La carenza cronica di infermieri, che contraddistingue gli ospedali italiani, riguarda ormai anche le realtà pediatriche. Analizzando gli standard di sicurezza, ogni infermiere pediatrico dovrebbe assistere non più di 4 pazienti, mentre la media negli ospedali dedicati ai piccoli pazienti è di un professionista per 6,6 pazienti, 2,6 pazienti in più del previsto.
Secondo quanto riferito dalla Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), «per ogni paziente extra il rischio di mortalità a 30 giorni aumenta del 7%. Con due pazienti e mezzo in più arriva al 17-18%. Sommando poi i dati delle attività infermieristiche mancate, il rischio di mortalità per i bambini ricoverati arriva al 25-26%».
«Sono dati che grazie alla buona volontà dei professionisti e alla capacità del management delle aziende non si sono realizzati, ma il livello di allarme è alto e di questo si deve tenere conto al momento della scelta delle politiche di programmazione. Oggi abbiamo una carenza di infermieri in costante aumento», spiega la presidente di Fnopi Barbara Mangiacavalli commentando lo studio presentato in Senato, realizzato da 12 aziende ospedaliere pediatriche aderenti all’Aopi, l’Associazione degli Ospedali pediatrici Italiani che aderisce alla Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie pubbliche.
Secondo l’indagine dei ricercatori del Gruppo di studio italiano RN4CAST IT-Ped, il rapporto pazienti-infermiere dovrebbe essere di 3 o 4 a 1 nelle aree chirurgica e medica, di 1 o persino 0,5 per le aree critiche come terapie intensive e rianimazioni. Numeri lontani dalla realtà rilevata dall’indagine, che ha calcolato un rapporto di 5,93 per la chirurgia, 5,7 per quella medica e 3,55 per l’area critica.
La carenza di personale appartenente ad ogni categoria obbliga ad un impegno dei pochi infermieri presenti in attività che di infermieristico non hanno proprio nulla: eseguire richieste di reperimento materiali e dispositivi, compilare moduli per servizi non infermieristici, svolgere attività burocratiche o più banalmente rispondere al telefono.
Il report sottolinea come per colpa del super lavoro il 32% degli infermieri sia finito in «burnout», la sindrome da esaurimento emozionale che colpisce chi per professione si occupa delle persone.
«I risultati dell’indagine, pur focalizzati su un aspetto particolare e delicato dell’assistenza com’è quella rivolta ai più piccoli, mostrano ancora una volta che senza il contributo fondamentale dei professionisti e di un management all’altezza, il nostro Servizio sanitario nazionale sarebbe già naufragato da un pezzo», ha affermato il Presidente di Fiaso, Francesco Ripa di Meana.
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