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Superamento del periodo di comporto. Cassazione: si conta la durata dei singoli mesi in giorni effettivi

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“Revirement” della Cassazione sulla pronta disponibilità, superarne 6 è inadempimento contrattuale
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La Corte di Appello di Milano respingeva il reclamo di un dipendente, avverso la sentenza della corte di prime cure che si era pronunciata in merito al licenziamento per aver superato il periodo di comporto corrispondente a 18 mesi in tre anni

La Corte di Appello aveva osservato come il calcolo del periodo di comporto fosse pari a 18 mesi; per convertire tale periodo aveva ritenuto che non potessi farsi applicazione della regola legale del calendario comune, come prospettata dal lavoratore che così aveva calcolato il suo periodo di comporto; (365 giorni : 12 mesi x 18 mesi = 547, 56 giorni) ma piuttosto dovesse farsi riferimento al mese come unità convenzionalmente riconosciuta pari a trenta giorni e quindi; (30 giorni x 18 mesi = 540 giorni).

La volontà delle parti collettive secondo la Corte territoriale, come desumibile da due riferimenti contenuti nell’art. 50 del CCNL metalmeccanici, era stata quella di derogare alla regola generale del calendario comune sicché il licenziamento era da considerarsi legittimo poiché il lavoratore era stato assente per ben 545 giorni, non essendo emersi elementi che dimostrassero l’origine professionale della malattia.

Il lavoratore licenziato propone ricorso in cassazione, al quale resiste l’azienda datrice e di lavoro.

Il lavoratore eccepisce la violazione dell’art. 360 c.p.c., dell’art. 5 della legge n. 604/66 e dell’art. 2697 c.p.c., nonché per error in procedendo per motivazione contraddittoria e apparente.

La censura dell’appellante si riferisce alla statuizione della Corte di Appello di individuazione del CCNL applicabile al caso di specie, infatti per la Corte territoriale il CCNL fonte di disciplina del rapporto di lavoro dovesse individuarsi in quello dei metalmeccanici CONFAPI e che tale giudizio era stato preso in considerazione del fatto che la decisione del tribunale – pronunciatosi in ragione delle visure delle buste paga, nel senso dell’applicazione del CCNL CONFAPI –  non fosse stato oggetto di censura come invece si evinceva dal contenuto dell’atto di reclamo.

La Suprema Corte osserva che sulla questione dell’applicazione del CCNL CONFAPI è già intervenuto il giudicato interno di merito, rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di legittimità, per inammissibilità.

L’appellante ha infatti censurato la decisione di primo grado assumendo la violazione dell’art. 2697 c.c. senza considerare che sulla decisione del tribunale non avevano influito le regole di riparto degli oneri della prova, per avere il giudice positivamente accertato l’applicabilità del CCNL metalmeccanici CONFAPI, per tacita, concorde volontà delle parti, come desumibile dalle risultanze delle buste paga.

Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che implichi violazione di legge costituzionalmente rilevante come error in procedendo e che comporti nullità della sentenza e tale violazione ricorre nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, “di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” delle motivazioni.

Di motivazione apparente o di motivazione perplessa e incomprensibile può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, poiché consistenti in argomentazioni inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formulazione del convincimento, di modo ché non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. SS.UU. nr. 2232 del 2016).

I restanti motivi sono sostanzialmente sovrapponibili e si sostanziano nella questione del computo del periodo di comporto espresso in mesi.

La parte ricorrente infatti critica la ricostruzione operata dalla Corte Di Appello laddove ha ritenuto che per procedere alla conversione del mese in giorni, debba farsi riferimento, convenzionalmente, a 30 giorni per mese secondo la regola (ex numeratione dierum) ed ha, invece, escluso l’applicazione della regola generale per cui i termini espressi in mesi, debbano calcolarsi secondo il calendario comune (ex nominatione derium).

Dall’accertamento della Corte di Appello, per altro non censurato, il ricorrente è stato assente 545 giorni.

Il contratto collettivo CONFAPI, con riferimento alla specifica situazione lavorativa, stabilisce un periodo di comporto di 18 mesi.

Il criterio di conversione è dunque decisivo:

  • se si utilizza la regola ex numeratione derium si ha il superamento del periodo di comporto (18 mesi x 30 giorni = 540 giorni;
  • se viceversa, il periodo di 18 mesi viene calcolato secondo la regola ex nominatione derium il comporto non è maturato (365 giorni: 12 = 30,42 giorni x 18 mesi= 547, 5 giorni.

La Suprema Corte ha ripetutamente affermato che il periodo di comporto determinato in mesi deve essere computato, salvo diversa volontà delle parti sociali, secondo il calendario comune in base all’effettiva consistenza di essi, ossia del numero esatto dei giorni del mese, per il principio desumibile dall’art. 2693, comma 4 c.c. e dell’art. 155, comma 2 c.c. (Cass. n. 13658/15; Cass n. 6554/04; Cass. n. 8358/99; Cass. n. 7925/99; Cass. 12057/95).

Secondo la Corte il legislatore ha mostrato di preferire una regola che più si avvicina alla durata effettiva del calendario dei mesi, ripudiando un criterio che si discosta notevolmente dalla durata effettiva di un anno, posto che, con il diverso computo (ossia considerare ogni mese di 30 gg.) questo assommerebbe a 360 giorni e non a 365 gg. come è secondo calendario per il computo dell’anno solare effettivo (cfr. Cass. citata).

Da questo principio generale deve essere valutato quindi il periodo di comporto ai fini del licenziamento del lavoratore in malattia, la regola secondo cui, sia il termine interno corrispondente alla somma delle assenze causate dai singoli episodi morbosi, che quello esterno, costituito dall’arco di tempo entro il quale i singoli episodi devono rientrare per la conservazione del posto di lavoro, debbono essere fissati secondo la effettiva consistenza che hanno i mesi in base al calendario comune e non assumendo una durata convenzionale fissa costituita da un predeterminato n. di giorni (nel caso di specie 30).

Il tutto anche per scongiurare l’irrazionalità di un differente trattamento per situazioni aventi identica natura e cioè, il comporto per sommatoria e quello per malattia unica, il cui decorso dei mesi è sempre calcolato secondo calendario comune (art. 2963, commi 1 e 4, c.c.) e quindi proprio al fine di evitare quella disparità di trattamento che invece la Corte di Appello imputerebbe al criterio ex nominatione derium.

Nel caso di specie poi, la Corte di Appello ha ritenuto di desumere dal CCNL CONFAPI, la volontà delle parti di derogare al criterio generale del calendario comune, tale volontà, secondo i giudici di merito sarebbe ricavabile dal punto 2 dell’art. 50 del CCNL CONFAPI, dove le parti, dopo aver specificato i diversi periodi di comporto e preso in considerazione l’arco temporale di riferimento degli eventi morbosi, avrebbe stabilito:

“la malattia insorta durante il periodo di ferie consecutive di cui al comma 6 dell’art. 32, ne sospende la fruizione nelle seguenti ipotesi; a) malattia che comporta il ricovero ospedaliero per tutta la durata dello stesso; b) malattia la cui prognosi sia superiore a 7 giorni di calendario”.

La Cassazione di contro, giudica che nessun elemento desumibile dalla disposizione in commento consenta di avvalorare l’interpretazione data dalla Corte territoriale e di derogare al criterio generale del calendario comune, conformemente alla giurisprudenza di legittimità che fornisce la regola anche al caso concreto.

Dichiara quindi la sentenza impugnata come incorsa in errore di diritto, rinviando la causa alla Corte di Appello che in diversa composizione procederà ad un nuovo esame della fattispecie.

Accogliendo quindi due dei tre motivi di appello, la Cassazione accoglie il gravamene dell’appellante e stabilisce un criterio identico per tutti riguardo alla valutazione del periodo di comporto in caso di eventi morbosi succedutisi nel tempo, il computo del calcolo deve quindi essere fatto in base ai giorni presenti nel mese e non come spesso accadeva stabilendo a priori che ogni mese avesse solo 30 gg..

Di talché nel caso di specie per soli 2,5 giorni l’appellante ha vinto il ricorso  e dovrà quindi essere reintegrata i servizio.

 

Dott. Carlo Pisaniello

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