L’urinocoltura è un test microbiologico che viene effettuato su un campione di urina e serve per verificare o meno la presenza di batteri e quindi di infezioni.
L’urina è normalmente un liquido biologico sterile o, per lo meno, a bassa carica batterica, quindi l’urinocoltura deve dare esito negativo.
Valori normali: meno di 100.000 UFC (Unità Formanti Colonie, cioè batteri) per millilitro.
Un’urinocoltura in cui vi siano da 10.000 a 100.000 UFC/ml viene considerata dubbia, mentre l’esame risulta positivo quando sono presenti più di 100.000 UFC/ml. Il riscontro quest’ultimo reperto (urinocoltura positiva) costituisce una probabile spia di infezioni delle vie urinarie (IVU) acute o croniche.
Quando Fare il Test
Quando cominciano a mostrarsi i sintomi tipici delle infezioni delle vie urinarie (IVU), quali minzione frequente e dolorosa, bruciore, urgenza di urinare, eventuale febbre e/o quando l’esame chimico-fisico e microscopico delle urine rileva la presenza di batteri, leucociti e/o emazie, che sono indicativi di infezione.
Nei neonati e nei bambini piccoli (<2 anni di età) i sintomi possono essere aspecifici: si pensa ad IVU in presenza di febbre > 38°C senza cause apparenti, vomito, dolore addominale, urine maleodoranti. Nel corso della gravidanza è opportuno effettuare periodicamente l’esame delle urine e l’urinocoltura, allo scopo di identificare una batteriuria asintomatica, che deve essere trattata.
Modalità di raccolta del campione
Il metodo più frequentemente utilizzato per eseguire l’urinocoltura è la raccolta del mitto intermedio privo di contaminanti della prima minzione del mattino. La corretta procedura di raccolta permette di ridurre fortemente la contaminazione. È importante pulire bene l’area genitale prima della raccolta, a causa della potenziale contaminazione dell’urina da parte di batteri e cellule della cute circostante durante la procedura (in modo particolare nelle donne).
La prima cosa da fare è lavarsi accuratamente le mani
Le donne dovrebbero divaricare le grandi labbra e pulirle con un movimento dal davanti verso l’indietro, pulire il meato uretrale esterno utilizzando una salvietta sterile, ripetendo una seconda volta il procedimento. Per la raccolta del campione le grandi labbra devono essere mantenute divaricate
Gli uomini dovrebbero retrarre il prepuzio, pulire la punta del pene e il meato uretrale con acqua e sapone, mantenendolo scoperto fino alla fine della raccolta del campione
Appena inizia la minzione il primo getto va eliminato, quindi si deve raccogliere il secondo getto (10-20 ml) in un contenitore sterile e infine terminare la minzione. L’interno del contenitore non deve entrare a contatto con la cute e l’urina non va mai raccolta dalla toilette (o da un altro contenitore).
In casi particolari, l’urina può essere aspirata direttamente dalla vescica, tramite puntura sovrapubica, oppure raccolta in modo sterile tramite catetere urinario, metodiche riservate a pazienti non collaboranti, casi gravi e non responsivi alla terapia. Tali procedure di raccolta vengono effettuate generalmente in ambito ospedaliero da personale sanitario.
Nei bambini che non controllano ancora la minzione, è possibile far aderire, dopo accurato lavaggio della cute con acqua e sapone, un apposito sacchetto sterile in corrispondenza della zona genitale. È opportuno che la procedura venga effettuata con i guanti. Il sacchetto andrà poi inserito direttamente nel barattolo sterile con tappo a vite. Tale modalità presenta comunque alti tassi di contaminazione.
Nei bambini che controllano la minzione è più utile praticare la raccolta delle urine “al volo” (clean catch) nel contenitore sterile, dopo aver accuratamente lavato la zona, lasciando il bambino senza pannolino.
In soggetti con catetere urinario a permanenza la raccolta deve essere effettuata da personale sanitario (infermiere) o personale addestrato (familiare, caregiver), utilizzando particolari precauzioni, in quanto la colonizzazione del catetere è inevitabile, con comparsa di biofilm sul catetere stesso. Si ricorda che il catetere vescicale è il fattore di rischio più importante di IVU nelle aree di degenza ospedaliere e nelle strutture residenziali territoriali.
Si ricorda che le IVU associate al cateterismo vescicale rappresentano la più frequente forma di infezione associata alle cure mediche, che comporta un incremento della morbidità e della mortalità, un allungamento della degenza (ospedaliera e nelle strutture residenziali), un aumento dei costi ed un utilizzo non necessario di antibiotici. La strategia più efficace per prevenire tali infezioni è quella di evitare la cateterizzazione, se non necessaria, o comunque di ridurne al minimo la durata, adottando rigorose misure igieniche.
L’incontinenza urinaria, l’immobilità o la demenza non sono indicazioni valide al cateterismo vescicale (Raccomandazione 2019 Choosing Wisely e Associazione Multidisciplinare di Geriatria –AMGe-).
Inoltre, negli ultimi anni nel mondo si sono diffusi in ospedale e nelle strutture residenziali microrganismi multiresistenti agli antibiotici, responsabili dell’insorgenza di infezioni difficili da trattare.
I Centri per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Centers for Disease Control and Prevention, CDC) di Atlanta hanno recentemente revisionato una linea guida (LG) del 2009 sulla prevenzione delle IVU correlate al cateterismo (Guideline for Prevention of Catheter-Associated Urinary Tract Infections, revisione del 2017).
Tale LG specifica che nei pazienti chirurgici il catetere deve essere rimosso preferibilmente entro 24 ore dall’intervento, a meno che non vi siano precise condizioni cliniche che ne giustifichino il mantenimento. La profilassi antibiotica all’inserzione o al momento della sostituzione e la profilassi antibiotica periodica non sono utili per la prevenzione delle IVU associate a cateteri, anzi al contrario possono favorire lo sviluppo di resistenza agli antibiotici e l’insorgenza di infezione da Clostridium difficile.
Nei pazienti portatori di catetere vescicale, in caso di batteriuria asintomatica con ogni probabilità dovuta a contaminazione del catetere, l’urinocoltura e l’antibiogramma non devono essere mai eseguiti e la terapia antibiotica non deve essere prescritta.
In questi pazienti il sospetto di infezione urinaria si basa invece sul riscontro di sintomi quali febbre, dolore al fianco o nella zona sovrapubica, stranguria e disuria, malessere. Nei pazienti stabili c’è tutto il tempo di aspettare i risultati dell’antibiogramma per iniziare una terapia mirata. Nei pazienti instabili la terapia antibiotica dovrebbe essere iniziata al più presto, subito dopo avere eseguito il prelievo per urinocoltura e due emocolture. In un paziente portatore di catetere con segni di infezione urinaria, inoltre, la rimozione del catetere è sempre raccomandata.
Interpretare l’antibiogramma e la concentrazione minima inibente (MIC)
Nel caso delle infezioni delle vie urinarie, l’urinocoltura consente di valutare, grazie ad un antibiogramma, la sensibilità o la resistenza agli antibiotici dell’agente infettivo in causa. Diventa così possibile scegliere il farmaco antibiotico più adatto al caso, al fine di determinare la cura più idonea e prevenire la diffusione di specie batteriche resistenti.
Il batterio identificato nelle urine con più frequenza è l’Escherichia coli.
Che cos’è una MIC?
La MIC, o concentrazione minima inibitoria, rappresenta la concentrazione più bassa (in µg/mL) di un antibiotico in grado di inibire la crescita di un determinato tipo di batterio. Si tratta di un valore dipendente dal tipo di batterio che differirà notevolmente tra le diverse specie batteriche e persino all’interno di una specie a seconda del singolo tipo di batterio isolato nel rispettivo caso clinico, anche per lo stesso antibiotico esaminato.
La MIC è riportata come un valore numerico
I valori superiori o inferiori all’intervallo di misurazione sono indicati con “<=” (in caso di valori inferiori all’intervallo, nella categoria sensibile) o con “>=” (in caso di valori superiori all’intervallo, nella categoria resistente).
Come è riportata la MIC?
Accanto a ciascun antibiotico è riportata l’interpretazione della sensibilità:
- S (sensibile), significa che l’organismo è inibito dalla concentrazione sierica del farmaco che si ottiene con la dose normale;
- I (intermedio) significa che gli organismi sono inibiti soltanto quando si ottengono concentrazioni più elevate rispetto alle dosi normalmente consigliate;
- R (resistente) significa che gli organismi sono resistenti ai livelli sierici di farmaco solitamente raggiungibili.
Queste sono le tre categorie interpretative, elencate nella prima colonna dei risultati del rapporto di sensibilità. La rispettiva categoria è seguita dalla MIC in µg/mL nella colonna successiva dei risultati del rapporto di sensibilità: Sensibile, intermedio e resistente.
Le categorie interpretative sono valutate in base ai cosiddetti breakpoint per ciascun antibiotico elencato. I breakpoint sono i limiti delle concentrazioni di antibiotico saggiate previsti da organismi internazionali di studio micobiologico.
Come si interpretano le MIC?
Il confronto delle MIC di diversi antibiotici non si basa esclusivamente sul valore numerico, ma soprattutto su quanto dista la MIC dal suo valore di breakpoint clinico. Più è distante la MIC dal valore di breakpoint minore è la probabilità di insorgenza di resistenza. Per la scelta della terapia mirata quindi non si dovrebbero mai confrontare i valori di MIC dei vari antibiotici refertati alla ricerca del valore minore, in quanto un antibiotico con un valore MIC di 0,25 mg/L può essere meno efficace di uno con un valore MIC di 4 mg/L.
Ad esempio:
- MIC antibiotico A = di 0,5 mg/L con breakpoint = 2 mg/L
- MIC antibiotico B = 2 mg/L con breakpoint = 16 mg/L
B è l’antibiotico con la MIC più favorevole, anche se la sua MIC è maggiore di quella dell’antibiotico A
In quali casi non si eseguono le MIC?
- il microrganismo è noto per essere intrinsecamente resistente ad un determinato antibiotico
- i risultati delle colture microbiologiche da siti non sterili evidenziano la presenza di una flora microbica residente, ovvero di microrganismi che costituiscono il microbiota commensale di un determinato distretto anatomico
Redazione NurseTimes
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