Si torna a parlare delle morti sospette nell’hospice di Torremaggiore (Foggia), struttura dedicata agli ultimi giorni di vita dei malati terminali, nell’ottica di un percorso di umanizzazione delle cure. Il caso risale al periodo compreso tra il 14 novembre 2022 e il 16 febbraio 2023, allorché si verificarono 16 decessi – perlopiù di anziani e malati oncologici – che condussero all’iscrizione nel registro degli indagati di un infermiere 55enne.
La Procura di Foggia ipotizzò il reato di omicidio volontario continuato, disponendo la riesumazione dei cadaveri e le conseguenti autopsie, come precisando in una nota che recitava: “Si è giunti a ipotizzare che i decessi fossero dovuti alla somministrazione impropria di farmaci appartenenti alla categoria delle benzodiazepine e, pertanto, si è ritenuto necessario disporre il disseppellimento di un totale di 16 salme per compiere i necessari accertamenti autoptici e tossicologici“.
La “somministrazione impropria” avrebbe riguardato un farmaco sedativo a base di midazolam, che secondo l’accusa sarebbe stato utilizzato come forma di eutanasia. Un’accusa fermamente respinta dall’infermiere indagato, che si è sempre dichiarato innocente.
Ebbene, proprio all’esito degli esami autoptici, eseguiti a San severo (Foggia), e di quelli tossicologici, eseguiti a Pavia, in tre casi i periti non hanno riscontrato traccia alcuna del farmaco incriminato. In un solo caso lo stesso farmaco è risultato invece presente, ma era regolarmente previsto nel piano terapeutico del paziente. In tutti gli altri casi le risultanze non sarebbero dirimenti, ovvero le tracce riscontrate non sarebbero “stimabili” in quantità o percentuale netta, e quindi “definibili” per determinare (o meno) il decesso di una persona.
“L’impossibilità di una determinazione quantitativa delle sostanze – si legge nelle 280 pagine della perizia autoptica e tossicologica relativa a 11 salme (in un caso la riesumazione non è stata possibile perché il corpo era stato cremato) – rende pressoché impossibile una puntuale valutazione dei livelli di promazina e midazolam. Pertanto non è possibile esprimersi con alto grado di probabilità logica circa l’eventuale ruolo causale/concausale di tali farmaci nel determinismo dell’exitus del paziente”.
Un esito che sembrerebbe favorevole all’infermiere indagato, come sottolinea il legale che lo difende, avvocato Luigi Marinelli: “Le conclusioni dei periti sono chiarissime. Dalla perizia emerge l’impossibilità quasi assoluta di stabilire il quantitativo, ovvero la percentuale dei farmaci, comunque rinvenuti, a seguito delle perizie autoptiche e degli esami tossicologici. Un dato che porta, conseguentemente, all’impossibilita di determinare se questi farmaci abbiano avuto un ruolo nella causa o nella concausa delle morte dei pazienti”.
Continua Marinelli: “Sostenere che ci sono tracce, ma non poter stabilire la percentuale (perché impossibile da determinare), allontana ogni responsabilità oggettiva del mio assistito (che si è sempre detto innocente) rispetto ai fatti. A questa assenza di responsabilità oggettiva si aggiunge quella soggettiva, ovvero la mancanza di elementi che possano ricondurre alla responsabilità del mio assistito, poiché non era l’unico infermiere, nell’arco di una giornata e di un turno di lavoro, a prendersi cura dei pazienti”.
E ancora: “Nel garantismo che la Procura ha sempre dimostrato nei confronti degli indagati ci aspettiamo di andare incontro all’archiviazione del caso. Il mio assistito è sempre stato tranquillo del suo operato, benché provato dalle accuse sul piano umano. Lo stesso, infatti, non ha mai somministrato farmaci non previsti nelle cartelle. Resta da capire perché, tra tutti, è stato accusato solo lui”.
Depositate le perizie, si attendono ora le determinazioni della Procura, che dovrà valutare se prorogare le indagini con integrazioni, archiviare il caso o procedere con un rinvio a giudizio.
Redazione Nurse Times
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