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Terapie intensive aperte e comunicazione con pazienti e famiglie: le lezioni apprese nel periodo pandemico

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Coronavirus, studio australiano rivela: "Terapia intensiva 16 volte più probabile per i non vaccinati"
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Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa a cura della Siaarti (Società italiana di anestesia, rianimazione e terapia intensiva).

La terapia intensiva è un ambito delicato sia dal punto di vista della gestione dell’assistenza che dal punto di vista della comunicazione. Dialogare tra professionisti, cercare di dialogare con caregivers e famiglie sono temi (già presenti nell’esperienza e nella riflessione di Siaarti) emersi in modo pressante dal periodo pandemico. Anche in alcune sessioni del Congresso ICARE 2022 è emersa la domanda: a che punto è il complesso argomento della “comunicazione in terapia intensiva”, che coinvolge operatori, organizzazioni e famiglie?

Quali sono oggi (dopo la pandemia) le “lezioni che abbiamo imparato” in questo ambito? Risponde Gianpaola Monti, responsabile del Comitato Comunicazione Siaarti: “La prima considerazione è che noi anestesisti-rianimatori siamo stati il fronte avanzato delle cure nel lungo e drammatico periodo pandemico. Nessun’altra professione ha avuto il tipo di contatto, spesso drammatico, con pazienti e famiglie che abbiamo avuto noi. Una pandemia che se da una parte sembrava richiamare tutti i nostri sforzi in una sola direzione, quella dell’assistenza clinica, dall’altro lato ha messo in primo piano il rapporto medico-paziente, ed il rapporto medico-famiglia come caposaldo del percorso di cura. Forse grazie a questo uragano ci siamo immedesimati meglio nei nostri pazienti ‘spaventati’ e senza la vicinanza dei loro cari e nei loro familiari impossibilitati, nelle prime fasi della pandemia, all’accesso in ospedale e a conoscere chi avesse in cura i loro cari se non attraverso una voce telefonica spesso frettolosa”.

Prosegue Monti: “L’uso di strumenti digitali (in primis la video-chiamata) ha permesso di implementare in modo concreto e inedito il concetto di terapia intensiva aperta nei momenti più critici, visto che con le video-chiamate ci siamo presentati con i nostri infermieri/fisioterapisti alle famiglie con i nostri volti a volte stanchi, ma pieni di speranza: abbiamo illustrato in modalità che prima non avremmo immaginato il luogo di cura e ricovero. Abbiamo provato a ricreare un legame di comunicazione fra i pazienti e i loro cari il più possibile vicino a quello che avrebbe dovuto essere. Non è stato facile per i carichi di lavoro ma abbiamo così mantenuto le Terapie Intensive aperte anche se solo per poche ore con ospedali spesso semi chiusi”.

E’ utile sottolineare che l’apertura delle terapie intensive non è una “soluzione creativa improvvisata”, bensì un approccio specifico promosso da Siaarti che ha anche dato vita già dal 2017 al Progetto Intensiva 2.0, percorso che coinvolge più società scientifiche e che “mira a verificare su larga scala i risultati ottenuti da uno studio preliminare che ha dimostrato come interventi specifici sulla comunicazione possono contribuire a migliorare la comprensione e il benessere psicologico dei familiari dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva”, come sottolinea Giovanni Mistraletti, coordinatore Sezione Bioetica della Siaarti e tra i promotori di Intensiva 2.0., che aggiunge: “L’appropriatezza scientifica nel dover ‘aprire’ i reparti di Terapia Intensiva alle visite dei familiari non è oggi più in discussione. Ben diverso è il cammino che ci aspetta dal punto di organizzativo per passare dalle parole ai fatti. Gli ultimi anni di compresenza con il coronavirus ci hanno insegnato quanto è importante e irrinunciabile – anche per noi medici – il contatto umano, la presenza fisica dei familiari nelle cure offerte ai pazienti critici. D’altro canto, le necessarie limitazioni alla circolazione delle persone negli ospedali hanno fatto regredire moltissimo l’abitudine alla vicinanza, tanto da far perdere diffusamente questa consapevolezza nella società”.

Il tema nuovo che è emerso dal Congresso ICARE 2022 riguarda pertanto l’efficacia delle strategie per implementare le buone pratiche cliniche all’interno dell’organizzazione e della gestione. “Strategie – puntualizza il rappresentante Siaarti – che partono dalla definizione di percorsi di qualità, ma che necessitano anche e soprattutto della motivazione dei singoli operatori sanitari per essere messe in pratica nella realtà quotidiana, quando le altre priorità lavorative appaiono soverchianti”.

Molte sono le domande emerse durante il Congresso. I famigliari possono essere una risorsa, per esempio nella fisioterapia o nella terapia occupazionale delle persone ricoverate? Come si può procedere – anche in Italia – a introdurre le attenzioni di engagement and empowerment dei familgiari, di cui si parla nelle Linee guida internazionali dal 2018? Risponde Giovanni Mistraletti: “Il tema dell’umanizzazione delle cure comprende le rispose a tutti questi quesiti ed è di fondamentale importanza. Umanizzazione delle cure oggi significa anche realizzare terapie intensive ‘veramente aperte’: è un’occasione di civiltà e di miglioramento della comprensione delle motivazioni profonde delle nostre scelte cliniche quotidiane”.

Ma le “organizzazioni sanitarie” ce la faranno a sviluppare questi nuovi paradigmi relazionali? La risposta conclusiva è di Giampaola Monti: “Questo forse è l’ostacolo più importante, perchè creare nuove modalità di comunicazione significa prima di tutto creare innovative basi di cultura organizzativa affinché tutto questo possa avvenire. Noi siamo impegnati affinché questo sia implementato in tutto il Paese in tempi brevi”.

Redazione Nurse Times

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