Sono tre le varianti del Covid-19 che attualmente preoccupano di più gli studiosi. Si tratta della variante inglese, della variante sudafricana e della variante brasiliana. In tutti e tre i casi il virus presenta delle mutazioni sulla proteina Spike, che il virus utilizza per entrare nelle cellule.
I virus, in particolare quelli a Rna come i coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. “Mutazioni del virus Sars-CoV-2 sono state osservate in tutto il mondo fin dall’inizio della pandemia” ha spiegato l’Istituto Superiore di Sanità.
Mentre la maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo qualcuna può dare al virus alcune caratteristiche come ad esempio un vantaggio selettivo rispetto alle altre attraverso una maggiore trasmissibilità, una maggiore patogenicità con forme più severe di malattia o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita da un individuo o per infezione naturale o per vaccinazione. In questi casi diventano motivo di preoccupazione, e devono essere monitorate con attenzione.
La “variante inglese” (VOC 202012/01)
La “variante inglese” (VOC 202012/01) è stata isolata per la prima volta a settembre in Gran Bretagna. Ha una trasmissibilità più elevata ed è stata ipotizzata una maggiore patogenicità, ma finora non sono emerse evidenze di un effetto negativo sull’efficacia dei vaccini.
La “variante sudafricana” (501 Y.V2)
La “variante sudafricana” (501 Y.V2) è stata isolata a ottobre in Sudafrica, mentre in Europa il primo caso rilevato risale al 28 dicembre. Ha una trasmissibilità più elevata e dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Si cerca di capire se possa causare reinfezioni in soggetti già guariti da Covid.
La “variante brasiliana” (P.1)
La “variante brasiliana” (P.1) è stata isolata per la prima volta a gennaio in Brasile e Giappone. A fine gennaio è stata segnalata in 8 Paesi, compresa l’Italia. Si ipotizza una trasmissibilità più elevata e dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Come la “brasiliana”, potrebbe causare reinfezioni in soggetti guariti.
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Fonti: corriere.it (L. Cuppini); iss.it
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