Premessa doverosa: non parlerò più del comma 566 fino a quando non verrà affossato definitivamente.
Occorre però tornarci sopra perché le polemiche non si placano e soprattutto appare quanto mai evidente che esistono posizioni contrapposte anche nella nostra categoria professionale.
Schierarsi è un tratto tipico della cultura italiana e quando le cose non sono chiare la contrapposizione prende coraggio e si manifesta nel modo più cruento.
Compito di chi prova a “raccontare” quanto avviene nel nostro mondo è tentare di mantenere atteggiamenti equidistanti per cercare di indirizzare il pensiero verso un atteggiamento propositivo e non di scontro, ma diventa difficile quando si annusano collusioni a vario titolo.
Il Comma 566 ha la caratteristica di riuscire ad incanalare le peggio pulsioni dell’anima infermieristica riuscendo là dove nemmeno la Silvestro è riuscita: dividere la categoria in maniera netta.
Molti colleghi, molto più esperti del sottoscritto, hanno provato a elencare vizi e virtù di un enunciato di principio inserito dentro una Legge di Stabilità che per sua natura non nasce per “armonizzare“ una professione (o più professioni) ma le spese dello Stato e di conseguenza dovrebbe, solo per il luogo di nascita, far sorgere più di un sospetto anziché canti di giubilo.
La cosa paradossale è che questo Comma ha da poco appena compiuto un anno di vita e da allora non solo non è cambiato nulla, non solo non è stato applicato, ma nessuno ha davvero provato a declinarlo in maniera chiara (non è la prima volta che lo dico ma a quanto pare non interessa a nessuno).
Intanto, cosa aggiunge il Comma 566 rispetto alle Leggi che regolamentano la nostra professione?
A giudicare da quanto vi è scritto nulla, come bene ha fatto notare il collega Maicol Carvello in una recentissima lettera inviata a Quotidianosanità.it e pubblicata il 28 dicembre
che iniziava la sua missiva con le parole della Legge 251/2000.
Il Comma 566 ha per sua natura, visto il luogo di nascita, un DNA economico e questo lo pone pericolosamente su un piano del tutto estraneo a quelle che sono le titolarità in materia di attribuzioni di competenze che le professioni devono avere in ambito sanitario. Si sposa invece molto bene con possibili pruriti di risparmio che sembrano manifestarsi con molta inquietudine nelle azioni dei Governi, sia a livello centrale che regionale.
Quello che dovrebbe agitare i pensieri degli infermieri italiani è come può questo Comma in qualche modo migliorare le loro condizioni di lavoro nelle UO e nelle Aziende Sanitarie.
All’indomani dell’uscita della norma, anche se chiamarla tale è inopportuno, IPASVI si è subito mosso per declinarla materialmente ovvero ha elaborato quello che dovrebbe essere il metodo di implementazioni delle Competenze Avanzate, faccio sommessamente notare che prima di avanzare andrebbe valorizzato lo storico ovvero far applicare le normative vigenti.
In quattro mesi, questo è il tempo di realizzazione del documento IPASVI, viene messo a punto un vademecum per “governare le competenze” con caratteristiche generali in quanto, particolare di non poco conto, il comma 566 demanda alla conferenza Stato – Regioni e di conseguenza alle Regioni il compito di individuare i percorsi di formazione delle competenze sulla base delle proprie necessità.
Il documento è un PDF presentato dalla Senatrice Silvestro e commentato a latere dal Presidente Mangiacavalli di 14 pagine (comprese copertina e pagina degli autori) in cui più o meno genericamente si ipotizzano gli Infermieri 2.0 che dovranno migliorare la Sanità Italiana ma soprattutto la salute dei cittadini.
Molte sono state le critiche mosse al documento, lascio ai lettori la ricerca delle voci dissonanti da un lavoro approvato dalla FNC con delibera 79 del 25 aprile 2015 (25 aprile!!!!!!!!!!)
Il problema non lo individuo nel numero di parole spese per prepararlo, se fosse cosi Ungaretti non sarebbe il poeta immortale che tutti conosciamo ma è pur certo che da un gruppo come quello elencato a pagina 12 ci si aspettava qualcosa di meglio.
In Toscana, per esempio, il Collegio Ipasvi di Firenze ha presentato un suo documento interno molto articolato, nel quale si coglieva una visione che partiva da un concetto alto di co-partecipazione da parte di tutti i soggetti coinvolti nelle risposte in termini di organizzazione sanitaria: le aziende, l’Università, la Regione ed i professionisti.
La base non erano le competenze ma le richieste: una visione di prospettiva e non di propaganda (ora potete anche accusarmi di campanilismo).
Esiste tuttavia un errore di fondo che in pochi vogliono analizzare e che vado ripetendo da tempo, sia in ambito istituzionale che giornalistico, cioè quella che il prof. Cavicchi chiama “riforma”.
Nel comma 566 non c’è alcun riferimento a quale “organizzazione” vogliamo fare riferimento ma quel che è peggio è che lo si vuole incastrare dentro una destrutturazione e un de finanziamento del sistema che sta diventando strutturale dimenticando quello che dovrebbe essere centrale all’interno del mondo del lavoro ossia “il Lavoro”.
Cavicchi da tempo ha messo al centro del suo pensiero riformatore per la Sanità Italiana, il concetto del “valore del lavoro” inteso come valorizzazione delle risorse umane che devono tornare ad essere il fulcro attorno al quale deve riformarsi il sistema.
Nel comma 566 di tutto questo non solo non vi è traccia ma rischia di essere il pretesto per ulteriormente ammorbare la voglia di tornare protagonisti i professionisti della Sanità.
Dunque il primo passo che IPASVI avrebbe dovuto fare sarebbe stato quello di gettare un cono di luce per identificare i problemi, erano proprio le condizioni di lavoro in cui gli Infermieri versano da qualche anno, avrei accettato anche l’idea che non si fosse fatto condizionare dal blocco contrattuale ma avrebbe dovuto almeno valutare l’impatto del blocco del turnover.
Una valutazione oggettiva, che partisse dalle UO senza condizionamenti vari legati a Dirigenze più o meno accondiscendenti magari attraverso una collaborazione con il sindacato maggiormente rappresentativo per gli Infermieri avrebbe potuto portare ad avere dati scevri e reali.
Ovviamente non sarebbe stato sufficiente una ricognizione nelle strutture pubbliche ma allargare la visione a tutto il panorama lavorativo infermieristico in modo da avere tutti i dati a disposizione per elaborare non sulla carta ma sulla realtà.
Altra condizione necessaria per poter comprendere quale migliore strumento mettere in campo per dare vita al comma 566 sarebbe stato dare in mano agli esperti il jobs act che, piaccia o meno, colpisce anche i lavoratori della Sanità ed il suo impatto ad oggi ancora non è chiaro.
Come sia possibile acquisire competenza e metterle a disposizione della propria azienda quando questa ti assume a “tutele crescenti” con una serie di incognite ancora non mi è chiaro ma IPASVI spero voglia dire, non tanto al sottoscritto ma all’intera categoria, come questo si possa ovviare ne saremo grati. Certo è che non si possono ignorare le regole del mercato del lavoro con atteggiamenti autoreferenziali, essi non solo non garantiscono i professionisti che si vuole tutelare ma soprattutto la dignità della professione.
Altra questione è che quel documento non chiarisce, a 8 mesi dalla sua deliberazione, chi verrà investito da tale crescita.
Nell’applicare il comma 566 nessuno ancora ha chiarito chi avrà la possibilità di vedere riconosciute le sue competenze, perché se la risposta “è chiunque lo voglia” la mia preoccupazione si accentua vedendo come è finita la questione dei Master di 1° livello.
In un anno dalla sua emanazione nessun Sindacato ha provato a mettersi ad un qualsiasi tavolo, anche quello della propria sede, per tentare una valutazione di impatto economico ed elaborare una proposta di avanzamento contrattuale. Forse IPASVI è stata più realista del Re ma questo non va a sua favore.
Se in questi 12 mesi nessun Sindacato, magari se qualche sindacalista lo ha fatto sono pronto a leggere le proposte, si è imbarcato in un studio è perché probabilmente non è possibile assicurare agli Infermieri (ed agli altri professionisti) nessuna certezza di avanzamento in quanto sarebbe del tutto inaccettabile ad oggi dai contabili del Governo.
Mi piacerebbe, però, che almeno Nursind ci provi (se lo ha fatto chiedo venia per l’ignoranza) a prevedere quale possa essere una prospettiva in modo da dare una motivazione realistica e non, ripeto, autoreferenziale alle “competenze avanzate”.
Credo non sia possibile farlo, perché il comma 566 non aiuta in alcun modo la previsione perché ancorato ad un tavolo tecnico che non riesce a risolvere la questione in quanto è esso stesso un gabello normativo che si scontra con la titolarità delle professioni.
Altro capitolo: ma stiamo parlando solo degli Infermieri del settore pubblico? Questo è per il sottoscritto un capitolo speciale, alla Silvestro ed all’IPASVI in generale non ho mai perdonato le risposte date ad un Convegno nel 2008 quando feci sommessamente notare che era tempo che si prendesse posizione per tutti coloro che non lavoravano nel pubblico impiego e che non era più accettabile il silenzio.
Come sia possibile realizzare quanto IPASVI preveda nel suo documento quando nel Privato nemmeno viene riconosciuta la posizione di Coordinamento come asserisce la stessa normativa 43/2006 ovvero che il comma 6 dell’art 7 non obbliga alla creazione di aree funzionali di coordinamento, infatti nel privato (soprattutto a livello di cooperative e appalti) il Coordinamento Infermieristico è una chimera, altro colpo alla dignità professionale.
Se non si riforma la professione e riformandola si riforma il lavoro dell’Infermiere all’’interno delle UO garantendogli la possibilità di espletare la proprie funzioni professionali come previsto dal legge 42 e della legge 251, il comma 566 continua ad essere una norma ad hoc per il risparmio.
Da questo punto di vista gli infermieri italiani hanno già dato e tanto dal 2009 ad oggi vedendo bloccati i loro stipendi e vedendo azzerate le possibilità di impiego ad un anno dalla Laurea come gli Istituti di Statistica dimostrano.
Non occorre gettare altro fumo negli occhi a chi sta pagando a prezzo pieno scelte irresponsabili come l’art. 49 del Codice Deontologico e nessun coraggio riformatore come le dichiarazioni del Dr Gennaro Rocco del 2006.
Anche su questo punto sarebbe interessante chiedere alla Senatrice Silvestro come si possa continuamente asserire che gli Infermieri devono avanzare nelle competenze quando sono tutti i giorni sottoposti a demansionamento?
Esiste una causa – effetto tra Codice Deontologico – Demansionamento – Comma 566. Questa causa effetto la si può rinvenire nella evoluzione del primo quando siamo passati da una difesa della dignità professionale ad una più comoda accondiscendenza con le nuove prospettive economiche del nostro sistema. Non è un caso che le riforme post 1999 e post 2009 hanno visto una degna applicazione di quel famoso articolo che andava riformato visto che quello del 1999 era subdolamente aggirabile, quante poltrone ha portato in termini di dirigenza quell’accordo? Nessuno si offenda per questa domanda cinica.
Io non so se faccio parte di una voce di minoranza, certo è che non mi affascina il comma 566 e non intendo retrocedere su questo punto.
Non è il medico a farmi paura ma questa gestione allegra della professione che mette al centro l’autoreferenzialità a dispetto di una vera crescita professionale.
Quanto costerebbe la Sanità se venissero applicate nella realtà le normative già vigenti? Forse 15 anni fa avrebbe avuto un costo ma oggi saremo già qui a riscuotere i crediti.
Piero Caramello
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