L’esposizione alle radiofrequenze non sembrerebbe avere particolari conseguenze sulla salute fetale. È quanto emerge dal progetto SR4/WHO sugli effetti sul sistema riproduttivo legati all’esposizione alle radiofrequenze, coordinato da ENEA e finanziato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha individuato, tra le tematiche prioritarie da investigare, cancerogenesi, conseguenze sulla salute riproduttiva e alterazioni delle capacità cognitive.
ENEA ha coordinato un panel internazionale composto da esperti di diversi Paesi (Australia, Canada, Cina, Gran Bretagna, Italia e Olanda), che si è occupato degli effetti dell’esposizione a radiofrequenze sulla fertilità maschile e sulla gravidanza in animali da laboratorio. I risultati relativi agli effetti sulla gravidanza sono stati pubblicati sulla rivista Environment International, dove saranno prossimamente pubblicati anche i risultati relativi agli effetti sulla fertilità maschile.
“Dai risultati ottenuti l’esposizione in utero a radiofrequenze non sembra alterare la sopravvivenza fetale – commenta la coordinatrice del progetto Eugenia Cordelli, ricercatrice ENEA del Laboratorio Salute e Ambiente -. Abbiamo solo rilevato una moderata diminuzione del peso alla nascita, ma solo in presenza di livelli di esposizione molto elevati”.
Aggiunge Cordelli: “Abbiamo adottato l’approccio innovativo della revisione sistematica accompagnata da meta-analisi che consente di raccogliere dati di letteratura esaustivi, classificarli, esaminare i possibili fattori che ne mettano a rischio l’obiettività, produrre una sintesi accurata dei risultati e valutare l’affidabilità del risultato complessivo”.
In parole più semplici, una meta-analisi è una analisi statistica che unifica in una singola misura i dati già pubblicati e aumenta l’affidabilità nella stima di un possibile effetto senza nuova sperimentazione. Dalla meta-analisi dei dati non si sono potute trarre conclusioni sugli effetti a lungo termine dell’esposizione in utero a causa dell’eterogeneità dei risultati degli studi sugli effetti neurocomportamentali e sulla fertilità femminile.
“Un altro importante risultato ottenuto è stato quello di individuare i limiti delle ricerche svolte fino ad ora e avere ottenuto indicazioni per migliorare gli studi futuri sulla valutazione complessiva del rischio per l’uomo dell’esposizione a radiofrequenze”, spiega Cordelli.
I motivi della non omogeneità dei dati sono legati al moltiplicarsi delle fonti di esposizione, alle tecniche di indagine, ai diversi possibili bersagli biologici e alla mancanza di protocolli di indagine standardizzati e condivisi in questo campo.
“Il progetto risponde proprio all’urgenza di raccogliere e valutare la letteratura scientifica esistente – conclude Cordelli -. Ma è utile anche per organizzare i risultati rendendoli fruibili dagli enti regolatori e individuare lacune e limiti da colmare con nuovi studi”.
Redazione Nurse Times
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