In alcuni ospedali italiani le attese in pronto soccorso si prolungano fino a otto ore, se no di più. I dati aggiornati arrivano da Agenas, che ha messo in fila le performance delle aziende sanitarie ospedaliere e universitarie su questo delicato fronte dell’assistenza con alcuni appositi indicatori.
Dove l’attesa per una visita dura almeno otto ore
Le analisi sono suddivise tra ospedali universitari e ospedali generali, e mostrano una situazione disomogenea, ma con trend ricorrenti: i territori più in difficoltà si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno e in alcune grandi aree metropolitane. In particolare, l’indicatore sotto la lente dell’Agenas è quello della “Percentuale di accessi in pronto soccorso con tempi di attesa tra entrata e dimissione maggiore o uguale a otto ore”.
Il quadro degli ospedali universitari vede Tor Vergata raggiungere il 25,2% di pazienti (uno su quattro) con permanenza oltre le otto ore, il valore più alto in assoluto tra tutte le strutture considerate. Seguono: Sant’Andrea Roma 23,6%, Cagliari 23,1%, Giaccone di Palermo 21,9%, Careggi Firenze 18,5%, Maggiore della Carità di Novara 18,2%. Chiudono linvece a classifica con i valori più contenuti Padova (2,9%), Renato Dulbecco di Catanzaro (4,6%) e Parma (6,2%).
Negli ospedali non universitari è il Riuniti di Palermo al primo posto con il 20,7%, seguito dal Cardarelli di Napoli con il 20,4%. Significa che un paziente su cinque attende oltre otto ore in queste strutture. Valori molto alti anche al Santissimi Antonio e Biagio di Alessandria (18,2%). Altri numeri rilevanti: Mauriziano di Torino al 17,9%, Garibaldi di Catania 15,4%, Sette Laghi (Varese) 15,3%, Cannizzaro (Catania) 14,4%.
Tra le grandi strutture lombarde, il Niguarda di Milano appare in coda alla classifica, con una quota minore – il 7,4% – di accessi con tempo di attesa maggiore o uguale a 8 ore. E il dato più basso, 1%, si registra agli ospedali di Padova e San Carlo di Potenza.
Dove i pazienti abbandonano il pronto soccorso senza farsi vistare
C’è poi un altro indicatore – quello della percentuale di abbandoni dal pronto soccorso – che dà il senso del disagio di queste strutture che alla fine vedono un certo numero di pazienti lasciare l’ospedale rinunciando a farsi visitare. Nel settore degli ospedali non universitari emergono valori molto alti di abbandono prima della visita medica a esempio a Palermo, sempre nel Pronto soccorso del Riuniti Villa Sofia-Cervello dove le “fughe” arrivano al 24,7%, seguito dal Dei Colli di Napoli con il 23,1%.
Sopra il 15% anche il Vico Benfratelli di Palermo (18,2%) e il Garibaldi di Catania (15,6%). Valori significativi riguardano anche Cardarelli di Napoli (12,8%), Mauriziano di Torino (12,5%), Brotzu di Cagliari (11,5%) e Papardo di Messina (10,6%). Tra le grandi strutture del Centro-Nord, numeri meno allarmanti, ma comunque rilevanti si registrano al Papa Giovanni XXIII di Bergamo (9,9%), al San Giovanni Addolorata di Roma (9,3%) e al San Camillo Forlanini, sempre nella Capitale, con il 9,2%.
Il dato più basso è al Santa Maria di Terni che si ferma allo 0,3%. Anche fra gli ospedali universitari si rileva una situazione variabile. Il pronto soccorso con il tasso più alto di abbandoni è il Giaccone di Palermo, dove raggiungono il 18,8%. Seguono: Tor Vergata (Roma) al 15,7%, G. Martino di Messina al 13,3%, Cagliari all’11,8%, Riuniti di Foggia all’11,6% e Sant’Andrea (Roma) al 10,9%. Tra le strutture con meno abbandoni: Padova (1,0%), San Matteo di Pavia (1,2%) e Verona (1,9%), che rappresentano i casi di maggiore efficienza.
Il disagio del personale
“Le difficoltà dei pronto soccorso italiani sono il sintomo di una crisi più ampia del Servizio sanitario nazionale – afferma Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao Assomed -. Le cause principali sono anzitutto la carenza di migliaia di medici specialisti, con previsioni che indicano circa 4.500 operatori in meno rispetto a quelli necessari. A questo si aggiungono le condizioni di lavoro precarie. L’eccessivo carico e le condizioni al limite della sopportabilità portano a una fuga di medici dal settore, anche a causa della scarsa attrattività delle retribuzioni”.
Il sindacato dei medici ospedalieri ha promosso a Roma un incontro per parlare del quotidiano dei medici impegnati nei presidi di emergenza-urgenza, che si sono raccontati anche attraverso le storie di vita divenuti libri. Tra i partecipanti anche Michele Ruol, medico anestesista e autore del libro Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia, finalista del premio Strega 2025.
“A contribuire alle difficolta che i medici incontrano ogni giorno in pronto soccorso – sottolinea Di Silverio -. Non dobbiamo sottovalutare la trasformazione del sistema sanitario: il modello delle aziende ospedaliere, le aziende salute dove la cura è vista sempre più come un prodotto e non più come un servizio pubblico”.
Conclude il sindacalista: “Anaao Assomed non si limita alle critiche, ma avanza anche proposte concrete: interventi immediati per aumentare le risorse umane e logistiche, specialmente durante periodi di picco come la stagione influenzale, ma anche investimenti a lungo termine per rendere il lavoro nei dipartimenti di emergenza più appetibile. E’ necessaria però anche una riforma strutturale del nostro sistema, a partire dalla revisione del D.lgs. 502 del 1992”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Sole 24 Ore
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