Mai come ora è necessario che la nostra rappresentanza ordinistica faccia una scelta coraggiosa e consapevole, esca dall’anonimato e dal dualismo dettato del “vorrei” e “potrei”.
Se davvero la Professione Infermieristica vuole trovare una nuova dimensione di poter vedere realizzare se stessa, non può permettersi il lusso di stare in quel cono d’ombra in cui si trova nei confronti di una discussione complessa e difficile come quella del futuro del SSN.
Non è un obbligo morale ne etico difendere la Sanità Pubblica e pretendere che essa abbia la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini in maniera appropriata e sostenibile, ma rientra in quel “civismo” che ogni professione, soprattutto quelle sanitarie, dovrebbero avere nella loro mission.
Bene ha fatto la Presidente Mangiacavalli ad intervenire nel dibattito pubblico sui possibili ulteriori tagli al sistema, bene ha fatto a rimarcare l’impossibilità di garantire risposte efficaci ed efficienti ma soprattutto di qualità nei confronti dei pazienti. Comprendo che non è facile, di fronte ad una Professione che si presenta molto eterogenea sia da un punto di vista occupazionale e contrattuale, portare all’ordine del giorno i problemi e le difficoltà in cui versano migliaia di colleghi nelle UO delle Aziende Sanitarie.
Ritengo tuttavia che questa debba essere la strada da tracciare ovvero sedersi al tavolo del confronto con la forza numerica di una Professione che rappresenta una fetta rappresentativa del variegato mondo delle professioni sanitarie, medici compresi.
Sarebbe auspicabile una presa di posizione netta, lasciando al passato i tentennamenti e le divisioni tra chi proteggeva il valore intellettuale e chi invece si preoccupava del valore lavorativo. In questi ultimi vent’anni, di fronte alla capacità di mietere importanti risultati e forse troppo presi dal festeggiare per le vittorie ottenute, ci siamo dimenticati di difendere quel valore che il lavoro ha nella vita di una professione.
Su questo punto cruciale, che è anche la battaglia di difesa della Sanità Pubblica, IPASVI deve fare un passo decisivo in avanti, riportando il valore sociale del lavoro al centro del sistema di relazioni inter-professionali e nei tavoli di confronto con le direzioni Aziendali ed Istituzionali.
Non può esserci un confronto sui numeri, non è sufficiente e questo la nostra Presidente ne ampiamente convinta. Se limitassimo il confronto al sola base di riconoscimento economico o ancor peggio organizzativo, sviliremo l’apporto che gli Infermieri danno alla Sanità Pubblica.
Serve un nuovo “new deal” della Professione Infermieristica che sappia affrontare questa sfida soprattutto culturale.
Per troppo tempo abbiamo lasciato gli infermieri privi di una guida che sapesse farli riconoscere all’interno di un progetto/percorso. Il tempo delle divisioni, dei diplomati vs laureati, dei masterizzati vs generalisti, dei coordinatori vs infermieri, dei dirigenti vs coordinatori e infermieri vs dirigenti ha fatto si che la nostra popolazione si frantumasse in mille rivoli con nessuna capacità di rivendicazione, ne sociale ne sindacale ancor meno professionale.
Il difficile passaggio tra il vecchio secolo ed il nuovo secolo ha portato con se sfide irrisolte come quella della convivenza forzata tra infermieri con diversa formazione culturale, ha portato con se figure professionali nuove che hanno eroso con successo molte delle nostre competenze, non siamo stati capaci di porci al comando di questi passaggi che dovevano portare nuovi spazi alla nostra scienza.
Oggi che la sfida si fa più grande, superare queste divisioni diventa dirimente perché si possa davvero essere interlocutori autorevoli all’interno di una partita che pare abbia già scritto il risultato finale.
Alla Presidente il compito difficile di ricompattare i Collegi Provinciali, che altro non sono che l’espressione democratica della Professione Infermieristica laddove si esprime. Serve una guida forte, capace di far superare le tensioni interne e le divisioni che hanno per troppo tempo alimentato scontri poco professionali e molto ideologici.
Il Comitato Centrale è l’organo di governo della nostra professione, espressione dei 103 collegi. Ha il dovere di rappresentare politicamente l’idea di quanti operano sul nostro terrtorio, essere capace di fare quella sintesi politica che inevitabilmente poi si ripercuote sugli stessi Collegi Provinciali e, a cascata, sino nelle UO.
Occorre dunque un’azione che sappia proporre l’Infermieristica come valore universale per risollevare il Servizio Sanitario ma perché accada è necessario che si dia subito slancio alla richiesta che giunge da troppe parti ovvero eliminare dal Codice Dentoologico l’art.49.
Non tocca a me dover dire che, all’interno di politiche di austerity dove le riforme riguardano soprattutto la contrazione dei diritti dei lavoratori (il jobs act ne è un esempio fulgido), è opportuno non dare ulteriori sponde ad un sistema che pretende di risparmiare su se stesso, a nulla vale il contradditorio per cui si debba fare di necessità virtù.
Se la volontà è riuscire ad elevare la Professione Infermieristica a valore intellettuale ed inserirla tra le professioni sanitarie, essa stessa deve sapersi gestire ed evitare facili condizionamenti da parte di forzature esterne.
Quell’articolo mette tutti nelle condizioni di essere costantemente sotto ricatto sociale, quel ricatto sociale che impedisce di poter pretendere di svolgere la propria professione in maniera autonoma e responsabile.
Il coraggio politico di una Professione si misura nel sapere rivedere se stessa e nel sapere rimediare ai propri errori.
Inevitabilmente però non è sufficiente. Bisogna guardare anche fuori e la fuori ci stiamo giocando il futuro della Sanità Italiana.
Mi pare evidente che la riforma del Titolo V della Costituzione abbia evidenziato tutto il suo fallimento con un continuo rimescolamento dei Servizi Regionali, mi pare che la strada verso una surroga assicurativa stia prendendo sempre più margini in barba all’art. 32 della Costituzione Italiana.
Sconfessare quella riforma, attaccare questo meccanismo diabolico che lega le Regioni e le indirizza verso il reperimento di risorse attraverso la privatizzazione della Sanità, sarebbe il più alto gesto di coraggio che la nostra Presidente potrebbe fare.
Sono convinto che ridarebbe dignità ai colleghi, darebbe loro la forza necessaria per stimolare quel Sindacato dormiente che da troppi anni ha abbandonato la difesa delle classi lavoratrici per un più comodo riposizionamento di contrattazione da salotto che di fatto ha consegnato i professionisti nelle mani dei burocrati e degli economisti.
Non rimane molto tempo, ed è proprio il tempo che rischia di essere cattivo consigliere e portare a scelte poco meditate ma soprattutto volte al ribasso continuo.
Piero Caramello
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