Gentile Direttore di Nurse Times,
Mi chiamo Valeria e sono un’infermiera siciliana che lavora presso l’ospedale Molinette di Torino.
Come tanti altri ragazzi, una volta laureata, sono partita alla ricerca del “posto fisso”, considerato che in Sicilia, purtroppo, i concorsi sono assai rari, per non dire inesistenti.
Dopo vari viaggi in giro per l’Italia, dopo innumerevoli prove e complessi test da superare, finalmente ce l’ho fatta: sono entrata in graduatoria per l’ottenimento di un posto a tempo indeterminato presso un ospedale pubblico; un sogno praticamente!
Così, un giorno d’estate è arrivata la raccomandata. Al posto fisso non si può rinunciare, e io non volevo accontentarmi di incarichi brevi.
Dunque ho preparato le valigie, preso tutto quello che mi serviva, compresa anche qualche foto ricordo per stemperare la nostalgia nei momenti più bui, e sono partita alla volta di una città completamente sconosciuta, da sola, lontana da tutti i miei affetti, certa però che un giorno sarei tornata a casa.
“Presenterò domanda di mobilità” dicevo, “prima o poi chiameranno, è l’unico modo”.
Ed effettivamente nel 2019 è uscito un bando di mobilità per la Sicilia Occidentale.
In preda alla gioia, ho fatto richiesta, sognando già di ritornare a casa, dai miei genitori, dai miei nonni che vorrei tanto vedere invecchiare, sperando di tornare a svegliarmi nel mio letto, di sentire il profumo della mia terra ed abbracciare i miei alla fine di una dura giornata di lavoro.
Ma purtroppo questo resta, ad oggi, solamente un sogno.
La graduatoria non scorre e le procedure sono lentissime, ma non è tutto. Prima di attingere alla graduatoria di mobilità le varie Asp preferiscono assumere nuovi infermieri e stabilizzare coloro i quali hanno raggiunto un’anzianità di servizio pari a 36 mesi nel pubblico.
Mi permetto di parlare a nome di tutti i miei colleghi che, come me, accarezzano la medesima speranza e che, come me, si sono trovati a fronteggiare la recente emergenza sanitaria DA SOLI.
Sottolineo infatti che abbiamo lavorato (anzi lavoriamo tuttora) a contatto con pazienti Covid positivi, per mesi interi, fin dall’inizio della pandemia, che sono stati bloccati i voli aerei, impedendo a noi tutti di tornare alle nostre case, facendo sì che l’unica casa fosse per noi l’ospedale stesso.
Ti ritrovavi a pregare che non succedesse nulla ai tuoi, perché a causa della lontananza prolungata e invalicabile, non avresti potuto far nulla.
E allo stesso tempo pregavi anche affinché non succedesse nulla a te stessa, perché in una città nuova e lontana dal tuo cosmo di affetti, saresti stata da sola, a star male e supplicare di guarire. Tenevo una valigia pronta all’inizio della pandemia, quando ancora tutto era sconosciuto, nell’eventualità mi succedesse qualcosa e per lo stesso motivo ad alcuni colleghi avevo dato il numero dei miei, nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.
Avrei tanto altro da dire ma riesco a manifestare solo tanta amarezza e mancanza di fiducia verso una politica che non cambierà mai, che insegna che combattere non serve, che è meglio accontentarsi di un contratto di pochi mesi, che “tanto prima o poi ti stabilizzano”, che privilegia chi si fossilizza una volta laureato a chi invece continua a studiare, mettersi in gioco ed aggiornarsi.
Detto ciò, forse questa “lettera” non servirà a nulla, forse non sarà nemmeno resa pubblica ma almeno spero sia un mezzo di condivisione, una voce rivolta ai colleghi per invitare tutti noi a non sentirci soli…siamo sulla stessa barca, e io spero sinceramente che un giorno possa approdare alla nostra isola felice.
Cari politici, per favore, fateci tornare a casa.
Valeria Grutta
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