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Richiesta di trasferimento, è onere datoriale provare la sussistenza di ragioni che impediscono di accoglierla

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Aadi: Il mero svolgimento di attività di coordinamento non può automaticamente dare diritto alle relative indennità
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Commento del direttivo Aadi all’ordinanza del Tribunale di Roma – sez. lavoro del 4 settembre 2019.

La ricorrente è trasferita dalla precedente datrice di lavoro presso la sede di Torino Caselle, dopo aver chiesto un periodo di congedo straordinario per poter assistere la madre riconosciuta portatrice di handicap in situazione di gravità.

Transitata poi alle dipendenze della società Leonardo SpA, alla scadenza del suddetto periodo di congedo, ha chiesto alla nuova datrice di lavoro di essere trasferita presso l’unità produttiva più̀ vicina alla residenza della madre sita all’interno del territorio di Roma Capitale.

La società datrice di lavoro ha respinto la suddetta richiesta, opponendo l’insussistenza di posti vacanti nel territorio di Roma Capitale o comunque la mancata intenzione di coprirli e la insindacabilità di tale scelta. Avverso tale disposizione fa ricorso al Tribunale di Roma la dipendente.

La risoluzione della controversia verte quindi sull’interpretazione dell’art. 33, comma 5, L. n. 104 del 1992, come modificato dalla L. n. 53 del 2000  e successivamente dall’articolo 24, comma 1, lettera b), della legge 4 novembre 2010, n. 183, secondo cui il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado (…) “ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può̀ essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.

L’interpretazione della citata norma ad avviso del Tribunale, non può prescindere dai ripetuti interventi della Corte costituzionale, con i quali è stato chiarito che la L. n. 104 del 1992 ha sicuramente un particolare valore essendo finalizzata a garantire diritti umani fondamentali, non essendo tuttavia l’istituto di cui al cit. articolo 33, comma 5, l’unico idoneo a tutelare la condizione di bisogno della “persona handicappata” non essendo la posizione giuridica di vantaggio prevista dalla disposizione in parola illimitata, dal momento che la pretesa del parente della persona handicappata a scegliere la sede di lavoro più̀ vicina è accompagnata dall’inciso “ove possibile” (C. Cost. n. 406 del 1992, n. 325 del 1996, n. 246 del 1997, n. 396 del 1997).

Nel recente intervento sulla norma poi è stato altresì precisato che la possibilità di applicazione del diritto soggettivo può essere legittimamente preclusa da principi e disposizioni che, per la tutela di rilevanti interessi collettivi, non consentano l’espletamento dell’attività lavorativa con determinate dislocazioni territoriali (C. Cost. n. 372 del 2002).

Le posizioni espresse dalla Corte Cost. hanno ispirato anche l’orientamento della Suprema Corte, che ha ribadito il principio secondo cui il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio non è assoluto e privo di condizioni, in quanto l’inciso “ove possibile” richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto, con il recesso del diritto stesso ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, in quanto in tali casi – specificatamente per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico – potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass. 829/2001, 12692/2002 e da ultimo, Cass. civ. Sez. Unite Sent., 27.03.2008, n. 7945).

Nel caso in esame, bisogna disattendersi l’orientamento giurisprudenziale, ormai minoritario, richiamato dalla parte resistente, secondo cui il beneficio di cui all’art. 33, comma 5, L. n. 104/1992, anche dopo le modifiche introdotte dagli artt. 19 e 20 della L. n. 53/2000, in favore del familiare che assista con continuità un parente handicappato, sarebbe concedibile unicamente in fase di prima scelta della sede lavorativa (all’atto cioè dell’assunzione e non anche, come nella specie, in sede di trasferimento), ritenendosi di aderire al più recente indirizzo che estende il beneficio in parola anche alle ipotesi di richiesta di trasferimento per sopravvenuta situazione di handicap (valga per tutte, Cass. 18.12.2013, n. 28320).

Sempre disattendendo la tesi difensive di parte resistente deve escludersi che l’assegnazione del lavoratore che presta assistenza al familiare in condizione di handicap grave alla sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, presupponga, oltre che la vacanza del posto, anche la sua disponibilità, ovvero, la volontà datoriale di coprire quel posto.

Tale condizione è infatti prevista dall’art. 42 bis D. Lgs. 151/2001, che disciplina l’assegnazione temporanea dei lavoratori dipendenti dalle amministrazioni pubbliche che abbiano figli minori fino a tre anni, “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”, ma tale possibilità è espressamente subordinata “alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributive”, nonché al “previo assenso dell’amministrazione di provenienza e di destinazione”.

Tali condizioni però non sono in alcun modo menzionate nel citato art. 33, comma 5, L. 104/1992, che, come detto, riconosce al lavoratore che presta assistenza a familiare in condizione di handicap grave il “diritto a scegliere … la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere”.

“L’inciso “ove possibile” non può essere quindi idoneo a far affievolire la posizione di diritto soggettivo pieno a mero interesse pretensivo, a fronte del quale sia riconoscibile un insindacabile margine di discrezionalità in capo al datore di lavoro”. Come è evidente dal tenore letterale della norma, in capo al lavoratore è riconosciuto quindi un diritto soggettivo alla scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e tale diritto non può essere limitato dalla mera volontà datoriale di non coprire un posto vacante presso la suddetta sede.

Anche volendosi riconoscere al datore di lavoro tale possibilità̀, essa deve essere comunque motivata da ragioni altrettanto meritevoli di tutela, rispetto a quelle poste a base del diritto preteso da lavoratore, stante comunque la necessita di operare in ogni caso un equo contemperamento di interessi contrastanti e dovendosi comunque evitare che il rifiuto datoriale si possa tradurre in un’arbitraria ed ingiustificata elusione delle altrui prerogative. I doveri di buona fede e correttezza in sede di adempimento degli obblighi derivanti dalla legge e dal contratto, sono in capo a tutti i contraenti nei limiti di un apprezzabile sacrificio, al fine di salvaguardare l’altrui utilità, Tali doveri impongono al datore di lavoro, in sede di valutazione della richiesta del proprio dipendente, che presta assistenza al familiare in condizione di handicap grave, di essere trasferito ad una sede più prossima al proprio domicilio, di effettuare una verifica puntuale di tutte le vacanze in organico e di opporre il proprio rifiuto solo ove questo determini un onere economico e/o organizzativo sproporzionato od eccessivo.

Il tutto però va però puntualmente allegato e provato da parte del datore di lavoro. A fronte dell’allegazione, da parte del lavoratore che chieda di essere assegnato a sede lavorativa più vicina al proprio domicilio, è infatti senz’altro “onere del datore di lavoro provare la sussistenza di ragioni di natura organizzativ , tecnica o produttiva, che impediscono di accogliere la richiesta … di trasferimento” (v. Cass. SSUU 27.3.2008 n.7945 e più di recente Cass. 11.10.2017 n. 23857).

Le ragioni ostative da provare sono a diretta e più agevole conoscenza del datore di lavoro secondo il consolidato principio della vicinanza della prova e del consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità in tema di trasferimento ex art. 2103 c.c., u.c., (secondo cui le ragioni tecniche, organizzative e produttive, poste a base del trasferimento da una unità produttiva ad altra del lavoratore, devono essere provate dal datore di lavoro cfr. ex plurimis: Cass. SS.UU. 27.3.2008 n. 7945 già cit.; Cass. 22.3.2005 n. 6117, Cass. 15.5.2004 n. 9290).

Ciò posto, la richiesta avanzata dalla ricorrente, di riconoscimento del diritto ex art. 33, comma 5, L. n. 104/92 ad essere assegnata ad una sede all’interno del territorio di Roma Capitale, appare quindi fondata, risultando innanzi tutto documentalmente provato che la madre della ricorrente è in condizioni di handicap grave, ai sensi dell’art. 3, co. 3, L. n.104/92, e che la ricorrente è con lei convivente, oltre che referente unico nella prestazione di assistenza.

La ricorrente poi ha puntualmente allegato che la parte resistente  “vanta numerose sedi in Roma, tutte riportate in modo analitico alla pagina 367 della visura camerale in atti e già indicate in ricorso: Piazza Monte Grappa n. 4, Via Carlo Poma n. 2, Via Tiburtina n. 1238, Via Saccomuro n. 24, Via Faustiniana n.15, Via Pastrengo n.20, Via Laurentina n.760, in Via Salaria n. 825, Via Barberini n. 86, Via Marcello Prestinari n.3/5/7, Via Castel Madama”; sedi operative, queste tutte riferibili a Leonardo SpA e non ad altre (non meglio precisate) società del gruppo. La circostanza, poi, è incontestabile anche perchè desumibile dalla visura camerale, che dimostra inequivocabilmente queste numerose sedi, occupando più di tremila dipendenti.

A fronte quindi di tali allegazioni da parte ricorrente e delle allegazioni documentali circa sussistenza di numerose sedi ed unità produttive all’interno del territorio di Roma Capitale, la parte resistente si è invece limitata ad affermare, in maniera del tutto generica, che “non è stato possibile assegnare l’odierna ricorrente ad alcuna posizioni (quali posizioni di assistente/segretaria di direzione) in quanto non esistono posizioni vacanti e che su Roma, sia nei siti delle varie Divisioni che a livello centrale di Corporate, anche presso le sedi di Pastrengo, Flaminia, Faustiniana, oltre che ovviamente P.zza Monte Grappa non vi sono posizioni vacanti equivalenti”, senza però fornire alcun principio di prova sul punto (ad esempio mediante la produzione di organigrammi aggiornati, ordini di servizio ecc., pur sollecitata dalla parte ricorrente in sede di ricorso introduttivo).

In conclusione, il Tribunale ritenuti assolti i requisiti del fumus bonis iuris e del periculum in mora, ordina alla società datrice di lavoro (Leonardo SPA), ai sensi all’art. 33, comma 5, L. 104/1992, di assegnare la ricorrente ad una sede di lavoro all’interno del territorio di Roma Capitale e la condanna a rifondere alla ricorrente le spese di lite, che si liquidano in euro 1.750,00, oltre rimborso forfetario, IVA e CPA.

La succitata ordinanza, si badi bene, ha ben spiegato il punto di diritto sull’applicazione dell’istituto in parola, ma va evidenziato che trattasi di un trasferimento che avviene all’interno della stessa azienda datrice di lavoro, da una sede all’altra, sebbene più vicina al domicilio della persona con handicap.

Diversamente, quando l’istituto si vorrebbe venisse applicato tra diverse aziende datrici di lavoro, ad es. due Aziende Sanitarie site in regioni diverse, vige certamente lo stesso principio di diritto, ma è di gran lunga più facile da parte dell’azienda a cui è stata fatta istanza di trasferimento dare il diniego motivandolo nei modi più vari.

Il direttivo Aadi

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