Non ho mai nutrito simpatia né per la TV né ancora di più per la giornalista che conduce quel programma. Ritengo questa volta di ribadire quanto la nostra professionalità viene volutamente offesa, denigrata, barattata da miseri compensi, osteggiata in primis dalla baronia accademica che invade le cattedre di Infermieristica con il 90% di insegnanti di provenienza medico-clinica offrendo una formazione deformante e molto spesso mediocre.
Insegnanti che vengono raccattati qua e là senza alcuna preparazione didattico-pedagogica (avere un titolo di studio non fa automaticamente una persona in un docente). Chiusa questa parentesi che poi ha le sue colpe in merito alla questione di cui si tratta: la giornalista ha espresso in termini davvero offensivi e denigratori la nostra professionalità usando termini, con accezione negativa, come Infermiere aiutante.
Già! Quanto male mi hanno fatto quelle parole, le parole uccidono, feriscono, ma soprattutto si diffondono. Quelle parole sono una frustata in pieno volto, fanno male non tanto per chi le dice (soggetto ignorante in materia) ma quanto per quello che sottendono: un retaggio culturale atavico, radicato, medicocentrista, aggettivando con sarcasmo, direi cinismo, il professionista Infermiere come “aiutante”, cancellando in un paio di secondi duecento anni di storia e di progresso dell’infermieristica come scienza positiva autonoma, Florence Nightingale docet.
Già! In un paio di secondi viene demolito come delle mine un grattacielo costruito faticosamente in anni di storia e di battaglie, quei pochi secondi hanno cancellato un secolo di leggi che hanno dato luce e dignità alla nostra professione.
450.000 anime aggettivate come “aiutanti”, neanche ai cani addestrati per aiutare nelle disabilità viene dato questo appellativo, vengono definiti co-terapeuti. I cani già! Ho 45 anni, sono alla mia terza laurea, ho una cultura multidisciplinare che mi consentirà di essere un professionista migliore, più completo, ho dedicato tutta la mia vita allo studio, all’EBN, alla ricerca di un approccio migliore con il soggetto della mia missione: l’essere umano.
Combatto tutti i giorni per fare emergere la nostra professionalità da un medioevo culturale ormai opprimente, combatto contro i pregiudizi dell’uomo di strada con l’arma della preparazione, coltivando la fiducia e la stima reciproca con i colleghi più anziani di me che hanno una visione un tantino servilista della vecchia guardia.
Combatto i pregiudizi di una famiglia di medici e infermieri e operai che ancora a tavola con ironia si contendono l’egemonia della gerarchia. Io che ho sfidato i pregiudizi e ingoiato bocconi amarissimi per scrollarmi di dosso l’etichetta di subalterno, aiutante, cameriera del primario, esecutori di compiti.
Bene quella giornalista dovrebbe rendere pubblicamente scusa a tutti noi, la FNOPI dovrebbe attivarsi nei confronti di questo personaggio perché in due secondi miserrimi ha demolito anni di battaglie e diffamato la più nobile delle professioni: chi si prende cura di una persona è molto molto di più di un aiutante, si forse di Dio non certo per metus reverantiae.
Marina Magazzino, università degli studi di Bari, laureanda in Infermieristica, ma che vanta vent’anni di attività professionale come psicopatologia dello sviluppo e ex co.a. p. all’Università del Salento. Orgogliosa del mio lavoro.
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