Home NT News Meno infermieri, più decessi in Ospedale. Lo studio RN4CAST
NT News

Meno infermieri, più decessi in Ospedale. Lo studio RN4CAST

Condividi
Meno infermieri, più decessi in Ospedale
Condividi

Pubblicato, in data 25 febbraio 2014, sulla prestigiosa rivista The Lancet lo studio RN4CAST

Un gruppo composto da numerosi esperti internazionali, ha svolto un’interessante indagine statistica sulla professione infermieristica e sulla relazione fra questa e le politiche assistenziali e di istruzione dei governi.

Nello specifico lo studio si è riproposto di sondare se e quale sia l’interazione fra dotazione organica e livello di istruzione del personale infermieristico ospedaliero con il tasso di mortalità di pazienti chirurgici a 30 giorni dalla dimissione.

L’indagine ha coinvolto 422.730 pazienti (di età pari o superiore a 50 anni) sottoposti ai comuni interventi chirurgici (chirurgia generale, ortopedica e vascolare) in 300 ospedali di 9 Paesi europei (Belgio, Inghilterra, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera) con una dotazione organica interessata pari a 26516 infermieri.

I dati sono stati omogeneizzati tenendo conto anche della presenza, nei pazienti, di eventuali patologie concomitanti (le più comuni: diabete senza complicanze, malattia polmonare cronica, carcinoma metastatico, cancro) ed applicando opportuni coefficienti di correzione.

I dati analizzati si riferiscono agli anni 2007-2010 per ricoveri di 2 o più giorni e sono stati forniti dagli ospedali partecipanti allo studio.

I risultati che emergono dallo studio sono sorprendenti, non tanto per la dimostrazione della effettiva esistenza delle correlazioni che si volevano investigare, quanto per la portata numerica delle stesse.

Emerge infatti che la mortalità a 30 giorni dei pazienti chirurgici (con tutte le premesse metodologiche sul campione sopra esposte) è significativamente correlabile ai due indici analizzati: dotazione organica (n° di pazienti per infermiere) e livello di istruzione (infermieri laureati e non).

E’ sorprendente leggere che ad ogni aumento di 1 unità nel rapporto pazienti/infermiere la probabilità di decesso del paziente entro i 30 giorni dalla dimissione aumenta del 7%, mentre ad ogni aumento del 10% di infermieri laureati nel personale corrisponde una diminuzione del 7% della probabilità di decesso a 30 giorni.

L’associazione di questi indicatori permette di affermare che, secondo lo studio, in ospedali in cui almeno il 60% degli infermieri è laureato ed il rapporto pazienti/infermieri è mediamente 6:1 la probabilità di decesso entro i 30 giorni dalla dimissione è ben del 30% inferiore rispetto a quanto si verifica in strutture in cui gli infermieri laureati sono meno del 30% e i rapporto pazienti/infermieri è mediamente di 8:1.

Un verdetto senza sconti dunque che definisce a chiare lettere due punti cardine per il miglioramento delle performance in riferimento all’outcome valutato: il rapporto pazienti/infermieri (ed il carico lavorativo) va tenuto attentamente sotto controllo e non sottoposto ad eccessiva tensione e il livello di istruzione degli infermieri va mantenuto elevato.

Dati che sembrano purtroppo andare in contrasto con le politiche di austerità applicate in molti Paesi, in cui la dotazione organica degli infermieri e il relativo onere economico esercitano una forte attrattiva per le politiche di spending review.

Allo stesso modo il dato sul livello di istruzione pare in dissonanza con l’approvazione da parte del Parlamento Europeo di percorsi di formazione specifica per infermieri cui accedere dopo un percorso scolastico minimo di 10 anni accanto agli attuali percorsi cui accedere con 12 anni di scolarità.

Lo studio può presentare, secondo le obiezioni che i detrattori possono sollevare, dei limiti sia per quanto riguarda il campione analizzato sia per quanto riguarda la specificità dell’outcome analizzato e che possono far dire non si tratti di uno studio che fornisce indicazioni significativamente rappresentative riguardo alle performance dell’intero servizio sanitario; tuttavia non si può ignorare la portata degli esiti di questa indagine, che conferma e rafforza quanto emerso da analoghi studi svolti negli Stati Uniti e, anche se di minor portata, in ambito Europeo.

Lo studio è consultabile al seguente link: www.thelancet.com

The Lancet ha anche pubblicato un commento allo studio della professoressa in Infermieristica Alvisa Palese, dell’Università di Udine.

 

Condividi

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati
NT NewsPiemonteRegionali

Asl Torino 5, arrivano gli infermieri privati: accordo di tre mesi

“Per assicurare la continuità delle cure e non dover ridimensionare o chiudere nessun...

CittadinoEducazione SanitariaNT News

Batteri specchio, 38 scienziati chiedono di fermare le ricerche: perché?

Stop alle ricerche che mirano a sviluppare i batteri specchio, organismi sintetici costituiti da molecole speculari rispetto a quelle...

Coronavirus, Gimbe: "Siamo entrati nella quarta ondata"
NT News

Manovra 2025: flat tax sugli straordinari degli infermieri e contributo per gli specializzandi non medici. Gimbe: “Soluzioni tampone”

Il commento di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, sulle misure previste...

Indagine Nursing Up: "Il 60% degli infermieri lascerebbe il lavoro"
NT News

Aumenti da oltre 7.000 euro per ministri e sottosegretari: e gli stipendi di infermieri, oss e operatori sanitari?

Mentre l’Italia affronta una crisi economica che colpisce duramente milioni di cittadini,...