Come è stata gestita l’emergenza Covid-19 regione per regione? Quali sono state le difficoltà incontrate? Quali le prossime mosse? Nurse Times intervisterà i presidenti OPI per chiederlo a loro. Segue l’intervista a Massimiliano Sciretti, presidente dell’OPI di Torino.
Quale è stato il vostro ruolo nella gestione dell’emergenza, quali le maggiori criticità riscontrate?
Solo adesso Opi Torino è entrato a far parte di una task force regionale per gestire l’emergenza e programmare la “fase due”. Purtroppo, nella prima fase non eravamo rappresentati in Regione e dal punto di vista organizzativo è emersa in maniera importante la nostra mancanza: ci sono state grosse difficoltà per la nostra componente professionale.
I problemi sono stati trasversali sulle quattro regioni più colpite: prima di tutto, la mancanza di dispositivi di protezione, poi l’organizzazione degli ospedali per aumentare i posti di terapia intensiva. A questo, si sono aggiunte quelle problematiche sul territorio che erano già presenti e che la crisi ha evidenziato. Penso, ad esempio, alla mancanza di un infermiere di comunità che, con l’emergenza, ha messo in evidenza ulteriormente la carenza dei medici di medicina generale sul territorio.
Io credo che questa epidemia abbia enfatizzato tutti gli aspetti critici che tutti noi abbiamo segnalato negli ultimi anni (carenze di personale, strutturali, organizzative). Aspetti che evidenziano come non ci sia stato un vero investimento da tanto tempo nel sistema sanitario.
Dato che ne ha già parlato, le domando: come vi state organizzando per la “fase due”?
Da un punto di vista prettamente ordinistico noi stiamo cercando di tutelare i professionisti. Ad esempio, come OPI Torino, in collaborazione con “Lo Specchio dei Tempi”, abbiamo fornito ai colleghi liberi professionisti dei D.i.p., e abbiamo, ancora, acquistato mascherine e occhiali di protezione che stiamo distribuendo alle ASL e nelle RSA. Ci siamo organizzati, inoltre, per dare alloggio ai colleghi che sono venuti a lavorare nella zona di Torino in questo periodo di emergenza. Inoltre stiamo continuando le attività di raccolta fondi.
Finalmente, poi, c’è questa collaborazione con la Regione. Da questa collaborazione ci aspettiamo molto, come, ad esempio, di riuscire a sviluppare la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità. Inoltre, speriamo di superare la D.g.r. 45, una deliberazione della Regione Piemonte che ha dei limiti per quello che riguarda le Residenze Sanitarie Assistenziali.
Quale è il punto di vista di OPI Torino sulle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), che sono state sotto la lente mediatica durante l’emergenza?
Secondo noi bisogna rivedere gli standard assistenziali delle RSA perché attualmente sono insufficienti. Le cooperative che ora gestiscono queste strutture sottopagano i colleghi. É da ricercare una assistenza territoriale che metta al centro il cittadino e la persona assistita.
Avete pensato a qualche tipo di supporto psicologico rispetto a quelle situazioni di stress emotivo che riguardano sia i pazienti che i lavoratori in questi giorni difficili?
Certo. Abbiamo avuto molta collaborazione da varie istituzioni pubbliche e private che hanno messo a disposizione un supporto psicologico per i colleghi.
Una questione piuttosto discussa è stata quella della formazione. Si è dovuta affrontare l’emergenza “da un giorno all’altro”. Come ha funzionato la formazione degli infermieri per prepararli in maniera rapida a gestire la situazione epidemica?
Devo fare una premessa: noi siamo la professione che ritengo più sensibile nella realtà quotidiana, ma questo livello emergenziale ha rifatto emergere come sono importanti cose basilari come i dispositivi di protezione individuale e il loro corretto utilizzo. Questa pandemia ha messo in luce come ci sono tutta una serie di infezioni già presenti nei nostri ospedali e come è importante sia nella formazione di base, ma anche nella formazione posteriore, rinforzare le conoscenze. Il corso online di FNOPI sul corretto utilizzo dei D.i.p. è stato un supporto, ma questi sono aspetti formativi che devono essere rinforzati sempre.
Ritengo che la nostra maggiore preparazione all’utilizzo dei D.i.p. rispetto alla categoria dei medici ha fatto sì che nel bilancio finale dei decessi vi fossero molti meno infermieri.
Lei crede saremmo pronti ad affrontare una seconda ondata epidemica?
Io sono molto preoccupato. Vedo da una parte il problema sanitario e dall’altro il problema sociale. La situazione di emergenza rende più evidenti quei problemi sociali che in grandi città come Torino già sono presenti… Problematiche legate alla povertà, al disagio sociale. Per quel che riguarda l’aspetto sanitario, ci aspettiamo un nuovo picco di contagi. Spero, con le forze che si metteranno in campo, che riusciremo a rispondere in maniera più pronta.
Se saremo pronti ad affrontare una seconda ondata dipende dai numeri. Se si tratterà di una epidemia controllata sì, nel senso che, comunque, i meccanismi ora sono più rodati. Dipenderà anche dalle risposte dei governatori… perché, per esempio, il gruppo di lavoro di cui faccio parte per la Regione se ciò che scriviamo lo trasforma in atto e in azioni concrete è un conto, se lo lascia sulla scrivania un’altro. Noi non siamo la parte politica in gioco, e queste sono scelte che sono legate a forti investimenti. Vedremo. Necessaria è una buona comunicazione, informazione ed educazione sanitaria.
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