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Un’opportunità lavorativa, una scelta che paga!

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Margherita Nunnari
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Saluto Margherita Nunnari e la ringrazio per averci concesso questa intervista a beneficio dei lettori di NurseTimes. Un’intervista che rappresenta un utile contributo per tutti quei colleghi che colpiti da problemi occupazionali nel nostro paese stanno decidendo se emigrare in UK. NurseTimes dalla parte degli infermieri, di tutti quei colleghi che in questo periodo storico non riescono ad affermare il proprio diritto al lavoro. Questa testimonianza insieme alle altre già pubblicate hanno lo scopo di portare informazioni utili e fare chiarezza affinchè venga fatta una scelta  consapevole anche se difficile.

  1. Presentati ai nostri lettori.

Ciao, sono Margherita Nunnari, sono sempre stata chiamata sin dalla nascita Margaret, un segno del destino forse?!

  1. Quando hai pensato di trasferirti in UK e perché?

Ho deciso di trasferirmi in UK perchè un mio carissimo amico, Sergio Riggi, mi ha quasi costretta!

Un pomeriggio mentre parlavamo della sua scelta di partire in UK, diede i miei contatti ad una agenzia di recruitment in UK .

Stanca del cercare su decine di siti di annunci, fare il giro porta a porta delle cliniche private e fare tante chiamate ai politici della città ho deciso di accettare questa sfida non credendo di poter andare fino in fondo.

In particolar modo ho deciso di partire perchè in Italia avevo capito di non avere alcuna speranza di lavoro, forse vi chiederete il perchè.

Ebbene si… 26 enne con la fede al dito , una famiglia e una figlia.

Un giorno risposi ad un annuncio di lavoro come “badante “ presa dalla disperazione, disposta a viaggiare dall’altra parte dello stretto e lavorare alternandomi ad una badante rumena per oltre 12 ore al giorno, persone distinte loro…i datori di lavoro che al telefono erano entusiasti di avere un’infermiera referenziata ma…appena mi videro (e videro il mio anulare sinistro) cambiarono subito volto e opinione.

Quella traversata in aliscafo quella mattina duró molto…Decisi che era arrivato il momento di fare una scelta, dovevo fare il lavoro per il quale avevo tanto studiato e tanto sacrificato me stessa, e lo avrei fatto in Italia o altrove!

Continuavo a ripetermi: “La schiavitù è finita da un pezzo“.

  1. Come è stato il primo impatto? Il tuo rapporto con la nuova realtà?

Andai a Roma a sostenere una job interview e appena finiti di preparare i documenti ero già li…

Conobbi i miei colleghi italiani, un bel gruppo, tutti accomunati dalle stesse paure e aspettative, aspettative che poi si rivelarono positive!

Iniziammo con study day e vari corsi per metterci al passo con i colleghi inglesi e la settimana dopo giá in reparto !

Che fifa quel morning!!!

Credevo di conoscere bene la lingua , invece capivo la metà delle cose sentite e non riuscivo ad esprimermi!

Giro medici, pazienti diversi, la mia tutor che cercava di spiegarmi il tutto, matron, sister che a sol pensiero di ricordare i nomi, le facce e i diversi colori delle uniformi mi veniva mal di testa!

Non fu facile ambientarsi, ma i colleghi e i miei superiori mi aiutarono molto, trasmettendomi tranquillità e serenità, così pian piano nell’arco di poche settimane iniziai ad ambientarmi.

  1. Il rapporto con i tuoi colleghi?

Il rapporto con i colleghi lo potrei definire come un qualsiasi rapporto che si puó instaurare anche in Italia, almeno credo.

Forse qui è un pó difficile unirsi a loro all’inizio, probabilmente per la lingua, i loro gruppetti, la loro cultura ma non è difficile guadagnarsi la loro fiducia e benevolenza e diventare presto loro amico!!!

  1. Qual’è la considerazione e quindi il valore dell’infermiere all’interno della società anglosassone?

Essere infermiera in UK significa molto per me…

Mi piace essere chiamata per nome dai miei pazienti perchè mi fa sentire parte della loro vita, anzicchè un semplice e freddo “nurse ‘!

Poter parlare direttamente col consultant e chiedere consigli o fare delle osservazioni sulle condizioni di salute dei pazienti, essere parte di un team e interagire con loro.

E molto altro ancora.

  1. In relazione alla tua personale storia familiare come hai vissuto questo trasferimento? Quali adattamenti hai dovuto apportare al tuo stile di vita? Torneresti in Italia?

Sono qui con la mia famiglia adesso, mio marito e mia figlia e penso che staró qui più a lungo possibile perchè purtroppo – non bello da dire – per me l’ Italia è solo un paese dove poter trascorrere le proprie vacanze adesso!

Sono sincera, se in Italia avessi avuto le stesse opportunità di crescita forse sarei ancora li, ma non le ho avute e penso mai ne avró!

Non volevo fossilizzarmi in un paese di dinosauri e piano piano estinguermi!

  1. Possibilità di carriera e autonomia dalla classe medica, due condizioni ancora lontane dalla realtà infermieristica italiana. Raccontaci le tue aspettative.

Amo l ‘idea di infermiere autonomo, l’infermiere che afferma con orgoglio la propria professionalità, la propria indipendenza e autonomia pratica sì ma soprattuto intellettuale.

Le possibilità di carriera qui sono molte e vedo me stessa in un futuro sempre più prossimo aperta a nuove opportunità di miglioramento!

  1. L’ultima domanda è d’obbligo: quale messaggio, quale consiglio senti di dare ai tanti colleghi italiani disoccupati/precari?

Il consiglio che voglio dare ai miei, meno fortunati, colleghi disoccupati e/o precari è:

Non sprecate fatiche e denaro per andare a rincorrere il “posto fisso” in Italia (prerogativa di pochi ed eletti), miglioratevi e non perdete le oppurtunitá che vi si presentano, domani potrebbe essere già tardi!!!

Sicuramente una testimonianza importante, che forse servirà a far riflettere chi non è riuscito a creare le condizioni ideali qui in Italia per dare delle risposte occupazionali certe.

Giuseppe Papagni

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