, 2007
www.altalex.com, 15/02/2021
enpam.it: il consenso informato in medicina, aggiornamenti a cura di M. Perelli Ercolini, 11/02/2021
www.laleggepertutti.it, 11/02/2021