I primi mesi del 2020 si sono caratterizzati per l’individuazione gestione,trattamento e report finale CoViD-19. Nel trattamento della sindrome covid-correlata, le strategie terapeutiche e le ipotesi di trattamento sono state numerose e talvolta non convergenti tra loro
Il virus SARS-CoV-2 è utilizza specifici recettori per infettare l’essere umano, recettori espressi fisiologicamente sulle cellule dell’ospite e che permettono l’accesso e la replicazione dei virioni. È un virus a RNA.
Tra i tanti farmaci in grado di dare una risposta clinica accettabile e competitiva alla malattia si ricordano:
- Clorochina e idrossiclorochina: farmaci impiegati per malaria e LES, hanno effetto immunomodulatore e bloccano l’ingresso del virus nella cellula per glicosilazione dei recettori della cellula ospite, processi proteolitici, acidificazione degli endosomi. Tuttavia questi farmaci non sono efficaci su molti pazienti e causano vari effetti collaterali tanto da indurre intolleranza.
- Lopinavir/Ritonavir e altri antiretrovirali: farmaci approvati dall’FDA in combinazione per il trattamento l’HIV, pare che in vitro inibiscano la proteasi chymotrypsin-like virale. Si è vista una riduzione della mortalità e del tasso d’intubazione ma devono essere somministrati durante la fase di picco di replicazione virale (primi 7-10 gg). È importante la valutazione di altri farmaci assunti in associazione con questi antivirali per possibili interazioni. Lopinavir/ritonavir hanno effetti collaterali gastrointestinali come nausea, diarrea ed epatotossicità
- Ribavirina: richiede elevate concentrazioni per inibire la replicazione virale ed è somministrata in terapia combinata per esempio con interferone. È stata già utilizzata per l’infezione da virus respiratorio sinciziale. Può causare mielotossicità, è teratogeno e controindicato in gravidanza
- Altri antivirali: oseltamir, utilizzato per il virus influenzale non ha attività, è stato inizialmente impiegato come terapia empirica in Cina ma senza risultati. Umifenovir (Arbidol) inibisce l’interazione proteina S/ACE2 e quindi la fusione dell’envelope virale con la membrana della cellula ospite
- Miscellanea: INFα e β in terapia combinata con antivirali o immunomodulatori come BARICITINIB, IMATINIB, DASATINIB, ciclosporina.
- Remdesivir, molecola antivirale che in vitro ha mostrato una potente attività verso il SARS-CoV-2.
- Oseltamir e corticosteroidi(il razionale per l’utilizzo è la capacità farmacologica di ridurre la risposta infiammatoria nel polmone che potrebbe portare alla sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS); non sembrano avere efficacia terapeutica e pare inoltre che non sia necessario sospendere le terapie con ACE inibitori o sartani. Infatti, non c’è nessuna evidenza di maggiore rischio di infezione e non è stata accertata maggiore severità di malattia.
- Nitazoxanide: antielmintico ed antivirale.
- Comostat Mesilato (Foipan): utilizzato in Giappone per trattare le pancreatiti, inibisce TMPRSS2, la serin proteasi.
I suddetti non sono ad oggi, correlati da dati numericamente sufficienti da poterne conferire certezza nella lotta al Covid-19.
Ci sono terapie sperimentali che, al vaglio degli specialisti, dovrebbero garantire tolleranza farmacologica e piena scurezza per il paziente.
- Remdesivir: fu scoperto nella ricerca di molecole attive contro i virus a RNA come Coronavirus e Flavivirus. È somministrato per endovenosa e sembra essere ben tollerato. Attualmente non c’è evidenza di tossicità epatica o renale. È impiegato per il trattamento dell’Ebola e ad oggi viene utilizzato solo in alcune categorie come terapia compassionevole.
- Favipavir: inibisce rna-polimerasi deputata alla replicazione virale. È stato impiegato per l’attività contro i virus a RNA come quelli influenzale e l’Ebola-virus.
- Anti-citochine e agenti immunomodulatori: il loro utilizzo è giustificato dal danno causato dall’amplificazione della risposta immune definita “tempesta citochinica”. In questo senso il Tocilizumab è un anticorpo diretto contro il recettore dell’interleuchina 6 e sembrerebbe migliorare la funzionalità respiratoria. Sarilumab è un anticorpo diretto contro l’interleuchina-6 e potrebbe potenzialmente produrre i medesimi effetti.
- Terapia immunoglobulinica: utilizzare il plasma di soggetti guariti o le immunoglobuline neutralizzanti, potrebbe aiutare a debellare il virus. Attualmente le ricerche sono in corso ed i dati non definitivi.
- terapia anticoagulante.
Terapia anticoagulante a tutti i pazienti COVID?
Rispondono il dottor Corrado Lodigiani, Responsabile del Centro Trombosi e Malattie Emorragiche, e il professor Maurizio Cecconi, Direttore del Dipartimento Anestesia e Terapie intensive del Gruppo Humanitas.
La correlazione tra malattie di tipo infiammatorie, come per esempio le polmoniti e la trombosi in generale (soprattutto venosa), è nota da decenni; si pensi che un paziente con una qualunque polmonite batterica o virale, quindi non necessariamente da SARS-CoV-2, viene abitualmente sottoposto a profilassi tromboembolica con eparina a basso peso molecolare, in quanto esiste una forte raccomandazione in tutte le linee guida internazionali, allo scopo di ridurre o eliminare il rischio di insorgenza di tromboembolismo venoso, ovvero trombosi venosa profonda.
Si tratta della formazione di trombi nel sangue delle nostre vene che in alcuni casi possono provocare l’embolia polmonare, un evento potenzialmente fatale. La profilassi tromboembolica si effettua in genere mediante l’utilizzo di eparina a basso peso molecolare e tale raccomandazione è il frutto di uno studio scientifico pubblicato nel lontano 1999.
“Occorre anche fare chiarezza sulla indicazione, diffusa anche da alcuni media, che tutti i pazienti con COVID-19 debbano fare una profilassi con eparina a basso peso molecolare a domicilio prima del ricovero o che debbano essere trattati con dosi sempre terapeutiche durante il ricovero. Anche in questo caso non ci sono evidenze scientifiche che confermino l’efficacia e la sicurezza di questa scelta. Come già detto l’unica indicazione indiscutibile è quella di somministrare eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche nei pazienti ricoverati che ovviamente non presentino controindicazioni, mentre sul suo utilizzo a dosi terapeutiche in pazienti che non abbiano un certo, e quindi documentato, evento tromboembolico non abbiamo a oggi alcun dato e dobbiamo attendere l’esito di alcuni studi randomizzati che anche in Italia sono in partenza in questi giorni. Dobbiamo infatti ricordare che la terapia antitrombotica per pazienti con trombosi venosa profonda o embolia polmonare deve essere proseguita per almeno 6 mesi ed è quindi inconcepibile iniziare una terapia tanto lunga e potenzialmente pericolosa in pazienti di cui non sappiamo con certezza se tale trattamento possa essere di benefico. Dato che mi è stato chiesto da molti pazienti voglio precisare che l’eparina non protegge in alcun modo dal rischio di contrarre il virus”, commenta il dottor Lodigiani.
“Non è sufficiente – aggiunge il prof. Cecconi – un’idea con un razionale o dimostrare un’associazione tra due elementi per avviare un trattamento. Occorrono prove di efficacia e sicurezza e dunque studi clinici, a maggior ragione quando si parla di COVID-19, una malattia fino a pochi mesi fa sconosciuta”.
“In conclusione, anche alla luce dei risultati dello studio da noi condotto in Humanitas a oggi possiamo affermare che il tromboembolismo venoso è una possibile e prevenibile complicanza della polmonite da virus SARS-CoV-2 e che l’eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche è un noto ed efficace mezzo di profilassi, che pertanto dovrebbe essere utilizzata sempre ma solo nei pazienti ospedalizzati. Occorrono ulteriori studi per conoscere meglio la malattia causata da SARS-CoV-2 e soprattutto come curarla, senza dimenticare che rappresenta una novità per la medicina globale e che non esistono scorciatoie per ottenere risultati scientificamente provati” hanno concluso il prof. Cecconi e il dottor Lodigiani.
CALABRESE MICHELE
Bibliografia
- www.x-mol.com
- www.humanitas.it
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