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Riconoscere le vittime di tratta: l’approccio dell’infermiere

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Riconoscere le vittime di tratta: l’approccio dell’infermiere
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La tratta di esseri umani è un crimine riconosciuto a livello internazionale: in linea di massima è finalizzato alla realizzazione di un profitto tramite lo sfruttamento delle vittime (in particolar modo sessuale o lavorativo). Non sempre gli infermieri e le altre figure sanitarie sono in grado di riconoscere le vittime di tratta: la materia merita di essere approfondita con l’obiettivo di affinare gli indicatori a disposizione del personale infermieristico per individuarle e identificarne i bisogni.

Le vittime di tratta sono per lo più femmine adulte, anche se i maschi potrebbero rappresentare un terzo del totale secondo alcune stime.

I minori potrebbero rappresentare quasi il 30% delle vittime di tratta (uno su tre circa di sesso maschile) secondo le ricerche più recenti. I trafficanti adescano le vittime con varie modalità: per lo più poggiano su manipolazione e circonvenzione; sempre più spesso l’adescamento avviene attraverso web e social. Tuttavia, ancora oggi è la comunità di appartenenza della vittima a rappresentare il giacimento principale dei criminali: in moltissimi casi a contrattare la compravendita è la stessa famiglia della vittima (non di rado il trafficante è un membro di quest’ultima). Già in questa fase le vittime vengono sottoposte a pesanti minacce e violenze fisiche.

Nonostante ciò resta difficile per gli infermieri e le altre figure sanitarie individuare le vittime di tratta: eppure, stando ad alcuni studi, oltre l’80% delle vittime entra in contatto con il Sistema Sanitario durante il periodo di sfruttamento. In base alla letteratura scientifica attualmente disponibile, uno dei motivi principali del mancato riconoscimento è che la stessa vittima non sempre si considera tale per complesse motivazioni psico-culturali. Da non sottovalutare poi il ruolo delle barriere emozionali (vergogna, paura, spaesamento). Compito dell’infermiere sarà allora quello di approfondire il contesto in cui si muove il fenomeno, quindi, ancor più che in altre circostanze, instaurare un rapporto di fiducia che favorisca l’apertura al dialogo nel caso di sospetta vittima di tratta.

Ecco allora che Il confronto con la persona di cui si sospetta lo sfruttamento potrà fare riferimento ad alcuni indicatori fondamentali.

Innanzitutto, alcuni segni fisici: mutilazioni, malnutrizione, problemi dentali ed eventualmente infezioni poco comuni (es. tubercolosi) formano un quadro tipico, per quanto superficiale, della vittima di tratta. A completare il quadro traumi più o meno evidenti disallineati rispetto alla causa riferita – utili a tal proposito possono rivelarsi le comuni metodiche di imaging per valutare la presenza di traumi precedenti. Quindi, si possono aggiungere: rifiuto del contatto (anche visivo), vuoti di memoria, difficoltà a fornire i propri dati anagrafici oltre che anamnestici (in letteratura si accomuna spesso la vittima di tratta con il soggetto affetto da PTSD).

Infine, da sottolineare che la vittima di tratta è spesso accompagnata da sedicenti parenti/amici che cercano di ostacolare un’analisi approfondita della situazione da parte del personale sanitario.

Fondamentale per l’infermiere sarà allora creare un ambiente adeguato al dialogo con la vittima sospetta, innanzitutto, tramite l’allontanamento di figure terze (adducendo motivazioni non propriamente veritiere – es. “sono le regole della struttura”, “si lasci offrire un bicchiere d’acqua” – per evitare reazioni scomposte e imprevedibili). A questo punto l’uso di una lingua compresa a entrambi sarà di vitale importanza: in taluni casi non potrà mancare il sostegno di un traduttore e/o di un mediatore culturale. Assicurare la sicurezza, la compostezza, l’igiene, i bisogni primari (acqua, cibo, calore) alla sospetta vittima rappresenta il punto di partenza ideale del percorso volto a instaurare un rapporto di fiducia. Durante il dialogo potrebbe rivelarsi utile, in primis per evitare o comunque ridurre atteggiamenti poco collaborativi, riferirsi lateralmente al caso. In pratica, come se si descrivesse la vicenda di un’altra persona: rendendola – per quanto possibile, vista la scarsità di informazioni disponibili – analoga a quella della vittima sospetta si può favorire l’identificazione e quindi l’auto-riconoscimento.

L’atteggiamento dell’infermiere dovrà poi essere incentrato sull’ascolto attivo: spronare al racconto della propria situazione con pazienza, senza giudicare azioni, comportamenti o intendimenti (spesso la vittima giustifica il comportamento del trafficante e dello sfruttatore, tra l’altro, auto-colpevolizzandosi).

La rassicurazione rispetto al vissuto aiuterà la vittima a superare l’ansia della narrazione soprattutto nel caso di passaggi particolarmente delicati (es. riferimenti allo sfruttamento sessuale).

L’infermiere potrà dunque provare a ridurre progressivamente l’ansia del contatto fisico così che possa essere condotto uno screening più approfondito (in generale, si può dire che il procedimento ha maggiore successo se l’operatore è dello stesso sesso del paziente).

Se il racconto esaminato e i segni psico-fisici appurati indirizzano solidamente verso il riconoscimento di una vittima di tratta, gli infermieri e le altre figure sanitarie possono avvertire immediatamente i Servizi Sociali nel caso di un minore mentre, nel caso di un adulto, la notifica agli organi competenti può essere inoltrata solo previo consenso dello stesso.

Questa operazione è particolarmente complessa (in pericolo la sicurezza della vittima, ha conseguenze anche a lungo termine) e spesso necessita dell’intervento di altre figure professionali o di infermieri specificatamente formati ad un approccio multidisciplinare (es. Case manager). 

Guglielmo Sano

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