Proponiamo un contributo del nostro collaboratore Raffaele Varvara.
In questi giorni si discute la proposta del Governo di rivedere il tetto di spesa per il personale, da anni fissato alla spesa del 2004, ribassata del 1,4%. Questo parametro, a una prima lettura, può sembrare un freddo numero. In realtà rappresenta la causa profonda delle carenze di organico, che ci costringono tuttora a turni massacranti per coprire buchi. Il tetto di spesa (si scrive così, ma si legge definanziamento progressivo del Ssn e decapitalizzazione del lavoro in sanità) era stato introdotto dai Governi precedenti, in ossequio alle prescrizioni di austerità imposte dall’Ue sul taglio della spesa pubblica.
A commentare la proposta concordata tra ministero della Salute e Regioni, la presidente Fnopi, Barbara Mangiacavalli, che si dice soddisfatta a metà: “Rivedere il tetto di spesa significa intervenire sulla spesa per il personale, che però è una parte del problema. L’altra è il blocco del turnover ,che impedisce concorsi per far fronte alle carenze e anche per la sostituzione di buona parte dei professionisti in quiescenza. Situazione che si aggrava nelle Regioni in piano di rientro”.
Ma come si supera questa norma, se i fondi stanziati per la sanità nella Legge di bilancio 2019 sono sufficienti a malapena a compensare le misure di inflazione e consentono al massimo di tenere in piedi la baracca così com’è? Vuoi vedere che si tratta dell’ennesima manovra bluff o a costo zero? Proprio così, ormai la politica nostrana, deprivata della facoltà di operare investimenti pubblici in autonomia, secondo le esigenze della popolazione, ci abitua a questo tipo di illusioni. Del resto non può essere altrimenti, se si continua a operare nella gabbia del modello capitalistico, dove tutto è ridotto a merce, compresa la salute.
Lo ribadisce, in altri termini, anche la presidente Fnopi: “È una norma che, seppur necessaria, senza lo sblocco totale e ragionato (anche per le Regioni in piano di rientro) del turnover funzionale all’attuazione di modelli organizzativi appropriati, efficienti ed efficaci, non può, almeno per ora, risolvere da un lato i problemi di carenza di organico esistenti, e dall’altro dare garanzie a tutte le tipologie di professionisti, tra quelli vincitori di concorso e i precari (soprattutto a tempo determinato, ma anche gli interinali), di trovare soluzione immediata al problema di inserimento nel Servizio sanitario pubblico. La norma, infatti, stabilisce come tetto quello della spesa 2018 del personale, già ridotto per effetto della legge che ha fissato il precedente riferimento alla spesa 2004, meno l’1,4%, e con Regioni anche molto al di sotto di questo livello (soprattutto se in piano di rientro), mentre altre devono ancora raggiungerlo.”
La norma, dunque, è un bluff per due motivi: da un lato rompe il muro della spesa del 2004 e stabilisce come tetto quello del 2018 (a sua volta già ridotto per effetto del precedente tetto), per cui da un tetto si passa a un altro tetto; questa norma da sola non risolve i problemi relativi agli organici se non è sostenuta da alcuna misura per il superamento della carenza delle professioni.
Il disegno è chiaro: mentre i nostri politici giocano con gli ultimi spiccioli rimasti, fingendo di spostarli di qua o di là, il sistema capitalistico capeggiato dagli organi dell’Ue avanza inesorabilmente e silenziosamente e, approfittando del nostro tacito consenso e ignoranza, ci sta portando via la sanità pubblica, spolpandola dall’interno, per consegnarla nelle mani dei privati e consentire loro ingenti profitti.
Colleghi, al Paese servono almeno 50mila infermieri! Un investimento pubblico così imponente può venire solo da una forza politica che riconosca l’urgenza di riappropriarci di quote di “sovranità sanitaria” per rifinanziare il Fondo sanitario nazionale, senza vincoli di bilancio, riconoscendo la natura incrementale della spesa sanitaria. Tranquilli, ci libereremo!
Raffaele Varvara
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