In occasione della Giornata internazionale dell’infermiere presentata anche la proposta di istituire una cattedra di Umanità all’Università degli Studi. Nel chiostro del dipartimento di Economia, stand per lo screening gratuito cardiovalscolare e incontrare le associazioni cittadine
BRESCIA – Parola d’ordine: umanizzare le cure. Per il Collegio Ipasvi di Brescia è un obiettivo concreto da raggiungere nei luoghi di cura (ospedali e residenza e sanitarie in primis) incatenati da una standardizzazione del percorso diagnostico. Il risultato, emerso nel corso del convegno con il quale è stata celebrata la Giornata internazionale dell’infermiere, è che il cittadino rischia di essere relegato in secondo piano.
Umanesimo, associazione e prevenzione, come ha spiegato Roberto Ferrari, segretario del Collegio Ipasvi di Brescia, sono le tre parole chiave scelte per un appuntamento (ospitato nel dipartimento di Economia dell’Università degli Studi) a metà strada tra riflessione su quello che deve diventare il professionista sanitario (qual è l’infermiere) nel progetto di umanizzazione delle cure e la festa aperta a tutti i cittadini che hanno potuto toccare con mano (come già accaduto lo scorso anno) la competenza degli infermieri bresciani.
In migliaia si sono sottoposti allo screening cardiovascolare gratuito (effettuato dagli infermieri) e hanno affollato l’infopoint sulle vaccinazioni. Esempio plastico del rapporto tra operatori della sanità e cittadini/pazienti fatto di umanità e ascolto. Umanizzazione delle cure che, tutti i relatori del convegno, rilanciano come obiettivo da conquistare in sanità.
Le esperienze di human caring non mancano, così come ci cono i racconti di chi, come il professor Francesco Sartori, ha vissuto una sorta di percorso inverso: lui medico che diventa paziente e si affida alle mani di un esperto nel suo percorso di cura.
Umanità è quella raccontata dalla dottoressa Elisabetta Conti, dell’unità operativa di Oncologia degli Spedali Civili di Brescia: grazie ad un progetto psicologico, si aiutano le donne che fronteggiano gli effetti secondi della chemioterapia, a vivere il cambiamento con laboratori di acconciatura e make up. Così come esempio concreto di umanizzazione delle cure è quello portato all’attenzione della platea, da Roberto Ricci, infermiere della Fondazione Poliambulanza, con il progetto della “Rianimazione aperta”, grazie al quale i parenti dei pazienti in terapia intensiva, vengono coinvolti direttamente nel processo di cura.
L’umanizzazione delle cure, però, ha un costo che il dottor Raffaele Spiazzi, direttore sanitario dell’Ospedale dei Bambini di Brescia, vorrebbe non fosse una asettica voce nei bilanci delle aziende sanitarie: “Per far quadrare i conti – spiega nel suo intervento – le aziende rinunciano a tutto quello che è il supporto assistenziale”.
Cure più umane e non solo affidate alla tecnologia, sono quelle che gli infermieri dovrebbero portare nel loro lavoro in corsia, perché è un tratto distintivo che, ammonisce la presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi, Barbara Mangicavalli, “va recuperato perché ci siamo orientati sulla parte tecnologica”.
E l’umanità, nel lavoro in sanità, potrebbe essere materia di studio. Anzi ci sono casi, come quello dell’Università di Milano, dove l’umanità è già nei corsi di laurea in infermieristica. Esperienza che l’Ipasvi di Brescia vorrebbe replicare nell’Università della propria città, lanciando una proposta che diventa scommessa da parte del magnifico rettore, Maurizio Tia: “Non credo che una cattedra di umanità basti per recuperare un aspetto culturale, ma sono disponibile ad attivarla ad una condizione: che il Miur allenti i vincoli di legge consentendo ad un Ateneo che abbia i bilanci a posto di poter investire in risorse umane”. La sfida è stata lanciata:
Salvatore Petrarolo
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